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Dieci “youngtimer” a prezzo… di saldo

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Al prezzo di una moderna city-car potreste mettervi in garage una “youngtimer” coi fiocchi, ci avete mai pensato? Oltre il tempo e oltre le mode, abbiamo stilato una lista di dieci storiche per cui siamo certi sareste disposti a fare carte false. Dieci auto molto diverse tra loro ma con un denominatore comune: il prezzo. Costano tutte meno di 10.000 euro.

Che amiate i track day, la guida en plein air o quella più confortevole di una berlina, poco cambia. Le vetture che stiamo per proporvi hanno tutte oltrepassato le venti primavere e – ve lo garantiamo – promettono un’esperienza di guida molto più emozionante di quella offerta dalle auto moderne. Al costo di un’utilitaria nuova, potreste mettere le mani su una tra queste “vecchiette” che sicuramente scorrazzano da tempo nei vostri sogni di appassionati. Che sia per il tragitto casa-ufficio o per un weekend fuori porta, vi suggeriamo una “top ten” da non lasciarsi scappare.

1) Fiat Uno Turbo i.e. (1985)

Fiat Uno Turbo i.e.Sportiva dall’abito discreto, è tra le utilitarie l’esempio più lampante del “design che funziona” di Giorgetto Giugiaro. A differenziarla dalle Uno di tutti i giorni fendinebbia, codolini, cerchi in lega e spoiler posteriore. Centocinque cavalli per 845 kg di peso: l’esperienza di guida, sul filo dei duecento all’ora, è adrenalina pura. Da cercare in condizioni di assoluta originalità, oggi vale 4500 euro.

2) Peugetot 205 GTI (1984)

Peugeot 205 GTIAltra “piccola bomba” che ha segnato l’epoca delle utilitarie pepate anni Ottanta. Motore atmosferico di 1,6 litri, 105 CV (dal 1986 sono 115) e un DNA da bruciasemafori: le premesse per divertirsi al volante ci sono tutte. Da segnalare, oltre alle “millesei”, la più potente 1.9 da 130 CV e la leggerissima Rallye 1.3 da 100 CV. Si spendono al massimo 10.000 euro.

3) Volkswagen Golf GTI (1984)

Volkswagen Golf GTITre lettere, una leggenda. A ventitré anni dal debutto, la seconda generazione della compatta di Wolfsburg nella sua declinazione più sportiva è già un mito. Il motore 1.8 garantisce prestazioni brillanti, il comportamento stradale è facile e prevedibile. La versione più allettante è senza dubbio la G60: grazie all’adozione del compressore “G” con intercooler aria/aria sviluppa la potenza di 160 CV (216 km/h la velocità massima). Un esemplare in perfette condizioni vale 7500 euro.

4) Alfa Romeo 33 Permanent 4 (1991)

Alfa Romeo 33 Permanent 4 (2)La massima evoluzione della più sportiva delle “33”. Raffinatissima la trasmissione con giunto viscoso centrale Ferguson, con la coppia motrice distribuita prevalentemente all’avantreno (95%). Il motore, altro pezzo forte della compatta del Biscione, nella versione non catalizzata eroga la bellezza di 137 Cv a 6500 giri/minuto. Pronto e vigoroso sin dai medi regimi, ha dalla sua la tipica e coinvolgente sonorità del boxer Alfa. Potrebbero bastare 2000 euro.

5) Alfa Romeo 75 (1985)

MARCHI M3

Non ha certo bisogno di presentazioni: è l’ultima berlina a trazione posteriore della Casa prima dell’arrivo dell’attuale Giulia (2016). La meccanica transaxle è quella, collaudatissima, dell’Alfetta (1972). I generosi motori bialbero, aggiornati rispetto alle unità originarie, vedono con l’avvento della seconda serie l’adozione dell’iniezione elettronica. L’erogazione è meno brusca rispetto alle versioni a carburatori, la magia del sound resta pressoché invariata. Una “1.8 IE” (versione che quest’anno compie 30 anni) costa dai 4 ai 6000 euro.

