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Tanta Italia agli Octane Awards 2017

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RALLY OF THE YEAR – Modena Cento Ore

Mille chilometri tutti di corsa, da Rimini a Modena, tra i cordoli dei circuiti del Mugello e di Misano. Un evento molto ben organizzato, che ha raccolto tantissimi appassionati da ogni parte del mondo. Apprezzata dai giudici l’attenzione degli organizzatori nella selezione delle vetture partecipanti: soltanto 100 auto tra le categorie Competizione e Regolarità. Nell’anno del 70° anniversario della Casa di Maranello, tantissime le classiche del Cavallino Rampante in gara.

PUBLICATION OF THE YEAR – Mille Miglia Portraits

Le automobili possono correre anche tra le pagine di un bel libro. Se poi si tratta di un’opera italiana sulla Mille Miglia (qui, le novità dell’edizione 2018), costruita attorno alle fotografie di un maestro dello scatto come il compianto Alberto Sorlini, c’è solo da mettersi comodi e cominciare la lettura. Attraverso immagini suggestive, curiosità e racconti inediti, l’autore Leonardo Acerbi (profondo conoscitore della gara bresciana) racconta ai lettori l’affascinante storia della corsa su strada più famosa al mondo disputata dal 1927 al 1957.

PERFORMANCE CAR OF THE YEAR – Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio

Per partecipare al concorso nessun limite di potenza, ma di prezzo sì. Le candidate, infatti, dovevano necessariamente costare meno di 100.000 sterline. E per la vincitrice Giulia Quadrifoglio, in realtà, oggi ne bastano poco più di 70.000. Definita dalla giuria “elettrizzante” e “viscerale”, la berlina sportiva Alfa Romeo (motore 2.9 V6 bi-turbo da 510 CV e trazione posteriore) riporta in alto la tradizione di purosangue da corsa della Casa del Biscione. La Giulia batte la concorrenza della BMW M4 Competition Pack, seconda classificata.

PERSONAL ACHIEVEMENT AWARD – Corrado Lopresto

Raccoglie solo “pezzi unici” italiani e spesso e volentieri vince concorsi di eleganza in tutto il mondo. Stiamo chiaramente parlando di Corrado Lopresto (qui, la sua ultima “uscita pubblica” alla Londra-Brighton 2017). È lui a ritirare questo importante riconoscimento, dedicato a chi dimostra un’attenzione particolare alla tutela del patrimonio storico automobilistico mondiale. La delicata operazione di salvataggio delle due Isotta Fraschini Tipo 8C Monterosa ha il chiaro sapore della “sfida” che rappresenta il restauro di un’automobile così rara: il modello infatti, canto del cigno della Casa meneghina, non superò mai  lo stadio di prototipo e, a oggi, gli unici due esemplari sopravvissuti sono proprio quelli di Lopresto (l’esemplare carrozzato Boneschi è arrivato secondo nella Classe Granturismo Dopoguerra al Concorso d’Eleganza di Pebble Beach 2017). La forza “collezionistica” dell’imprenditore italiano risiede anche (e soprattutto) nella sua tenacia: il collezionista aggiunge infatti alla sua collezione le “Monterosa” dopo un’estenuante trattativa (durata oltre dieci anni) con Fincantieri, la società che aveva assorbito l’Isotta Fraschini dopo la seconda guerra mondiale e che deteneva la proprietà delle vetture in questione.

TUTTI I PREMI 

Club of the Year: Vintage Sports-Car Club

Museum of the Year: Simeone Foundation Automotive Museum

Specialist of the Year: AC Heritage

Race Series of the Year: Historic Grand Prix Cars Association

Motor Speed event of the Year: Goodwood Members’ Meeting

Motoring Event of the Year: Vintage Revival Montlhéry

Rally of the Year: Modena Cento Ore

Tour of the Year: International Bugatti Meeting

Publication of the Year: Mille Miglia Portraits

Industry Supporter of the Year: Mercedes-Benz Classic

Manufacturer Heritage Collection of the Year: Jaguar Land Rover Classic Collection

Performance Car of the Year (Under £100K): Alfa Romeo Giulia Quadrifoglio

Supercar of the Year: McLaren 720S

Luxury Car of the Year: Bentley Mulsanne

Modern Bespoke Car of the Year: Rolls-Royce Sweptail

Personal Achievement Award: Corrado Lopresto

Restoration of the Year: 1954 Jaguar XK120 SE by Pinin Farina

Car of the year (votata dai lettori di Octane): 2017 Jaguar XKSS continuation

Lifetime Achievement Award: Leonardo Fioravanti

 

Alberto Amedeo Isidoro

 

Tanta Italia agli Octane Awards 2017

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Chantilly Arts & Elégance salta un anno e tornerà nel 2019

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Al castello di Chantilly in Francia, davanti a decine di migliaia di spettatori, nel luglio 2019 si svolgerà la quinta edizione del “Concours d’Elégance” della “Chantilly Arts & Elégance Richard Mille” (qui abbiamo raccontato dell’edizione 2017). Come di consueto nell’elegante tenuta rinascimentale d’oltralpe saranno protagoniste automobili d’altissima gamma, prototipi di oggi e classiche di pregio: ogni costruttore in gara, infatti, presenterà il suo ultimo modello accanto all’abito di un famoso stilista.

Moda e Car design si fondono così in una sfilata del “bello” che rappresenta un unicum nel panorama delle kermesse automobilistiche internazionali. Marchi di prestigio tra cui Aston Martin, Bugatti, Maserati, McLaren, Mercedes-Benz, Porsche e Rolls-Royce sveleranno – alcuni in anteprima mondiale – la loro automobile del futuro accanto alle ultime creazioni del gotha del prêt-à-porter come Giorgio Armani, Hugo Boss, Jean-Paul Gautier, Paco Rabanne e tanti altri.

Ma a riunire i più grandi collezionisti di auto d’epoca del mondo sarà il “Concours d’Etat”: un centinaio le “superclassiche” previste in gara. Per ciascuna delle quindici classi di concorso, che raggrupperanno dalle 4 alle 6 vetture, i criteri fondamentali per l’assegnazione dei premi saranno la rarità, il valore storico e lo stato di conservazione e di manutenzione del veicolo. Le “vincitrici di classe” avranno poi accesso alla prova finale, che incoronerà la Regina del Giorno.

 

Chantilly Arts & Elégance salta un anno e tornerà nel 2019

Concorso di Eleganza di Chantilly

Fa 50 anni la 911 più “easy” della gamma

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La 911 è stata un’automobile epocale: ha cambiato per sempre il modo d’intendere una Porsche e, ancor più importante, ha cambiato per sempre il concetto stesso di auto sportiva: scattante e veloce in pista, comoda e sfruttabile sulle strade di tutti i giorni. Al Salone di Francoforte del 1963, a quindici anni dalla nascita della 356 (evolutasi dal primo esemplare prodotto nella famosa “segheria” di Gmund, nella Carinzia austriaca, fino ai modelli A, B e C), allo stand Porsche, fu presentata un’automobile completamente nuova. Si trattava del tipo 901, opera di Ferdinand Alexander “Butzi” Porsche, che preannunciava un netto cambio di rotta nei piani della Casa di Stoccarda: potenza pari a quella di una 356 B Carrera 2 (130 CV), ma un’elasticità di funzionamento e una sfruttabilità del tutto inedite (garantite dal nuovo motore 6 cilindri boxer di 2 litri) che, da lì a poco, sarebbero divenute proverbiali e tipiche del Made in Zuffenhausen.

SI PARTE E GIÀ CI SI EVOLVE

A un anno dalla presentazione, nell’autunno ’64, la 911 (così ribattezzata in quanto le sigle numeriche dei modelli con lo zero al centro erano un’esclusiva della Peugeot) diventava ufficialmente realtà. Nei piani della Casa si pianificò fin da subito una differenziazione del nuovo modello, in modo da soddisfare le esigenze di un mercato in continua evoluzione.

Nel novembre ’66, al modello base si aggiunsero la 912 (carrozzeria della 911, ma motore 4 cilindri 1.6 da 90 CV della 356 C SC) e la 911 S, versione top di gamma in cui la potenza del boxer 6 cilindri saliva da 130 a 160 Cv.

Nel ’67 fu la volta della 911 Targa, la “cabriolet sicura” caratterizzata da un tettuccio rimovibile e da un massiccio rollbar a protezione dell’abitacolo: fu un successo del tutto inaspettato (basti pensare che che oggi  tutte le vetture con questa configurazione di carrozzeria adottano la denominazione “Targa”), quasi sorprendente per una soluzione che in realtà era stata imposta dalla mancanza del tempo necessario per lo sviluppo di una cabriolet tradizionale. La Targa ottenne un tale gradimento di pubblico che per la prima 911 Cabriolet si dovette attendere il 1983.

L’AMPLIAMENTO DELLA GAMMA ’68: T COME TOURING

La prima grande novità del model year ’68 fu l’introduzione del cambio semiautomatico Sportomatic, un 4 marce per il quale non era necessario il pedale della frizione: per cambiare marcia era sufficiente muovere la leva del cambio, provocando così l’interruzione del flusso di carburante e il distacco del gruppo frizione, con il successivo inserimento del rapporto desiderato.

Il nuovo modello di accesso alla gamma divenne la “Touring”, ovvero la 911 T inizialmente disponibile con una potenza di 110 CV (in seguito portata a 130 CV). Il suo equipaggiamento corrispondeva di fatto al modello 912 a quattro cilindri. Si differenziava dai modelli più potenti anche per la scritta sulla griglia del cofano motore, color argento anziché dorata. Con l’introduzione della versione “T” come nuovo modello base (con motore meno potente e cambio manuale a 4 marce), il modello 911 2.0 130 CV venne rinominato 911 L (la motorizzazione rimase invariata). La nuova 911 T andava idealmente a colmare il vuoto esistente tra la 912 (poco prestazionale per i “porschisti” più esigenti) e la 911 L.

La “T” era equipaggiata con una nuova versione del motore 901, in cui la potenza massima scendeva da 130 a 110 CV. La coppia massima era di 157 Nm a 4200 giri/minuto, contro i 174 Nm a 4600 giri/minuto della 911 L. Meno potenza e meno coppia, unitamente a un regime di rotazione inferiore, si traducevano in una componentistica meccanica più convenzionale e, quindi, più economica. Il cambio previsto di serie era manuale a 4 rapporti (optional il 5 marce). Anche il telaio, rispetto alle versioni L e S, era semplificato: era infatti sprovvisto delle barre antirollio.

La “strategia del risparmio” adottata da Porsche per la 911 T fu portata avanti anche per il modello dell’anno successivo. Se infatti la nuova 911 poteva contare su un nuovo sistema di iniezione meccanica Bosch, la 911 T rimaneva invece alimentata dai classici due carburatori Weber triplo corpo. Questa scelta tecnica, secondo specialisti e addetti ai lavori, rendeva la “T” meno sofisticata ma anche meno confortevole. Tuttavia, la leggerezza e il carattere del motore a cilindri contrapposti la rendevano una sportiva scattante e godibile, solo appena meno performante della 911 L.

Alvise-Marco Seno

Anche Morgan a Milano AutoClassica 2017

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La Morgan Motor Company, fondata da Mr. Henry Frederick Stanley Morgan nel 1909, oggi realizza artigianalmente vetture sportive coniugando stile retrò con prestazioni da “auto moderna”. Inizialmente l’azienda si concentrò sulla produzione dei modelli a tre ruote (come quello, indimenticabile, guidato da Peter Sellers nel film “Hollywood Party” del 1968). Il progetto prevedeva un telaio tubolare, un motore JAP di derivazione motociclistica e un innovativo schema sospensivo, vero marchio di fabbrica della Casa britannica e ancora in auge. Oggi Morgan produce oltre 1300 auto all’anno, suddivise in tre categorie: Morgan Classic (4/4, Plus 4, Roadster, Plus 8), Morgan Three Wheeler ed Aero 8. La 4/4 festeggia quest’anno gli ottant’anni dall’inizio della sua produzione: è l’auto più longeva della storia attualmente in produzione.

A Milano AutoClassica, il pubblico di appassionati potrà ammirare dal vivo una straordinaria Morgan 3 Wheeler argento, una Morgan Classic 4/4 (modello che adotta un motore a quattro cilindri ed ospita a bordo quattro passeggeri) di colore nero e l’elegante due posti con motore a quattro cilindri Morgan Classic Plus 4 bianca.

DATE E ORARI DI APERTURA

Venerdì 24 novembre: dalle 9.30 alle 19;
sabato 25 novembre: dalle 9.30 alle 19;
domenica 26 novembre: dalle 9.30 alle 19.

PREZZI DEI BIGLIETTI

Biglietto intero: € 20;
ridotto (0 – 12 anni): gratuito;
ridotto (13 – 17 anni): € 15;
gruppi (minimo 10 persone): € 15.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Riasc certifica le classiche del “Double Chevron”

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Sabato 18 novembre si è tenuta nella sede di Citroën Italia di Milano la prima seduta di omologazione della neonata Commissione Tecnica del Registro Italiano Auto Storiche Citroën (R.I.A.S.C.). Una decina i commissari tecnici presenti che hanno esaminato a fondo e in ogni dettaglio le quattro vetture presentate dai soci, una XM 3.0 V6 del 1990, una CX 25 GTi Turbo del 1986 e un paio di SM, una del 1971 e una del 1972.

Si trattava di auto in eccellenti condizioni che, dopo l’esame, hanno ottenuto punteggi tra i 95 e i 98 punti (il massimo previsto è cento) ottenendo così l’ambita Targa Oro del Registro, che richiede un minimo di 80 punti. Tutte le Citroën con almeno vent’anni possono essere certificate, purché appartenenti a soci dei club federati al R.I.A.S.C. (Club 2CV e Derivate Italia, Club Italia Bicilindriche, Club GS Italia, CX Club Italia, Club IdéeSse, SM Club Italia, eXtreMe XM Club Italia).

La certificazione, che segue le normative della F.I.V.A. (Féderation Internationale des Véhicules Anciennes), costituisce un valore aggiunto alla vettura e la descrive in ogni particolare, indicando eventuali difformità e imperfezioni rispetto all’originale dell’epoca. Nel corso del 2018 si terranno altre sedute di certificazione, una delle quali avrà luogo presso la sede del Centro Documentazione Storica Citroën di Sinalunga (Siena).

Alfredo Albertini

 

Milano AutoClassica, domani al via tra classico e moderno

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Parafrasando Roberto Giolito, car designer e oggi guida di FCA Heritage (qui, la videointervista per la sua “copertina d’autore” sul numero di luglio 2017), la storia e il mito delle automobili del passato rappresentano una fonte di ispirazione per i modelli del futuro. A pensarla così, per fortuna, anche tanti altri importanti brand che prenderanno parte alla rassegna meneghina, prevista per questo fine settimana presso il polo fieristico di Fiera Milano a Rho.

Cominciamo proprio da FCA. Il dipartimento Heritage del gruppo rappresenterà in fiera i marchi Abarth Classiche, Alfa Romeo Classiche, Fiat Classiche e Lancia Classiche. I visitatori avranno l’occasione di assistere a una mostra tematica intitolata Epic Journeys, dove la divisione torinese esporrà diversi veicoli storici protagonisti di viaggi avventurosi. Tra i più significativi, una Fiat Campagnola “Alger – Le Cap” del 1951, una Fiat 131 Abarth diesel “London – Sidney” del 1977, una Lancia Delta Integrale “Safari” del 1988 e un’Alfa Romeo Giulietta t.i. del 1957 (quest’ultima protagonista alla rievocazione della Pechino – Parigi svoltasi nel 2007).

Per gli amanti degli anni ruggenti della F.1, assolutamente da non perdere l’appuntamento con i Musei Ferrari, che racconteranno al pubblico la storia di una monoposto molto importante per la storia sportiva del Cavallino Rampante: a fare bella mostra di sé sarà una 126 CK del 1980. Dopo una sporadica apparizione nelle prove del Gran Premio d’Italia 1980 la 126 C, spinta da un motore 1.5 V6 sovralimentato da un turbo KKK, divenne la monoposto ufficiale per la stagione 1981. La vettura, che sviluppava una potenza massima di 570 CV a 11.500 giri/minuto (per una velocità massima di 320 km/h), conquistò due storiche vittorie, entrambe con Gilles Villeneuve: la prima sul difficile circuito di Montecarlo (teoricamente sfavorevole alle caratteristiche del motore turbo) e la seconda a Jarama, in Spagna.

Grazie al Museo Lamborghini, il pubblico della kermesse milanese potrà ammirare due grandissime classiche della Casa di Sant’Agata Bolognese: una splendida Miura del 1966 (capolavoro di Marcello Gandini per Bertone) e il fuoristrada LM 002 che, con il suo potente motore V12 e la trazione integrale, è stato l’anticipatore dei moderni SUV d’alta gamma.

Non mancherà, poi, lo stand di Maserati Classiche. A rappresentare i fasti della Casa del Tridente saranno una A6GCS/53 (realizzata in soli 4 esemplari da Pininfarina), una 3500 GT (prima Maserati costruita “in serie”) e una Bora (coupé sportiva nata dalla matita di Giorgetto Giugiaro).

Parlando di auto moderne, ecco alcune interessanti anteprime nazionali. Al salone meneghino Bentley presenterà la nuova Continental GT e il SUV Bentayaga. Lotus metterà sotto i riflettori l’Exige V6 Sport 380 GP Edition (la Lotus più veloce di sempre, costruita in soli 20 esemplari) e la Evora GT 430. Restando in tema Lotus, nei tre giorni della manifestazione le Elise Cup si esibiranno nella Classic Circuit Arena, il tracciato allestito all’esterno dei padiglioni. McLaren esporrà, infine, la 570 spider e la supercar 720 S.

TUTTI I MARCHI PRESENTI 

Bentley, FCA Heritage, Ferrari Classiche, Infiniti, Lamborghini, Lotus, Maserati, McLaren, Morgan, Porsche Classic Partner Milano Est, Tesla.

 

 

 

 

 

Milano AutoClassica, domani al via tra classico e moderno

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“Ferrari: Under the Skin”, omaggio londinese al Cavallino

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Del resto, com’era possibile che la capitale di un Paese dove sono concentrate le collezioni private di Ferrari fra le più vaste al mondo si dimenticasse di festeggiare i 70 anni del mito di Maranello?

E poteva il Design Museum, il più importante museo di design del pianeta (che dal 1989 ha creato focus praticamente su tutto, dai fucili d’assalto sovietici ai tacchi vertiginosi di Christian Louboutin), cogliere un’occasione migliore per omaggiare l’universo Ferrari? La risposta è no e a dimostrarlo è la bellissima mostra sul tema appena sbarcata ad High Street Kensington da Maranello, dove era quest’estate fra le meraviglie di “Ferrari 70″. L’edizione british della mostra, che rimarrà aperta fino al 15 aprile 2018, è però diversa dall’esposizione italiana, più in linea con la natura dell’organizzazione che la ospita adesso e che l’ha organizzata.