6) Alfa Romeo 156 (1997)

Alfa Romeo 156Restiamo ancora in casa Alfa, suggerendovi quella che è probabilmente la berlina più bella della sua generazione. La 156, capolavoro di Walter De Silva, è ispirata alle grandi Alfa Romeo del passato e ha uno stile davvero senza tempo. A vent’anni dal debutto, è già un grande classico. Con il V6 Busso, poi, fa dimenticare  l’assenza della trazione posteriore persino agli alfisti più intransigenti. Il 6 cilindri sviluppa una potenza di 192 CV a 6300 giri/minuto, per una velocità massima di quasi 230 km/h. Prezzo? 3000 euro.

7) Fiat Coupé (1993)

Fiat CoupeMarchio “popolare”, griffe d’autore. Questa sportiva Fiat disegnata da Chris Bangle per Pininfarina ha motori robusti e prestazioni da gran turismo. La guida, facile e sicura, nella versione sovralimentata “2.0 i.e Turbo 16 valvole” si fa davvero divertente. Trovarla in ordine, tuttavia, potrebbe rivelarsi un’impresa. Motore 4 cilindri, 190 CV, 225 km/h. Per portarsela a casa servono 3000 euro.

8) Opel Calibra (1989)

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L’ultima opera di Erhard Schnell per la Casa del Fulmine ha un design votato all’aerodinamica (Cx 0,26) che conquista i giovani. La versione “Turbo 4×4″ – che vi consigliamo – è una delle pochissime vetture granturismo con trazione integrale mai costruite. Gran tenuta di strada e prestazioni più che brillanti (i 204 CV del motore 2 litri la spingono alla soglia dei 250 km/h). Costava relativamente poco appena uscita, nel 1992, e costa poco oggi: si compra con 4000 euro.

9) BMW Z3 (1996)

RCL PORSCHE 020

Questa grintosa roadster bavarese, con il suo design un po’ moderno e un po’ retrò, è una vera “instant classic”. Utopico, ormai, trovarne una a 6 cilindri per meno di 15.000 euro. Se volete spendere meno, andate dritti sulla versione “base”: il motore è un 4 cilindri di 1,8 litri da 115 CV. Non saranno i 192 della più ambita 2.8, ma bastano comunque a farvi correre col vento nei capelli sul filo dei duecento all’ora. Costa 7500 euro.

10) Mazda MX-5 (1989)

Mazda MX-5La Miata (gli appassionati la chiamano anche così) è una frizzante spider giapponese dal gusto “british”, specie nella livrea neo Green che caratterizza la rara V-Special del 1991 (è questa che vi consigliamo di cercare). Piuttosto diffusa sulle nostre strade, grazie alla sua proverbiale affidabilità e ai bassi costi di manutenzione, è una scoperta molto richiesta sul mercato. La prima serie, prodotta dal 1990 al 1997, costa dai 6 ai 9000 euro.

Alberto Amedeo Isidoro

Dieci "youngtimer" a prezzo... di saldo

Mazda MX-5
RCL PORSCHE 020
FATTI001
Fiat Coupe
Alfa Romeo 156
MARCHI M3
Alfa Romeo 33 Permanent 4 (2)
Volkswagen Golf GTI
Fiat Uno Turbo i.e.
Peugeot 205 GTI
Peugeot 205 GTI

Dal Mauto al Motor Show, 5 anteguerra da corsa a Bologna

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Macchine da corsa che non si vedono certo tutti i giorni quelle che il Mauto di Torino metterà in mostra alla quarantunesima edizione del Motor Show, in programma dal 2 al 10 dicembre presso il polo fieristico di Bologna Fiere. Cinque rarissime vetture degli anni 20 e 30, testimoni d’eccezione dell’alba ruggente del motorsport internazionale.