Con allestimenti spettacolari, firmati da due giganti del design attuale quali la spagnola Patricia Urquiola e Pentagram, studio internazionale fra i più celebri, il percorso espositivo pone soprattutto l’accento sullo sviluppo creativo, su quel fattore magico ed esclusivo di uno dei brand iconici più amati e sognati dell’industria automobilistica globale. Il titolo dell’evento, “Ferrari: Under the Skin”, lascia già intendere il “dietro le quinte” alla base del concept, ovvero uno sguardo da vicino, sebbene lungo il Tamigi, al processo produttivo che rende ogni Ferrari un gioiello a quattro ruote. Il risultato è un affascinante viaggio nel rapporto tra funzione e forma, dalle origini fino alle tecnologie impiegate oggi a Maranello. Pezzo forte della rassegna è, non a caso, il modello in argilla della J50 in scala reale, fatto a mano nel 2016.

Ancora in tema di avanguardie, la prima sezione della mostra mette in risalto proprio la capacità innovativa del Drake e ne celebra lo spirito competitivo ripercorrendone le principali tappe biografiche e professionali. “Ferrari: Under the Skin” esibisce anche molta memorabilia, tra cui disegni, progetti, lettere personali: di Enzo c’è persino la patente di guida. Nella sezione “Racing”, invece, si possono vedere i caschi di Alberto Ascari, Mike Hawthorn, Michael Schumacher e Kimi Räikkönen. Non solo loro, ovviamente: in tutta l’area espositiva, sono riunite vetture leggendarie per un totale di 140 milioni di sterline, tra cui alcune guidate da campioni come Stirling Moss.

E Nick Mason (qui la sua intervista rilasciata a marzo 2017 a Ruoteclassiche)? Immancabile. Il 73enne batterista dei Pink Floyd, grande appassionato di auto storiche e di velocità nonché proprietario di una delle 250 GTO più desiderate in assoluto, ha dato un bel contributo all’esposizione prestando la sua F40 del 1988. Ma la lista di vip è ancora lunga: nella sezione “I Clienti”, denominata proprio in italiano, le citazioni di personaggi famosi che con le loro Ferrari hanno contribuito ad aumentare la patina di glamour attorno al mito vanno da Clint Eastwood a Brigitte Bardot, da Peter Sellers a Miles Davis. Il tutto in una sala dove si trovano la Testarossa Spider dell’Avvocato e, regina fra tutte, una 250 GT cabriolet del 1957. Quella del super driver britannico Peter Collins.

La mostra rimarrà aperta tutti  i giorni dalle 10 alle 18, fino al 15 aprile 2018; ingresso, 18 sterline.

Laura Ferriccioli

22 novembre 1957, Ferrari presentava la 250 Testa Rossa

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Il mondo delle corse non sarebbe stato più lo stesso dopo i tragici fatti della Mille Miglia ’57. L’incidente della Ferrari 335 S di De Portago/Nelson aveva aperto un ulteriore squarcio (nell’estate del ’55 si era consumata la tragedia di Le Mans causata dalla Mercedes 300 SLR di Pierre Levegh, che aveva spinto la Mercedes al ritiro definitivo dalle competizioni) sul problema del livello di potenza raggiunto dalle auto da corsa (un dato di tanti: la mostruosa Maserati 450 S, un “peso piuma” da circa 700 kg, dichiarava la ragguardevole potenza di 400 CV).

Per la stagione ’58, quindi, la Commissione Sportiva Internazionale, chiamata a stabilire il regolamento dei campionati nazionali e internazionali, impose una riduzione della cilindrata dei motori a 3 litri. Nondimeno, fu confermato lo svolgimento della Targa Florio, unico evento deputato a “salvare” il ruolo italiano nell’offerta di corse per il Mondiale Marche.

Ferrari, che già proponeva a catalogo per i clienti sportivi la 500 TRC (evoluzione della 500 TR del ’56, nata per contrastare le Maserati 150 S e 200 S con motore a 4 cilindri), optò per un upgrade della formula “Testa Rossa” (denominazione scaturita dalla scelta di verniciare di rosso i coperchi delle punterie del motore), configurando così una versione di punta per le competizioni. Questa scelta, figlia del successo che stava ottenendo la 250 GT, si era dimostrata vincente: la nuova vettura aveva dimostrato di poter lottare quasi alla pari con insuperabili barchette Sport dell’epoca. Tuttavia, la concorrenza di Maserati (300S, 350S e la 450) e Jaguar (C-Type e D-Type) obbligava la Casa di Maranello a presentarsi sulla scena della classe Sport con un veicolo all’altezza.

1957: STAGIONE DI ESPERIMENTI

Il primo indizio della 250 Testa Rossa, in realtà, risale alla primavera del ’57: il telaio 0666, una 290MM modificata identificabile come il primo prototipo della Testa Rossa 12 cilindri, era stato schierato alla Mille Chilometri del Nurburgring accanto alle 315 S e 335 S. Masten Gregory e Olindo Morolli avevano concluso in decima posizione (8° di classe). Un secondo prototipo, punzonato con il numero telaio 0704TR, aveva partecipato alla 24 Ore di Le Mans di fine giugno, con la coppia Gendebien/Trintignant costretta al ritiro al 109° giro per un guasto meccanico.

Ci fu il tempo per altre due sessioni di prova (direttamente in gara): al Gran Premio di Svezia (ritiro sia per la 0704TR n.6 di Gregory/Seidel, sia per la 0666 n.5 di Gendebien/Trintignant) e al Gran Premio del Venezuela (3° assoluta la 0666 affidata a Von Trips/Seidel, 4° assoluta la 074TR di Gendebien/Trintignant).

22 NOVEMBRE 1957: ECCO LA TESTA ROSSA

Il risultato dello sviluppo diede i suoi frutti l’autunno seguente. Il 22 novembre del ’57, Enzo Ferrari presentò alla stampa la nuova 250 Testa Rossa, esito dell’abbinamento tra il telaio tubolare in acciaio Tipo 526 e il motore 128LM, ultima e più recente evoluzione del 12 cilindri “Colombo”, nato undici anni prima sulla 125 S. Questo propulsore a V di 60°, con distribuzione monoalbero e lubrificazione a carter umido, sviluppava una potenza massima di 300 cavalli ed era caratterizzato una grande elasticità di funzionamento. A sviluppare il propulsore era stato l’ingegner Carlo Chiti, all’epoca responsabile tecnico del reparto corse.

L’ossatura della nuova Sport era un classico telaio a traliccio di tubi di diversa sezione, con sospensioni anteriori a quadrilateri deformabili e retrotreno con Ponte de Dion.

A scolpire le forme della carrozzeria fu Scaglietti, maestro della lamiera, autore – manco a dirlo – di una efficiente e affascinante carrozzeria barchetta tipo “pontoon fender“.

LA STAGIONE DI CORSE ’58

Il 26 gennaio 1958 le Ferrari 250 Testa Rossa scesero ufficialmente in pista per la prima volta alla alla 1000 Chilometri di Buenos Aires. Il campionato era orfano della Maserati, che dopo il secondo posto nel mondiale ’57 aveva deciso di abbandonare ufficialmente le corse, per dedicarsi alla produzione di vetture GT. Le nuove rivali erano adesso soltanto due: l’Aston Martin con le DBR1 e la Porsche con le 718 RSK.

Peter Collins e Phil Hill vinsero al volante della 0704TR n.2. La coppia anglo/americana bissò il successo alla successiva 12 Ore di Sebring e giunsero quarti assoluti alla Targa Florio. La 0704TR si tolse un’ultima soddisfazione come vettura ufficiale alla Mille Chilometri del Nurburgring: terminò seconda assoluta con Hawthorn e Collins.

La 250 TR conquistò anche il trono della 24 Ore di Le Mans, l’appuntamento più importante della stagione: Olivier Gendebien e Phil Hill, a bordo della Testa Rossa 0728TR portarono a casa il terzo successo per la Casa di Maranello nella classica francese (dopo le vittorie del 1949 e del 1954).

L’Aston Martin, nonostante la vittoria alla 1000 KM del Nurburgring (Moss/Brabham) e al Tourist Trophy (Moss/Brooks) non riuscì mai a rappresentare una vera rivale del Cavallino, che grazie alla 250 Testa Rossa conquistò il mondiale Marche.

EVOLUZIONI SUCCESSIVE

Per il 1959 la 250 Testa Rossa fu oggetto di un significativo aggiornamento. Il telaio era stato modificato e il motore installato in posizione decentrata per riequilibrare le masse. Grazie a una serie di migliorie su distribuzione e alimentazione, la potenza cresceva significativamente mentre la trasmissione accoglieva un nuovo cambio a 5 marce. Aggiornati anche i freni (finalmente ecco arrivare i dischi della Dunlop) e gli ammortizzatori. Infine lo stile: Pininfarina creò una forma più evoluta e omogenea, affidata – nella realizzazione pratica – a Fantuzzi.

Nonostante le ottime premesse, la stagione ’59 del campionato per vetture Sport fu condotta decisamente in sordina per Ferrari: la Casa vinse solo la 12 Ore di Sebring, lasciando i successi più ghiotti ad Aston Martin e Porsche. Una serie di guasti e una “scarsa” armonia all’interno del team della Rossa furono probabilmente le cause di un’annata poco felice, conclusasi con il successo finale della casa Britannica.

Le cose cambiarono decisamente nel 1960. Senza l’Aston Martin (approdata in F1), Ferrari presentò la TR’60. Dopo la vittoria iniziale a Bueons Aires, la Porsche vinse ancora alla Targa Florio e la Maserati, con le nuove Birdcage, conquistò il successo al Nurburgring. All’ultima gara di Le Mans la Casa di Maranello giocò il tutto per tutto con ben 13 vetture al via tra auto ufficiali e private. Conquistata la testa della gara nella notte, Olivier Gendebien e Paul Frère vinsero con un vantaggio di quattro giri e quasi 50 chilometri, regalando a Maranello il titolo Mondiale Marche.

Per il 1961 la Testa Rossa mantenne la soluzione con motore anteriore; per la nuova 250 TRI ’61 fu eseguito, poi, un approfondito studio aerodinamico che restituiva una carrozzeria molto differente dagli esordi: forma molto allungata, possente spoiler in coda. La stagione – con l’esclusione della 1000 KM del Nurburgring – non presentò particolari difficoltà alla Ferrari, che vinse a Sebring (250 TRI di Hill/Gendebien), alla Targa Florio (Dino 246 SP), a Le Mans (250 TRI di Hill/Gendebien) e alla 4 Ore di Pescara (Bandini/Scarlatti).

Alvise-Marco Seno


Novanta candeline per Erhard Schnell

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Se la matita di Erhard Schnell ha tracciato le linee delle più iconiche vetture Opel dal secondo dopoguerra in avanti, lo si deve senz’altro agli americani della General Motors. Nel 1962 infatti, il colosso automobilistico statunitense, che aveva già acquisito la Opel nel 1931, comincia la costruzione dell’Opel Design Studio, una sorta di sancta sanctorum dove 120 tra i migliori stilisti di tutto il mondo avranno carta bianca per dare forma alle Opel del futuro.

IL DESIGN YANKEE CONQUISTA L’EUROPA

Il neonato centro stile, parallelamente allo sviluppo di modelli “popolari” (come la Kapitän, la Admiral e la Diplomat), accetta subito una sfida complicata e dal gusto “proibito”, se consideriamo la vocazione della marca (da sempre abituata a produrre auto funzionali ed economiche). Appena arrivato dal Michigan, il capo progetto Clare McKichan chiede infatti ai suoi designer di plasmare una dream car dal gusto americano che rispecchi, però, i gusti e le esigenze del mercato europeo. L’intenzione degli americani, infatti, è proprio quella di trasferire in Opel tutto il know-how di Detroit in tema di car design, dando così vita a una specie di Chevrolet Corvette in miniatura.

IL PAPÀ DELL’OPEL GT

A dirigere l’operazione è chiamato proprio Erhard Schnell, che lavora al progetto in maniera saltuaria (più o meno ogni due settimane, visto che il suo compito principale è lo sviluppo dei modelli Rekord e Kadett) e in segreto (a Detroit, il management non sa nulla). Il designer tedesco, all’epoca responsabile dell’Opel Advanced Studio,  si cimenta così in bozzetti, maquette e modelli che presto daranno vita a un primo prototipo: la Experimental GT. La famosa linea “a bottiglia di Coca Cola” e la meccanica convenzionale (sospensioni della Kadett Rallye e motore 4 cilindri di 1,9 litri della Rekord), saranno anche gli elementi distintivi della vettura di serie, quell’Opel GT che ancora oggi fa sognare gli appassionati di tutto il mondo.

PUR CHE SIA AERODINAMICA

Erhard Schnell ha lavorato al design Opel per lunghissimo tempo, curando con particolare attenzione l’aspetto dell’aerodinamica (principio cardine attorno al quale ha sempre sviluppato l’architettura delle sue vetture). Ha vissuto anni di “ordinaria amministrazione” (quei Sessanta in cui in Opel ci si limitava solo a “rinfrescare”, per così dire, il look dei modelli esistenti della gamma) e anni di maggior vivacità (proprio quei Settanta che videro la definitiva consacrazione della sua GT). La sua ultima creatura risale al 1989 ed è – non c’è da stupirsi – una coupé a 4 posti campionessa di aerodinamica, la Calibra. Prodotta fino al 1997 in oltre 230.000 esemplari, a 28 anni dal lancio la sportiva di Rüsselsheim è già un cult: in Italia esiste addirittura un Club dedicato al modello, il Calibra Club Italia, che conta un centinaio di soci e più di 1600 fan.

Alberto Amedeo Isidoro

 

Milano AutoClassica, i gioielli del primo giorno

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Notevole affluenza di pubblico – per essere venerdì – nella prima giornata di Milano AutoClassica a Rho Fiera. Tra gli stand più ammirati, quello di FCA Heritage, sceso in forze con tutti i marchi della propria galassia:

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// ]]> Abarth, Alfa Romeo, Fiat e Lancia, ovviamente nella loro declinazione “Classica”.

Ma soprattutto con una curiosa rassegna tematica, dal titolo “Epic Journeys”: in mostra la Fiat Campagnola “Alger – Le Cap” (1951), una Fiat 131 Abarth diesel reduce dalla “London – Sidney” del 1977, una Lancia Delta Integrale “Safari” (1988) e l’Alfa Romeo Giulietta t.i. (1957),  che ha partecipato alla rievocazione della Pechino – Parigi del 2007.

Affluenza di appassionati anche alle officine Ferrari Classiche, che espongono – ed è la prima volta a Milano AutoClassica – alcuni esemplari in fase di restauro: Dino 206 GT (1968), 250 GT SWB (1960) e 250 GT Berlinetta LWB (1957). Presenti anche una 275 GTB/4, una 365 GTB/4, una 288 GTO e una 126 CK di Formula 1 del 1980.

Tre gli assi del Tridente, in rappresentanza di Maserati Classiche: una A6GCS/53 (realizzata da Pininfarina in quattro soli esemplari), una 3500 GT (prima Maserati “di serie”) e una Bora.

Completa questa prima carrellata “emozionale” lo stand Porsche Classic, con due evergreen: una 356 A 1600, identica a quella presentata al Salone di Francoforte del 1955, e una 911 Carrera 3.2 del 1984.

Milano AutoClassica, 5 cose da non perdere (video)

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Scatta oggi, 24 novembre, fino a domenica 26 la settima edizione di Milano Auto Classica, che si svolge presso la Fiera di Rho. Più di 2000 le auto esposte; 12 le Case automobilistiche presenti col nuovo e l’heritage. E poi ricambi e automobilia. Un evento da non perdere per tutti gli appassionati, di cui abbiamo riportato qui le primissime impressioni.

Abbiamo scelto per voi 5 cose da perdere: dalla Fiat Campagnola del raid Algeri – Città del Capo del 1952 presso FCA Heritage alla spettacolare Miura S in mostra alla Lamborghini, dalla indimenticabile monoposto 126 CK del 1980, compagna inseparabile di Gilles Villeneuve, del Museo Ferrari di Modena, alla restauratissima 356 del 1957 al Porsche Classic Partner Milano Est, per concludere con un leggendario Tridente: la A6GCS 53 Pininfarina costruita solo in sei esemplari, che si può ammirare alla Maserati, tra una Bora del 1971 e una 3500 GT del 1957.

Milano AutoClassica, 5 cose da non perdere (video)

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Milano AutoClassica, gli “Epic Journeys” di FCA Heritage

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Che le quattro ruote siano ancora oggi il mezzo di trasporto preferito dagli italiani, non è certo una novità. Nell’era dell’alta velocità ferroviaria e dei voli low cost, nel Bel Paese l’automobile – itinerario di viaggio permettendo – resta ancora la prima scelta per arrivare a destinazione sia per lavoro, sia per vacanza. Ma quanti di voi, automobilisti incalliti, riuscirebbero a portare a termine un vero viaggio “on the road”, degno del più inverosimile romanzo d’avventure che vi venga in mente? Dal Nord Europa all’Oceania, dall’Africa all’Estremo Oriente: le automobili di cui stiamo per raccontarvi hanno percorso tutto d’un fiato le strade più impervie e neglette del mondo, macinando migliaia e migliaia di chilometri in una lotta spietata contro il cronometro. In condizioni a dir poco critiche, sono state protagoniste di una vera e propria sfida alla resistenza meccanica. Che, alla fine, ha segnato grandissimi trionfi per l’automobile italiana.

FIAT CAMPAGNOLA “ALGER – LE CAP” (1951)

Questo roccioso veicolo fuoristrada Fiat, sviluppato a partire dal 1950 su richiesta dell’Esercito Italiano, fu opera dell’ingegner Dante Giacosa che, ispirandosi allo schema meccanico della celebre Jeep Willys, progettò un mezzo destinato a fare epoca. Nell’autunno del 1951 la dirigenza Fiat, per dimostrare la robustezza e l’affidabilità della nuova nata, decise di infrangere il primato di velocità della traversata dell’Africa, da Città del Capo ad Algeri. L’impresa fu portata a termine in 11 giorni, 4 ore e 54 minuti: un record ancora oggi imbattuto. L’esemplare esposto in fiera (che ha fatto bella mostra di sé nella sua livrea originale, con tanto di bagagliera da tetto e taniche di carburante supplementari) fu guidato dall’esperto Paolo Butti, pilota con alle spalle una lunga tradizione di rally in terra d’Africa.