Ecco le vetture presenti in fiera:

Temperino mod. 8/10 HP (Italia, 1920)

La Temperino fu fondata a Torino nel 1919 ed era specializzata nella produzione di piccole automobili a due posti. Il primo modello costruito dalla fabbrica piemontese fu proprio la 8/10 HP: grazie alle sue doti di maneggevolezza e di praticità, questa vetturetta riscosse un buon successo di vendite sia in Italia che all’estero. La versione sportiva, che il pubblico potrà ammirare a Bologna, conobbe diverse affermazioni in gara, tra cui la Sassi-Superga nel 1919 e il giro del Sestrière nel 1920.

Monaco-Trossi competizione (Italia, 1935)

Automobile da corsa rivoluzionaria, fu realizzata dal tecnico Augusto Monaco e dal collaudatore Carlo Felice Trossi. La sua principale caratteristica è il motore anteriore due tempi a 16 cilindri disposti a doppia stella, raffreddato ad aria (proprio come sugli aerei). Aveva – fatto curioso (almeno per l’epoca) – la trazione trazione sulle ruote anteriori: si evitava, così, l’installazione di un lungo albero di trasmissione.

Itala 11 (Italia, 1925)

Vetturetta da competizione progettata dall’ingegner Giulio Cesare Cappa, fu presentata dall’Itala di Torino nel 1925. È una delle primissime monoposto costruite e vanta caratteristiche tecniche d’avanguardia, come il motore 12 cilindri a V sovralimentato da un compressore volumetrico Roots, la trazione anteriore, le sospensioni a quattro ruote indipendenti e il telaio in legno rinforzato.

Monaco-Nardi Chichibio (Italia, 1932)

Dotata di trazione anteriore, motore trasversale a 2 cilindri a V con raffreddamento ad aria e sospensioni a balestra. Grazie a un telaio molto semplificato e alla carrozzeria in alluminio ha un peso a vuoto di soli 300 kg. La vettura, battezzata “Chichibio” in onore del cane di Augusto Monaco (costruttore dell’auto), partecipò a diverse gare in salita e, sul chilometro lanciato a Monza, fece registrare la velocità massima di 180 km/h.

OM 469 N (1922)

È la versione sportiva della vettura costruita nel 1922 dalle Officine Meccaniche di Brescia ed è rimasta in produzione fino al 1934. Vinse nella categoria 1500 la Coppa delle Alpi e, poi, sui circuiti del Garda e del Mugello nella stagione sportiva 1922. La sigla “469” identifica, nell’ordine, il numero dei cilindri del motore (4) e la misura dell’alesaggio dei cilindri in millimetri (69).

 

 

 

 

Dal Mauto al Motor Show, 5 anteguerra da corsa a Bologna

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Mercato delle storiche, “Top Lot” o “Small Cap”?

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L’ultimo report di Axa Art (basato su dati Ademy) che registra tutte le transazioni legate alle aste degli ultimi dieci anni non lascia spazio a dubbi: nonostante una lieve flessione dell’anno in corso le auto classiche rimangono tra i migliori investimenti nel settore dei beni di lusso, con un eloquente +192%.

Solo i gioielli sulla stessa base temporale hanno fatto meglio ma occorre tenere conto, confrontando due tipologie di beni da collezione molto diversi, che in quest’ultimo caso a determinare oscillazioni nella forchetta di prezzo possono anche essere i valori dei materiali preziosi come oro e diamanti.

Per le auto il picco massimo di crescita, avvenuto nel 2015, sta ora lasciando spazio a una crescita riflessiva pari al 3% nel 2017. Ciò non toglie che in ogni caso la performance delle auto classiche sopravanzi nettamente l’indice S&P Global Luxury che, sulla stessa scala temporale decennale, dal 2006 ha fatto registrare un comunque ottimo +84%. Semplificando, si potrebbe dire che le auto storiche crescono il doppio della media del mercato dei beni da collezione e che chi avesse investito 100.000 euro dieci anni fa in una storica ora avrebbe quasi triplicato.

Uscendo dai freddi numeri, il report Axa Art fornisce altri spunti e campi di analisi di cui occorre tenere conto. A cominciare dal fatto che ovviamente le auto classiche non sono tutte uguali, sia per valore che per rivalutazione. Come non è uguale il contributo che danno ai valori complessivi quando si guardano le storiche suddivise per le varie categorie.

Alcuni esempi? In un’asta chiave come Peeble Beach le auto con valore superiore al milione di dollari, le cosiddette “top lots” hanno raggiunto quota 70 unità, incrementando la propria presenza del 25% rispetto all’anno precedente. In generale le “top lots”, quindi le auto con maggior valore e – se vogliamo dirla tutta – quelle più rare e dei marchi più prestigiosi che “bucano” anche in comunicazione guadagnando prime pagine e spazi anche sui media generalisti, coprono il 40% del valore complessivo di mercato pur raggiungendo, su fredda base numerica, solo il 2% del volume complessivo delle transazioni.

Al contrario le “small cap”, ovvero le auto da collezione che passano di mano a valori inferiori ai 100.000 euro, sono in forte crescita per numero di transazioni e coprono oltre il 75% del mercato. Non è un caso che dietro questo numero si inizi a vedere l’effetto delle giovani generazioni che si affacciano al mercato delle auto da collezione più recenti e di valore più basso.  Per ora.

La categoria delle “mid cap”, ovvero le auto passate di mano nella forchetta tra 100.000 e 1 milione euro, è invece l’unica a far segnare crescita sia per transazioni complessive che per valore complessivo. L’apprezzamento impressionante delle Porsche 911 non è estraneo alla performance di questa categoria.

Ma volendo ancora di più spaccare il capello, come sempre, anche all’interno di ogni categoria ci sono storie particolari e fenomeni legati a fattori moda o apprezzamento del singolo modello. Una sempreverde del collezionismo come la MG A ha fatto segnare un “modesto” +47% di crescita negli ultimi dieci anni. Nella categoria “mid cap” la Corvette Stingray del 1967 passa di mano in media per 190.000 euro quando dieci anni fa il valore era intorno ai 100.000. Ma, quel che più conta, tutte quelle messe all’asta sono andate vendute.

Ritornando alla categoria delle “vecchiette milionarie” una Lancia Aurelia B24 Spider America nello stesso periodo ha cambiato categoria ed è passata da un prezzo medio di assegnazione 200.000 euro del 2008 al 1.428.000 del 2017. Non servono percentuali per capire quale sia stato il migliore affare e che, similmente, tra dieci anni qualcuno brinderà per aver scelto oggi il modello giusto.

Luca Pezzoni

Motor Show 2017, un primo sguardo da vicino

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E’ stato un weekend emozionante quello appena trascorso a Bologna per l’apertura della quarantunesima edizione del Motorshow. La kermesse bolognese, che ha aperto i suoi battenti lo scorso 1° dicembre (con la giornata dedicata alla stampa) e richiamerà tutti gli appassionati fino a domenica 10. Oltre alle varie attività in pista (questo weekend si sono svolti il Ferrari Day e il Trofeo GTA – Scuderia del Portello) e alle auto nuove, sono stati i padiglioni 21 e 19  a scatenare l’entusiasmo degli amanti delle auto e moto d’epoca. A partire dalla nostra mostra, organizzata in collaborazione con Quattroruote e animata da auto che illustrano alcune innovazioni tecniche che dalle competizioni sono state poi trasferite nella produzione di serie.

La nostra “Dalla pista alla strada” propone ai visitatori una Bugatti 35 del 1924 (prima a vincere un Gran Premio con le ruote in lega accoppiate nella parte posteriore al tamburo freno, sciccheria tipica del marchio francese), una Jaguar C-Type del 1951 (che vinse al debutto a Le Mans anche con l’ausilio dei freni a disco), una Mercedes-Benz 300 SL del 1957 (che a Bologna è nella versione roadster, prima vettura di serie ad adottare l’iniezione diretta della benzina, dopo le sperimentazioni effettuate nelle corse dalla Casa tedesca) e una Lancia Stratos del 1974 in livrea Marlboro (prima a montare i pneumatici ribassati Pirelli P7). Accanto a questo fantastico quartetto, la monoposto Cisitalia D48 (equipaggiata con un 4 cilindri in linea, schema diventato poi tra i più gettonati delle Case automobilistiche) e la OM 469 del 1922 (tra le prime sportive a montare i freni a tamburo di generose dimensioni con ampia calettatura, per consentire un’adeguato raffreddamento).