ALFA ROMEO GIULIETTA T.I. (1957)

La Giulietta è la seconda vettura della Casa del Biscione, dopo la sorella maggiore “1900”, ad essere prodotta in serie. Rappresenta l’ascesa dell’Alfa Romeo a livello di potenza mondiale nell’industria automobilistica e, seppur di concezione più “popolare” rispetto ai modelli leggendari del passato, porta avanti senza compromessi la tradizione di auto sportiva della marca milanese. Nel 1957 viene presentata la berlina t.i. (acronimo che sta per “turismo internazionale”): la potenza del piccolo 4 cilindri di 1,3 litri, grazie a un incremento del rapporto di compressione e all’adozione di un carburatore doppio corpo, passa da 53 a 65 CV (155 km/h la velocità massima). Proprio con la Giulietta t.i. del 1957 esposta presso lo stand di FCA Heritage, la Scuderia del Portello (club ufficiale Alfa Romeo) ha partecipato all’edizione 2007 della Pechino-Parigi, rievocazione storica del celebre raid andato in scena per la prima volta nel lontano 1907.

FIAT 131 DIESEL ABARTH “LONDON – SIDNEY” (1977)

In un’epoca in cui il motore diesel era appannaggio esclusivo di mezzi agricoli e industriali, Fiat decise di sviluppare una versione a gasolio della 131 berlina, equipaggiandola con un motore Sofim 4 cilindri in linea di 2,5 litri. Ipotizzando, con grande lungimiranza, un possibile ritorno d’immagine da un impiego sportivo del modello, la Casa torinese incaricò l’Abarth di preparare tre 131 Diesel per il Raid Londra-Sydney del 1977, competizione che richiedeva un’auto affidabile e parca nei consumi. Alcuni componenti meccanici, come ad esempio il cambio a 5 marce e il differenziale autobloccante, erano direttamente derivati dalla Fiat 131 Abarth di serie. Dopo 45 giorni e oltre 30.000 chilometri percorsi, due 131 su tre giunsero al traguardo a Sidney il 27 settembre, con la vettura dell’equipaggio Neyret/Hoephner vincitrice di categoria. Grazie a questo importante risultato la 131 Diesel 2500, equipaggiata con lo stesso motore delle vetture da competizione, ricevette una grandissima spinta mediatica ancora prima della sua presentazione, avvenuta in anteprima mondiale al Salone di Torino del 1978.

LANCIA DELTA INTEGRALE “SAFARI” (1988)

Fra i modelli Lancia, la Delta non ha certo bisogno di presentazioni. Autentica best seller della Casa torinese, prodotta dal 1979 al 1993, ha regalato alla Lancia il Mondiale Rally Costruttori  per sei volte consecutive, dal 1987 al 1992. Quattro i titoli mondiali piloti: due per Miki Biasion (1988 e 1989) e due per Juha Kankkunen (1987 e 1991). L’Integrale in esposizione è l’esemplare del Team Martini Racing con cui nel 1988 Miki Biasion (qui, un video con il campione veneto protagonista) conquistò il gradino più alto del podio nel Safari Rally. Nel pieno rispetto del vissuto di questo importante esemplare, i restauratori delle Officine Classiche hanno deciso di conservare la vettura nelle esatte condizioni in cui ha concluso la sua “maratona” nella savana. Sul lato destro della scocca, infatti, è ancora evidente il danno causato dall’impatto con una zebra. La Lancia trionfò nuovamente al Safari nell’anno seguente (1989) e, ancora, due anni dopo, nel 1991.

Alberto Amedeo Isidoro

 

 

 

Milano AutoClassica in 50 immagini

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Si è conclusa con un successo di pubblico superiore alle aspettative la settima edizione di Milano AutoClassica, kermesse milanese dedicata alle auto storiche. Nel video e nel primo servizio su questa mostra, pubblicati il giorno dell’inaugurazione, abbiamo segnalato cosa c’era da vedere e da non perdere. In questa mega-gallery invece anche chi non ha potuto partecipare di persona all’evento può farsi un’idea di cosa rappresenti Milano AutoClassica nel panorama delle mostre-scambio nazionali ed estere.

Secondo quanto comunicato dagli organizzatori l’edizione 2017 ha registrato un incremento sia degli espositori (+8%) sia dei visitatori (+7,3%) rispetto all’edizione precedente, quella dello scorso novembre, che aveva goduto anche del traino di presenze di DuemilaRuote, la più pazza asta della storia. In cifre significa quindi un nuovo record di pubblico (64.628 appassionati) con un venduto dichiarato di oltre il 50% delle auto esposte.

Già definite anche le date della prossima edizione di Milano AutoClassica: l’ottava edizione si terrà dal 23 al 25 novembre 2018. 

Automotoretrò 2018, due cavalli alla carica

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Dal 1° al 4 febbraio 2018 la fiera di auto e moto d’epoca torinese, giunta alla sua trentaseiesima edizione, festeggerà il 70° compleanno della Citroën “2CV” (qui, qualche curiosità sulla genesi del modello). Costruita in oltre 5.000.000 di esemplari, l’icona francese è stata il simbolo di intere generazioni di automobilisti.

Progettata dall’ingegner André Lefebvre e disegnata dall’estro dello stilista varesino Flaminio Bertoni (autore di altri due miti del “Double Chevron” come la “Traction Avant” e la “DS”), la “2CV” era un’utilitaria economica, semplice, affidabile e sicura. Ancora oggi, gli appassionati la ricordano con grande simpatia: la “2CV”, infatti, è “più che una vettura, è uno stile di vita” (così, agli albori degli anni Sessanta, recitava uno slogan dell’agenzia pubblicitaria Delpire).

Padri di famiglia, giovani freschi di patente, donne, lavoratori: l’utilitaria francese è un’auto adatta a tutti, perfetta sia per il lavoro, sia per le gite fuori porta, tanto in città quanto in campagna. Del resto, la richiesta che Pierre-Jules Boulanger, all’epoca dirigente Citroën, fece ai suoi progettisti, fu proprio quella di costruire un’auto “capace di trasportare una coppia di contadini, cinquanta chili di patate e un paniere di uova attraverso un campo arato. Senza rompere un uovo”.

Al centro espositivo del Lingotto Fiere, la mitica “Deuche” sarà protagonista di una rassegna dedicata, dove i visitatori potranno ammirarla nelle molteplici versioni che si sono susseguite nell’arco dei suoi 42 anni di produzione, dal 1948 al 1990.

 

Nel 2018 fa cent’anni la meteora “Ardita”

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Alla fine della prima guerra mondiale, che aveva sconvolto l’economia del nostro Paese, la voglia di ripartire di Alfredo Gallanzi, ingegnere col chiodo fisso delle automobili, è tanta. Il tecnico decide così di aprire un salone per la vendita di automobili usate a Milano, sua città natale. L’attività parte con le migliori prospettive e così Gallanzi, imprenditore brillante e coraggioso, non esita ad alzare la posta in gioco. Facendo un’ardita (qua è proprio il caso di dirlo) scommessa con se stesso, decide in fretta e furia di costruire un’automobile tutta sua, acquistando dall’Autocostruzioni Chiribiri i diritti per la realizzazione di vetture su licenza.

Le poche Ardita (questo il nome della nuova fabbrica) che vedono la luce sono vetture piccole e modeste, in grado, però, di viaggiare con quattro passeggeri a bordo fino alla velocità di 65 km/h: non male per un’automobile di cento anni fa. Si pianifica la realizzazione di due modelli, denominati 8HP e 10HP in base alla potenza massima sviluppata dal motore. Un’interessante novità tecnica introdotta dall’Ardita è rappresentata dal cambio, separato dal motore e solidale con l’albero di trasmissione. Questa soluzione sarà in seguito adottata da un’altra Casa milanese, la Bianchi.

Alla fine del primo decennio del Novecento, complice un mercato non ancora abituato al prodotto “automobile” e la presenza sul territorio di aziende molto più solide (una su tutte, la Fiat), a mano a mano le commesse per le vetture di Gallanzi finiscono per esaurirsi: l’Ardita, così, apre e chiude il suo capitolo di storia automobilistica nel giro di un anno.

Il nome “Ardita” tornerà alla ribalta quindici anni dopo, quando nel 1933 la Fiat presenterà la “518” (conosciuta come Ardita 1750), sorella maggiore della “Balilla”. Una seconda “Ardita” della Fiat, la 2500, vedrà la luce un anno dopo, nel 1934: i cilindri passano da 4 a 6 e il numero di identificazione del modello diventa “527”.

Elisa Latella


Il Motor Show “Dalla pista alla strada”

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L’edizione 2017 del Motor Show (qui il resoconto dell’Heritage nell’edizione 2016) è alle porte. Dal 2 al 10 dicembre la kermesse bolognese dedicata sia al presente che al passato dell’automobile ospiterà, tra i tanti eventi, la chiusura dei festeggiamenti per il trentennale di Ruoteclassiche. Nel contesto di Passione Classica Racing, si terrà la mostra tematica “Dalla pista alla strada”.

Tecnica e storia si fonderanno insieme, dando vita a un percorso espositivo dove vi racconteremo delle piccole e grandi  innovazioni tecnologiche che hanno rivoluzionato per sempre il nostro modo di guidare. Dagli anni 30 agli anni 70, passando per i mitici 50, autentica gold era del progresso in campo automobilistico, la nostra panoramica vedrà protagoniste al nostro stand quattro testimonial d’eccezione. Automobili le cui innovazioni tecnologiche hanno poi trovato impiego nella produzione delle vetture di serie.

Nell’ordine, gli appassionati potranno ammirare una Bugatti Type 35 del 1930 (appaiono per la prima volta le ruote in lega leggera), una Jaguar C Type del 1951 (prima auto europea dotata di freni a disco), una Mercedes-Benz 300 SL “Ali di gabbiano” del 1955 (su cui debutta un inedito sistema d’iniezione diretta della benzina) e, infine, una Lancia Stratos in livrea Marlboro (prima a montare pneumatici radiali a profilo ribassato).

Oltre all’esposizione di vetture classiche e alla presentazione delle novità delle Case, la rassegna di Bologna Fiere promette anche tanto spettacolo e adrenalina in pista. Nell’area 48 si svolgeranno gare di vario genere, che culmineranno nell’esibizione delle Alfa Romeo della Scuderia del Portello e nel Memorial Bettega (a cui quest’anno parteciperà il campione di rally Giandomenico Basso).

Ecco i principali marchi che hanno annunciato la loro presenza a Bologna: Abarth, Alfa Romeo, Bentley, Cadillac, Chevrolet, Citroën, Corvette, Ferrari, Fiat, Honda, Hyundai, Kia, Jeep, Lamborghini, Lancia, Maserati, McLaren, Peugeot, Suzuki e Volvo.

 

 

 

Il Motor Show "Dalla pista alla strada"

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Uno sguardo a Ruoteclassiche di dicembre

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0348_AU RROYCE CORNICELo avevamo promesso, ed eccola arrivare: l’ultimo mese dell’anno ha in cover un’auto di un nostro lettore – Alessandro Marracci – proprietario della Maserati Biturbo (ultima serie, costruita in 992 esemplari), eletta dalla redazione “Miss copertina 1987”, a coronamento di una delle iniziative più seguite e apprezzate del trentennale di Ruoteclassiche.

La sezione “Auto” apre con una “Regina” – di nome e di fatto – dato il lignaggio del marchio: la Rolls-Royce Corniche Two Door Saloon del 1972 (solo 1090 costruite tra il ’71 e l’80). L’esemplare sotto la lente è appartenuta alla collezione privata di Carlo Talamo, che negli anni 90 fu importatore di Rolls-Royce e Bentley (al quale dedichiamo due pagine di approfondimento). Per proseguire poi con una ricca retrospettiva sul marchio Lincoln, alla soglia dei cent’anni, compiuti proprio nel 2017; Ford Lotus Cortina del 1965; un “Test a test” tra modi molto diversi d’interpretare il concetto di spiderina inglese anni Trenta (MG PB Mideget e Riley 9 Merlin Special).

0348_FP PADOVACon Auto Moto d’Epoca di Padova, al quale dedichiamo un ampio reportage, si chiude un fine stagione molto ricco di eventi; dalla Londra-Brighton (con ben 7 vetture italiane al via) alla Coppa Franco Mazzotti e al RallyLegend, tradizionale appuntamento autunnale con le glorie – piloti e macchine – degli anni d’oro del rally mondiale.

Un capitolo a parte merita la nostra iniziativa “Copertine d’autore”, giunta all’ultima puntata con la creazione e l’intervista di Ercole Spada, inventore per la Zagato della “coda tronca”. Tutto da leggere, tra gli “Specialisti” l’articolo sull’Officina di Pinuccio Lupini, ritrovo per Milano e dintorni di ogni appassionato (nonché proprietario) Ferrari. Tra le “Motoclassiche” spazio alla singolare Lack Douglas Sterling Countryman Deluxe 250.

Immancabile la nostra vetrina su dieci idee per il Natale dell’appassionato delle quattro e delle due ruote vintage. Il “Flashback” del mese ricorda la première del film cult “Il laureato”, uscito nelle sale americane nel dicembre del 1967 e da noi l’anno dopo.

Due gli allega0348_FP LONDRA BRIGHTONti del numero in edicola. Il primo gratuito, lo speciale “Tempo”: 68 pagine di “Storie, passione, stile”, con l’approfondimento su sette le grandi maison d’alta orologeria e un’articolata vetrina con 36 segnatempo scelti da noi.

Il secondo è il nostro tradizionale calendario da collezione (9,90 euro insieme con Ruoteclassiche;  solo rivista, 5,50 euro). Per il 2018 il tema scelto è “Il meglio del trentennale”: 12 icone di stile, ma anche campionesse di simpatia e sportività, che nel corso del 2017 sono transitate nei nostri studi.

Uno sguardo a Ruoteclassiche di dicembre

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A Ferrara l’ultima mostra-scambio dell’anno

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L’8 dicembre, al centro espositivo di Ferrara Fiere, si terrà la mostra scambio “Auto e moto del passato – Grande Mercato”, ultima della stagione 2017. L’evento è organizzato dalla Marcello Eventi di Rovigo, realtà a gestione familiare nata nel 1995 che nell’ambiente vanta una grande esperienza nel settore delle mostre-scambio e dei mercatini. Per appassionati e collezionisti, impossibile mancare all’appuntamento ferrarese: potrebbe essere l’ultima occasione per accaparrarsi un ricambio mancante, terminando così il restauro della propria storica prima delle vacanze di Natale.

L’area interna della fiera si svilupperà in due ampi padiglioni, il 3 e il 4, per una superficie espositiva complessiva di 4000 mq. Per chi è della vecchia guarda e ama “sporcarsi le mani” curiosando tra gli scatoloni, poi, non mancheranno numerosi stand all’esterno: 6000 i mq outdoor da esplorare,  alla ricerca di pezzi di ricambio, riviste specializzate e documentazione d’epoca. Auto e moto, biciclette, trattori, modellini e automobilia in genere: 10.000 mq all’insegna della passione per il motorismo storico. Giunta quest’anno alla sua 19esima edizione, la rassegna romagnola vanta numeri di tutto rispetto: l’anno scorso 302 gli espositori e 7000 i visitatori che hanno preso parte all’evento.

I cancelli di via della Fiera 11 (Ferrara) apriranno alle 8.30. I titoli di ingresso sono disponibili in prevendita sul sito della manifestazione (clicca qui) e permettono di accedere agli spazi espositivi saltando la fila. La chiusura è fissata alle 17.00.

 

 

Un ripasso dell’epopea del Biscione in Formula 1

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Correva l’anno 1950 e dalla Formula A, regolamento nato nel 1946 sulla scia della Formula Grand Prix dei primi Anni 20, fu ufficialmente inaugurata la prima stagione del Campionato Mondiale di Formula 1, partito il 13 maggio con il Gran Premio di Silverstone, per l’assegnazione del titolo piloti.

L’Alfa Romeo 158
La più longeva monoposto della storia dei gran premi – la 158 “Alfetta” – aveva debuttato ufficialmente il 7 agosto 1938 alla Coppa Ciano a Livorno (primo posto con Emilio Villoresi e secondo posto con Clemente Biondetti). Il progetto era iniziato l’anno precedente: Gioacchino Colombo e Alberto Massimino, valenti progettisti della Scuderia Ferrari, avevano iniziato lo sviluppo di una nuova monoposto erede della Tipo C con motori 8 e 12 cilindri. La vettura, motorizzata con un 8 in linea di 1,5 litri sovralimentato con compressore, da cui la denominazione “158”, si dimostrò immediatamente molto competitiva grazie alla felice combinazione di potenza elevata e peso molto contenuto. Ma lo scoppio della seconda Guerra Mondiale mise freno a qualsiasi desiderio di vittoria. Le 158 furono smontate e nascoste nel milanese per salvarle dallo sciacallaggio. Dopo il disastro bellico, la Formula Grand Prix aveva ricominciato la sua attività nel ’46, con l’Alfa subito pronta a schierare la 158, nel frattempo evoluta e migliorata.

L’annata ’49 era stata tragica per l’Alfa a causa della scomparsa dell’ottimo pilota Jean Pierre Wimille e del Conte Felice Trossi (uno degli uomini chiave degli inizi della Scuderia Ferrari e talentuoso pilota gentleman), due perdite talmente importanti da imporre la decisione di non partecipare alle corse in quell’anno.

Campionato Mondiale di F1 1950: la 158 domina, arriva la nuova 159
Il 1950 fu l’anno del riscatto. L’Alfa Romeo schierò l’ultima evoluzione della 158, cresciuta e maturata fino a esprimere 350 Cv su una massa di appena 700 chili. Alla gara di Silverstone del 13 maggio, prima prova valida per il Mondiale, fu un trionfo con tre Alfa Romeo 158 ai primi tre posti: vinse Nino Farina di fronte all’attempato Luigi Fagioli (52 anni!) e a Reg Parnell. Il quarto pilota, il 39enne Juan Manuel Fangio, fu costretto al ritiro per noie al motore.

L’asso argentino si rifece al successivo GP di Monaco, gara di debutto in Formula 1 della Scuderia Ferrari con le 125 F1. Fangio, partito dalla poleposition, rimase in testa fino alla fine rivalendosi sui ritirati Farina e Fagioli. Esclusa la 500 Miglia di Indianapolis, alla quale non partecipò alcun marchio costruttore europeo, il dominio Alfa continuò al successivo GP di Svizzera (1° posto di Farina, 2° posto di Fagioli), GP del Belgio (vittoria di Fangio, 2° Fagioli), GP di Francia (ancora Fangio, Fagioli secondo). Alla gara finale di Monza, tutti e tre i piloti si trovarono in lotta per il titolo. Vinse Farina (l’Alfa dominò l’intera stagione con sei vittorie su sette gare), superando di 3 punti Fangio. Il pilota italiano, peraltro, colse la vittoria portando al debutto la nuova Alfa Romeo 159 con carrozzeria realizzata da Zagato e motore ulteriormente potenziato a 420 cavalli.