Oltre alla nostra esposizione, sono imperdibili alcune chicche, come quelle esposte allo stand di FCA Heritage: Fiat 131 Abarth Alitalia, Alfa Romeo Alfetta Gruppo 2, la Lancia Stratos, la Fiat 124 Abarth. Passeggiando nel padiglione 21, una sosta obbligata la merita senz’altro la collezione di Franco Meiners che per l’occasione ha portato a Bologna la Ferrari 512 S del 1971, la Formula 1 “312B3″ del 1974 di Clay Regazzoni e la Peugeot 404 break utilizzata dalla Scuderia di Maranello negli anni Sessanta.

Allo stand ACI Storico molto ammirate la Lancia Fulvia HF 1.6 ex “muletto” ufficiale, la 124 Abarth di Darniche-Mahe, la 131 Abarth di Walter Rohrl, mentre a quello dell’ASI ampio spazio ai bolidi anteguerra, come la Lancia Lambda del 1929 e l’Aquila Italiana modello K del 1910.

Il Motorshow prosegue tutta la settimana: vale davvero la pena farci un salto, anche per ammirare le tante iniziative ed esibizioni che si svolgeranno nell’area esterna 48, come il Rally 30° Memorial Bettega, previsto il 9 e il 10.

Gaetano Derosa

Motor Show 2017, un primo sguardo da vicino

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A Londra è Beatlesmania

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MINI AUTO, MAXI PREZZO

Sborsare oltre 100.000 sterline per una Mini degli anni 60. Al solo, folle pensiero anche il più appassionato cultore del piccolo capolavoro di Issigonis rimarrebbe a bocca aperta. Ma se parliamo della Bond Street Sale di Bonhams, vendita all’incanto di automobili storiche di prestigio, si fa presto a capire che prima di tutto  la Mini in questione non è un esemplare qualunque e, in secondo luogo, che tra i partecipanti all’incanto figurano senz’altro collezionisti con possibilità economiche fuori dal comune.

Il lotto 136 è una Mini Cooper S del 1966 in allestimento speciale Radford: i passaruota sono allargati, i finestrini elettrici; i fanalini posteriori derivano addirittura da una Volkswagen Maggiolino, altra grande icona delle quattro ruote. Ma la vera “chicca” di questa piccola utilitaria in realtà è altrove. All’interno dell’abitacolo. Anzi, a essere più precisi, è nel cassetto portaoggetti. Si afferra il libretto di circolazione, lo si apre e si va a leggere il nome del primo proprietario. Impossibile trattenere l’emozione: è nientemeno che Richard Starkey o, se preferite, Ringo Starr – proprio lui, il batterista dei Beatles. Un proprietario a dir poco illustre, che ha reso l’asta per l’aggiudicazione della vettura piuttosto movimentata. Questa Mini “che più pop art non si può” è stata restaurata nel 1991 e ha vinto il premio Cartier “Style et Luxe” al Goodwood Festival of Speed del 1998. Il prezzo di aggiudicazione? 102.300 sterline (circa 116.000 euro), oltre cinque volte il valore di un esemplare analogo ma… appartenuto a Pinco Pallino.

UN’ASTON MOLTO “VIP”

“Baby you can drive my car”. È il ritornello della canzone scritta a due mani da Paul McCartney e John Lennon nel 1965. Il lotto 132, un’Aston martin DB5 del 1964, lo riporta letteralmente inciso sulla pelle. La famosa citazione dei Beatles campeggia infatti all’interno di questa fuoriserie, cucita al centro dello schienale dei sedili posteriori. E, l’avrete senz’altro capito, non a caso: l’auto è appartenuta a Paul McCartney in persona, che l’acquistò nuova nel 1964 e la guidò per sei anni, fino al 1970.