1951: La 159 vince ma la Ferrari inizia a dilagare
Al campionato del 1951 l’Alfa Romeo fu ancora la vettura da battere ma un nuovo forte avversario appariva all’orizzonte. La Ferrari, che l’anno precedente aveva corso in sordina con le 125 12 cilindri sovralimentate, aveva schierato le nuovissime 375 F1 con motore 4,5 litri aspirato. Enzo Ferrari, infatti, aveva intuito il limite tecnico del motore sovralimentato (potenziato, in fin dei conti, con l’aumento dimensionale del compressore). Il biscione, infatti, continuava con l’8 cilindri più compressore Roots e con questa scelta si garantiva prestazioni certamente inarrivabili ma pagava un prezzo enorme. Le Alfa infatti, registravano consumi sbalorditivi, che costringevano a continue soste ai box, fonte di pericolosi ritardi.

L’Alfa Romeo si aggiudicò le prime tre gare (Fangio al GP di Svizzera, Farina al GP del Belgio e nuovamente Fangio ai GP di Francia e Spagna) ma le tre vittorie della Ferrari nei successivi tre appuntamenti (Silverstone – prima vittoria in F1 della Casa di Maranello, Nurburgring e Monza), lasciarono aperti i giochi fino all’ultima corsa in Spagna. Sul circuito cittadino di Pedralbes, l’Alfa 159 dell’argentino dominò contro le Ferrari – merito soprattutto della indovinata scelta delle gomme – e gli permise la conquista del primo dei suoi cinque titoli piloti.

L’Alfa Romeo aveva battuto tutti per la seconda volta consecutiva. Ciononostante, a causa dei costi sempre più crescenti che l’IRI – proprietario dell’azienda – decise di non continuare a sostenere, il Portello annunciò che non avrebbe partecipato al campionato del ’52 nonostante fosse già stato avviato il progetto della nuova Alfa Romeo 160 con motore centrale-posteriore da 2,5 litri. Sono due sostanzialmente i motivi per cui l’Alfa Romeo si ritira dalle competizioni al termine della stagione 1951: il primo perché lo sviluppo della 159 era arrivato al capolinea (l’origine è del 1938!); il secondo perché l’azienda ha l’obiettivo di concentrarsi sulla realizzazione e sulla produzione della “Giulietta”. Gli uomini che si  dedicavano alla progettazione delle auto da corsa erano infatti gli stessi che si dedicavano alla produzione di serie.

Anni 60: il Biscione ci riprova (come fornitore di motori)
All’inizio degli Anni 60, grazie all’impegno di alcuni “spiriti illuminati” (in particolare Carlo Chiti e Lodovico Chizzola, ispiratori dell’Auto Delta, creata come struttura “semi-ufficiale” nel marzo del ’63 e confluita nel ’66 nel nuovo Reparto Corse Alfa Romeo), il Biscione si dedicò alla serie Turismo e ai prototipi (prima con le Giulia TZ e TZ2 con carrozzeria Zagato, poi con la favolosa 33), escludendo un interesse diretto nella F1 senza, per questo, trascurare totalmente la serie.

A partire dal campionato ’61 di F1 la FIA decise un drastico ridimensionamento delle cilindrate per ridurre le prestazioni delle vetture. Sfruttando il motore 4 cilindri in linea bialbero della Giulietta, l’Alfa Romeo divenne fornitore di team minori – De Tomaso, la britannica LDS e la Cooper – ma con risultati invero scarsi. Dal 1966, con il ritorno al motore 3 litri, la sua presenza nella categoria cessò nuovamente fino al 1970.

Anni 70
Per non perdere il treno della Formula 1, contraddistinta da un successo sempre crescente, l’Alfa Romeo continuò a recitare il minore – ma sempre importante – ruolo del fornitore alle scuderie. Per la stagione 1970 concluse un accordo con il team Bruce McLaren Motor Racing in forza del quale il team neozelandese avrebbe utilizzato una versione modificata dell’8 cilindri dell’Alfa 33 con 3 litri. L’anno successivo questo propulsore andò invece ad equipaggiare la March 711. Nel ’76, infine,  fu raggiunto un accordo con la Brabham – da poco ceduta a Bernie Ecclestone, che vedeva nei motori Alfa un’ottima scelta per la capacità di fornire potenze molto elevate. Poiché all’epoca la Casa era impegnata ufficialmente nel campionato Mondiale Sport Prototipi con la 33TT12, nella nuova Brabham BT45 fu installato il 12 cilindri tipo 115.12 con 3 litri. Questo motore, dotato di grande potenza, palesava alcuni limiti strutturali (peso, ingombro, complessità costruttiva) e un consumo molto elevato, al punto che durante la stagione il team inglese non andò oltre la conquista di tre quarti posti in gara e il 9° posto in classifica costruttori. Le cose andarono leggermente meglio l’anno successivo: l’evoluzione della BT45, la BT45B, riuscì a fare molto meglio, seppure minata dalla sfortuna: due secondi posti (Argentina e Francia) e due terzi posti (Germania e Austria) consentirono di concludere il campionato al quinto posto.

Per la stagione di corse ’78 fu schierata prima la BT45C e, successivamente, la nuova BT46. Noti gli ormai “classici” problemi di ingombro del 12 cilindri a V di 180° by Alfa, il progettista Gordon Murray dovette ingegnarsi per cercare di “avvicinarsi” alle fortissime Lotus. La soluzione fu trovata in una ventola posteriore che creava una forte deportanza sulla coda, schiacciandola – letteralmente – al suolo. La BT46 del 1978 è una monoposto molto innovativa: il mix tra Gordon Murray e Carlo Chiti è stato esplosivo. La macchina, molto competitiva, consentì al Parmalat Racing Team di ottenere ottimi risultati (conquistati da Niki Lauda, John Watson e Nelson Piquet), tra cui le due vittorie del campione austriaco nei GP di Svezia e d’Italia.

1979: Alfa Romeo costruttore e fornitore
Le pressioni di Carlo Chiti furono all’origine della decisione del management Alfa di tornare ufficialmente in Formula 1 per il campionato ’79 e recitare un ruolo di primo piano con una vettura completamente nuova. La 177, a cui il tecnico toscano aveva iniziato a lavorare già due anni prima, nacque in un momento di profonda transizione, con la Lotus decisa a sconvolgere il Circus introducendo nuove e straordinarie novità in tema di aerodinamica, in particolare con l’applicazione sistematica dell’“effetto suolo”. La migliore qualità della monoposto 177 era stata, fino a quel momento, l’architettura del motore: sfruttando lo schema a cilindri contrapposti, era possibile beneficiare di un baricentro molto basso, a tutto vantaggio della stabilità. Tuttavia con la nascita della Lotus 78, primo esempio di “wing car” e la definitiva “esplosione” della sua evoluzione, la Lotus 79 con minigonne ed effetto suolo, l’Ing. Chiti decise di correre ai ripari con la progettazione di un nuovo propulsore, a V stretta, per sfruttare  i nuovi principi introdotti. Nel frattempo continuava la fornitura di motori al team Parmalat: le Brabham BT46 montavano ancora il V12 piatto tipo 115-12 ma presto la nuova BT48 avrebbe ricevuto il nuovo propulsore italiano a V.

Bruno Giacomelli portò al debutto l’Alfa Romeo 177 al Gran Premio del Belgio, sesta gara del campionato, ma fu costretto al ritiro. Ma già al Gran Premio di Monza apparve la sua erede, la l’Alfa Romeo 179 dotata del nuovo 12 cilindri a V di 60°, il tipo 1260. La gara sul circuito brianzolo fu anche l’ultima della 177, guidata da Vittorio Brambilla.

Alfa Romeo 179: V12 60°, effetto suolo
Rispetto al propulsore precedente, strettamente derivato da un motore utilizzato per le gare Prototipo, il Tipo 1260 era il primo motore “puro” per la Formula 1 dai tempi della 158 “Alfetta”. L’architettura prevedeva basamento in alluminio, pistoni in titanio, distribuzione bialbero con 4 valvole, iniezione meccanica Lucas. La potenza massima era di 540 Cv e il peso era di una buona decina di chili inferiore rispetto al 12 cilindri “piatto”.

A dispetto della brevissima carriera agonistica della 177, l’Alfa Romeo 179 ebbe una carriera agonistica molto più lunga (versioni 179B, 179C, 179D, 179F). Dopo l’infelice debutto nella breve stagione ’79, andò leggermente meglio nel 1980 con la rinnovata scuderia Marlboro Alfa Romeo (Giacomelli, quando non costretto al ritiro, ottenne due quinti posti e un tredicesimo posto, oltre alla partenza in pole position in Canada) anche se si dovette registrare la perdita del pilota Patrick Depallier (succeduto a Vittorio Brambilla), tragicamente scomparso durante una sessione privata di test in Germania. Il suo posto fu temporaneamente ripreso da Brambilla e poi definitivamente da un giovanissimo Andrea De Cesaris (appena 21 anni) che proprio con l’Alfa Romeo debuttò in F1 al GP del Canada.