Completamente matching number, con una storia documentata e fresca di un restauro da concorso, questa elegante coupé firmata Touring Superleggera è passata anche per le mani di Chris Evans, attore statunitense protagonista di vari film dell’Universo Cinematografico Marvel. Insomma, più “famosa” di così proprio non si può. Alla fine, è stata battuta per 1.345.500 sterline (oltre 1,5 milioni di euro): una cifra considerevole, se si pensa che una gemella con un passato meno celebre vale al massimo 540.000 euro.

Quanto accaduto a Londra due giorni fa è la conferma che, indipendentemente dal polso del mercato, l’ombra di un precedente proprietario illustre può fare letteralmente impazzire la quotazione di un’auto. Quindi, amici collezionisti, qualora foste intenzionati all’acquisto di una vettura dal trascorso illustre, prima di comprarla controllate bene sul libretto il nome dell’intestatario…

Alberto Amedeo Isidoro

 

 

All’asta la collezione di Neil Young: automobili, chitarre e trenini

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La casa d’Aste Julien’s Auctions mette all’incanto tutta la collezione dell’artista Neil Young, a Los Angeles il prossimo 9 dicembre. Il musicista canadese, classe 1945, considerato uno dei più grandi cantautori e chitarristi di tutti i tempi, ha accumulato negli anni una ricca collezione tra automobili classiche, trenini elettrici, chitarre, attrezzature di registrazione e memorabilia in generale. Tutto questo ingente patrimonio – 464 lotti – verrà battuto presso la Julien’s Auctions Gallery, non lontano da Beverly Hills.

LE AUTOMOBILI
La parte automobilistica copre, in realtà, la parte minoritaria della collezione: la prima, l’oggetto più prezioso di tutto il catalogo all’incanto, è una Buick Roadmaster code 76X Skylark Convertible del 1953 (esemplare numero uno su un totale di 1690), valutata tra i 200 e i 300.000 dollari. Andranno quindi in vendita una Buick Roadmaster Hearse del 1948 (utilizzata nel video della canzone “Long May You Run”) e una Chrysler Series 28 Windsor Highlander del 1941 (Neil Young, in proposito, afferma che quest’auto è appartenuta a Steve McQueen).

I TRENINI
In questo campo il cantautore americano ha espresso il suo gusto più sfrenato, andando a creare una raccolta davvero imponente. Non solo. Ha giocato anche il ruolo dell’imprenditore, collaborando come inventore e investitore nell’industria dei trenini elettrici per la creazione di importanti innovazioni: come il CAB-1, considerato uno dei più importanti telecomandi “user friendly” per l’industria, il Train Master Command Control (per il controllo di più trenini in una volta sola) e i RailSound (che hanno introdotto suoni con elevato grado di realismo). La collezione Young che sarà messa all’asta comprende oltre 230 pezzi provenienti dalla sua raccolta di trenini, tra i quali pezzi molto rari, prototipi ed esemplari unici (alcuni personalizzati appositamente per lui).

Tra gli oggetti all’incanto svettano alcuni pezzi importanti della Lionel, uno dei marchi americani più importanti nella storia dei trenini elettrici: il prototipo di una locomotiva Hudson (quotazione tra i 10 e i 20.000 dollari), una locomotiva Santa Fe “Clear Shell” F-3 (quotazione tra i 3 e i 5000 dollari), la locomotiva Horde Tour Psychedelic Vanderbilt Hudson (quotazione tra i 12 e i 15.000 dollari).

GLI OGGETTI MUSICALI
L’ultimo set di oggetti  riguarda l’attività principe della vita dell’artista: chitarre, amplificatori, impianti di registrazione e gestione audio nonché capi d’abbigliamento da lui indossati nella sua carriera durante importanti eventi in cui ha suonato.