Durante la stagione ’81 (piloti: Bruno Giacomelli e Mario Andretti), caratterizzata dall’abolizione dell’effetto suolo da parte delle vetture, Bruno Giacomelli, tra alterni risultati, ottenne il miglior risultato di sempre con la 179: un terzo posto alla gara conclusiva a Las Vegas mentre il compagno Mario Andretti conquistò solo un quarto posto al gran premio inaugurale degli Stati Uniti a Long Beach.

1982: Alfa Romeo 182
L’Alfa 179 corse per l’ultima volta al Gran Premio del Sud Africa del 1982, prima gara di Campionato. La nuova macchina, l’Alfa Romeo 182, contraddistinta ancora dal motore V12 60° ma da un nuovo telaio monoscocca in fibra di carbonio (sviluppato sulla 179F, al contarrio ella Ferrari che utilizzava ancora l’alluminio), prese parte al Campionato con Andrea De Cesaris e Bruno Giacomelli. Durante la stagione lo sviluppo proseguì senza sosta e si concretizzò nelle nuove versioni 182B e, dal Gran Premio di Monza di settembre (utilizzata solo in qualifica) 182T dotata di un nuovo motore biturbo per 640 cavalli di potenza, circa 100 in più rispetto al V12 Tipo 1260. La stagione non fu particolarmente prodiga di risultati per il Biscione, il cui miglior piazzamento fu il terzo posto ottenuto da De Cesaris al GP di Monaco. De Cesari aveva conquistato anche la Pole Position a Long Beach, restando in testa al GP USA West fino al momento del ritiro.

1983: Alfa Romeo 183T con motore biturbo 890T
La stagione fu contrassegnata dalla definitiva consacrazione del motore Turbo. L’Alfa Romeo, che schierò Andrea De Cesaris e Mauro Baldi al posto di Bruno Giacomelli, portò al debutto il nuovo motore 890T, progettato dall’ing. Chiti, sulla nuova 183T. Il propulsore, architettura a 8 cilindri a V con 1,5 litri di cilindrata, fu all’inizio corredato da turbocompressori “nostrani”: si trattava di unità prodotte dalla Alfa Avio, poi sostituiti con altri prodotti dalla KKK.

De Cesaris conquistò un secondo posto in Germania e in Sud Africa, Baldi ottenne un quinto posto in Olanda e un sesto posto al GP del Principato di Monaco. L’Alfa Romeo concluse la stagione al sesto posto, il miglior risultato di sempre nella sua seconda esperienza in F1 come costruttore. Durante l’anno la Casa fornì il vecchio motore 1260 all’Osella Squadra Corse per la sua monoposto FA1E.

1984 – 85: Alfa Romeo 184T e 185T con i colori Benetton
Per l’annata 1984 (serbatoi da 220 litri ed eliminazione del rifornimento in gara) l’Alfa Romeo affidò l’intera gestione della Formula 1 all’Euroracing (entrata nel management del team nel 1982), e lasciando all’Autodelta la fornitura dei motori. Persa la sponsorship della Malboro, le Alfa Romeo furono vestite con i colori della Benetton. Il Benetton Team Alfa Romeo schierava le nuove Alfa Romeo 184T, affidate a Eddie Cheever e Riccardo Patrese. Il motore 890T fu riproposto in una versione aggiornata a 680 cavalli ma caratterizzata da un consumo elevatissimo che lasciò molto spesso i piloti a piedi.

Durante l’anno Patrese arrivò terzo a Monza, Eddie Cheever conquistò il quarto posto in Brasile. La stagione fu conclusa all’ottavo posto con 11 punti (contro i 143,5 del vincitore McLaren).

L’anno successivo, con la 185T, l’Alfa Romeo partecipò a otto gare ma la scarsa qualità della macchina costrinse a tornare indietro, nel pieno delle ostilità, alla 184T, aggiornata in 184TB. Il Biscione concluse la stagione con 0 punti collezionando quasi esclusivamente ritiri e riuscendo appena a concludere tre gran premi in nona posizione. Molti anni dopo, Patrese definirà la 185T “la peggiore auto che avessi mai guidato!”. A fine stagione l’Alfa Romeo decise il ritiro dalle competizioni e lo stesso Carlo Chiti uscì dall’orbita Alfa per fondare la Motori Moderni.

 Gli anni successivi: ancora motori, la 164 ProCar
La presenza dell’Alfa Romeo in Formula 1 non si concluse definitivamente nonostante la fallimentare annata ’85. L’Osella Squadra Corse continuò a utilizzare l’expertise dell’Alfa, sia con riguardo alle vetture, sia per quanto riguarda i powertrain. Per le stagioni ’86, ’87 e ancora nel 1988 (sebbene ridenominato Osella V8 a causa della rottura dei rapporti), la piccola azienda italiana montò il motore 890T sulle sue auto. La stessa Alfa, dal canto suo, provò a mettere in cantiere qualche progetto: nel 1985, in previsione della conclusione dell’era del motore turbo (nell’89 si tornò all’aspirato), progettò un 10 cilindri a V di 3,5 litri (progetto motore V1035). Inoltre, nel 1986, in seguito alla stipula di un accordo con la Ligier, fu varato il progetto Alfa Romeo 415T, consistente in un 4 cilindri biturbo di 1.500 cc da 850 Cv, che avrebbe dovuto essere utilizzato nel campionato ’87. Ma il Gruppo FIAT, nuovo proprietario dell’Alfa Romeo in seguito alla cessione da parte dell’IRI, cancellò tutto. Il motore V1035, invece, riuscì a “durare ancora un po’”.

Nel 1987 la FIA iniziò a diffondere l’intenzione di organizzare un campionato ProCar con auto simili, almeno esteticamente, a vetture di serie ma con tecnologie da F1. Il Gruppo FIAT diede il via libera all’Alfa Romeo per la partecipazione. Il risultato si concretizzò nella 164 ProCar, con il V10 da 620 Cv montato in posizione centrale su un telaio progettato dalla Brabham e vestito con la carrozzeria di una Alfa 164. Il 9 settembre ’88 la macchina fu presentata alla stampa durante il GP di Monza ma il previsto campionato ProCar era già stato cancellato a causa dello scarso interesse dimostrato dai costruttori. L’Alfa Romeo decise, allora, di dirottare le esperienze verso il Gruppo C e di ipotizzare l’utilizzo del motore V1035 su un’Alfa per la categoria Prototipi. Ma al V10 fu preferito il 12 cilindri già usato sulle monoposto Ferrari sulle monoposto di quel periodo. Il concept dell’Alfa Gruppo C portato a compimento e presentato alla stampa nel 1992.  Ciononostante i vertici del Gruppo non diedero il definitivo semaforo verde e anche quest’ultima Alfa da corsa rimase poco più di un sogno.

Alvise-Marco Seno

Retro Classics, una e trina

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Certo, non stiamo parlando dell’enorme Techno Classica di Essen (che si svolgerà nelle stesse date, a partire da mercoledì 21), ma le tre kermesse riservano comunque sorprese di tutto rispetto. A Colonia, per esempio, dal 24 al 26 novembre era esposta la collezione personale di Michael Schumacher. E, fra oldtimer e modelli più recenti, c’era anche un’altra chicca: la Brabham BT 23 con motore Ford-Cosworth con cui Jochen Rindt ha vinto nel 1968 il Trofeo di Germania a Hockenheim e altri premi in F2 quali l’International Guards 100 a Snetterton e il Barc 200 a Silverstone nel 1967.

L’importante passato automobilistico di Colonia è stato poi al centro di un’ampia rassegna. Tra i fatti storici più salienti, è stato ricordato che nella città della Renania Settentrionale Nicolaus August Otto ha messo a punto il primo motore a combustione interna a quattro tempi (1860) e, qualche decennio più tardi, anche il fondatore dell’Audi, August Horch, è passato di lì creando la sua primissima azienda. In totale sono state esposte circa 1.500 macchine in un’area di 60mila mq, con 480 espositori presenti. Era la prima volta che Retro Classics toccava Colonia e per novembre 2018 è già stato  fissato un bis.

Ma veniamo al futuro più imminente. Prossima fermata, Norimberga. Per tre giorni lo spazio fieristico della città bavarese si trasformerà nel tempio dello Scorpione. Sì, perché un’esposizione speciale e particolarmente vasta di “piccole belve” renderà omaggio al genio di Karl Abarth. Perciò, se volete ammirare da vicino un excursus delle sue derivazioni Fiat, ma anche dei suoi modelli, Retro Classics Bavaria sarà il posto giusto. Anche perché al centro della presentazione campeggerà la collezione di Leo Aumüller di Schönbrunn, costellata di prototipi e una delle più grandi al mondo con i capolavori dell’imprenditore austriaco. Per chi è interessato ai trattori, poi, è prevista una sezione di approfondimento. Intanto concerti e spettacoli faranno da sfondo a mostre, mercati e compravendite. Con l’occasione, la caratteristica atmosfera natalizia, a una manciata di minuti di treno dalla fiera, potrà pure valere una visita del centro città.

Per chi volesse aggiudicarsi una storica da sogno all’incanto, sabato 9 si terrà un’asta (qui il catalogo on-line). Il concorso d’eleganza, invece, si farà attendere fino all’8 luglio. Retro Classics Bavaria avrà infatti un richiamo estivo nel 2018 a una settantina di km a sud di Norimberga, nel parco di una splendida villa barocca (Schlosspark Dennenlohe). E con 25 ettari di vetture in competizione ci sarà di che lustrarsi gli occhi.

RETRO CLASSICS BAVARIA

Date: 8-10 dicembre 2017

Orari: 09.00 – 18.00;

Ingresso: 20 euro.

 

Laura Ferriccioli

 

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