Alvise-Marco Seno

(Photo Credit: Julien’s Auctions)

Se “Il tubo non tradisce mai”…

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La storia professionale di Gilberto Colombo comincia settant’anni fa con la Gilco. Nel 1947 il reparto di Applicazioni Automobilistiche GC si trasforma nella Gilco Autotelai: nasce subito un rapporto speciale con Enzo Ferrari, che porterà il progettista milanese alla realizzazione di nuovi, leggerissimi e innovativi telai per auto.

Sin dalla nascita la Gilco svilupperà idee inedite, capaci di rivoluzionare diversi concetti legati alla progettazione delle auto da competizione. Studi rivoluzionari che, uniti a un raffinato design, daranno un impulso decisivo allo sviluppo dei modelli delle più prestigiose Case automobilistiche italiane tra cui Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Lancia e Zagato. Colombo metterà la firma anche su imbarcazioni (su tutte quelle vincenti dei campionati mondiali della classe Star) e biciclette di vario genere.

Oggi Gilco, pur rimanendo saldamente legata alla sua importante tradizione, è proiettata al futuro del design della produzione industriale. I fiori all’occhiello del marchio sono il preziosissimo archivio storico (dove sono conservati tutti i disegni originali di Colombo) e la Trafiltubi, azienda creata per produrre  tubi ad alte prestazioni meccaniche (destinati a reggere strutture estreme) con le più avanzate tecnologie. Non a caso, il motto di Gilberto era proprio “Il tubo non tradisce mai”…

Negli anni 2000 Gilco ha battuto con sapienza la strada tracciata dal suo geniale fondatore, brevettando un tubo inossidabile dalle caratteristiche inedite (vincitore dell’International Forum Design Award nel 2009) e promuovendo nuovi progetti, tra cui leggerissimi arredi dal gusto “racing” (realizzati in tubolari da competizione) e telai per bici.

Anche di questi la mostra farà menzione, dando ai visitatori una visione davvero ampia dell’opera di Gilberto Colombo.

La mostra, iniziata il 15 novembre, rimarrà aperta dal martedì alla domenica fino al 10 dicembre. L’ingresso, a partire dalle 10,30, è gratuito.

Calendario 2018 di Ruoteclassiche, le bellissime del Trentennale

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Torna anche per il 2018 l’appuntamento con i nostri calendari da collezione. A dicembre, al prezzo di 9,90 euro insieme con Ruoteclassiche (solo rivista, 5,50 euro), arriva “Il meglio del trentennale”: 12 icone di stile, ma anche campionesse di simpatia e sportività, che nel corso del 2017 sono transitate nei nostri studi. Qualcuna di loro, come la Fiat 500 e la Ferrari F40, celebrava, come Ruoteclassiche, un traguardo tondo importante. Le abbiamo riunite perché vi accompagnino lungo tutto il 2018.

Ecco le regine dei prossimi 12 mesi: Lamborghini 350 GT 1965, Lancia Aurelia B20 1951, Maserati Khamsin 1977, Jaguar E Type Coupé, Ferrari 212/225 Le Mans Toring 1951, Porsche 928 1978, Fiat Nuova 500 1957, Nuova 500 Sport 1958; Ferrari F40 1987, Aston Martin DB6 1967, Mercedes-Benz 300 SL Roadster 1960, Alfa Romeo 8C 2900 B “Le Mans” 1938, Rolls-Royce Corniche 1972.


Videogame, in pista col volante della GTO

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Arriva con Il Natale 2017 un supervolante per videogame, replica quasi esatta, in otto decimi di grandezza, di quello della Ferrari 250 GTO. L’ambizione è quella di consentire di ricreare le stesse sensazioni tattili di guida di un tempo a partire dal caldo del legno al freddo del metallo. A produrlo una società specializzata del settore ma con la licenza ufficiale del Cavallino e nel quadro dei festeggiamenti per i settant’anni del marchio Ferrari.

La novità è di quelle succose, del resto gli appassionati di videogame forse hanno conosciuto e guidato joystick volanti e sistemi di comando della Thrustmaster ancora prima delle auto vere e proprie. Noti fin dagli anni ’90 per la qualità, i prodotti della Casa americana (poi acquisita da Guillemot corporation) sono sempre stati un must per appassionati di videogame di guida e simulazione aeronautica.

La ragione è semplice: completavano in modo perfetto le qualità simulative dei giochi consentendo non solo un migliore controllo del mezzo, ad esempio in controsterzo, ma anche di ricreare un ambiente più immersivo. Comprese, ad esempio, le reazioni dello sterzo nel superare una buca grazie al mitico force feedback che introdusse anche nel salotto di casa di fronte allo schermo le stesse, o quasi, reazioni delle auto vere.

In questo caso, per il volante del diametro di 33 centimetri riprodotto in edizione limitata, valgono anche considerazioni aggiuntive. Nel senso che l’oggetto potrebbe anche sembrare superfluo ma rappresenta in primis un completamento ideale per chi vuole farsi un bel giro sulla 250 GTO in versione virtuale di Assetto Corsa, una delle auto disponibili in un pacchetto aggiuntivo che comprende anche auto storiche come Alpine A110 o Lancia 037.

Quello che più conta è che anche questo volante rappresenta l’ennesimo segno di importanza crescente del mondo auto storiche al di fuori della solita cerchia di appassionati. Ottima quindi la scelta di Ferrari che oltre a guadagnare delle royalties farà prendere in mano il volante della 250 GTO a giovani appassionati e potenziali nuovi clienti. E ottimo anche per la Thrustmaster,non nuova a operazioni prestigiose: nel 2001, ad esempio, mise in produzione un volante simile a quello utilizzato da Schumacher sulla monoposto da Formula 1.

Il volante replica costa 399 euro. Ma non basta: occorre anche avere un Thrustmaster della serie T – TS-PC Racer, TS-XW Racer, T-GT, T500 RS, serie T300 e serie TX su cui innestarlo. Chi vuole il massimo può completare l’opera con il selettore cambio TH8AS.

Luca Pezzoni

 

 

“Copertina d’autore”, scegliete la più bella!

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Uno stilista per mese, ospitato all’interno del numero con un’intervista esclusiva e una “Copertina d’autore” in cartoncino, immediatamente successiva alla cover “istituzionale”. La chiacchierata, in forma più estesa, è stata poi riproposta in video sul nostro sito e sui nostri canali social.

Le potete ripescare qui: Aldo Brovarone (gennaio), Chris Bangle (febbraio), Walter De Silva (marzo), Leonardo Fioravanti (aprile), Marcello Gandini (maggio), Giorgetto Giugiaro (giugno), Roberto Giolito (luglio), Tom Tjaarda (il ricordo nelle parole della moglie e di un amico, agosto) e Flavio Manzoni (settembre), Paolo Martin (ottobre), Lorenzo Ramaciotti (novembre), Ercole Spada (dicembre, a presto l’intervista online).

Quello che vi chiediamo di fare è semplicemente di andare sulla pagina Facebook di Ruoteclassiche e di mettere un “Like” alla vostra “controcopertina” preferita, nella gallery che comprende tutte le 12 opere. Potete esprimere fino a un massimo di 3 preferenze e votare fino alla mezzanotte del 20 dicembre.

Nei commenti sarebbe gradito anche che ci spiegaste il motivo della vostra scelta: anche solo mezza riga, che ci dica perché quel soggetto vi ha colpito. Vi invitiamo poi a condividere le copertine scelte sul vostro profilo personale, usando gli hashtag#VotaLaControcopertina #Ruoteclassiche30

"Copertina d'autore", scegliete la più bella!

SPADA CON POSTER

C’era una volta… la Citroën Italiana

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Siamo negli anni 20, in pieno regime fascista. Due auto, una con carrozzeria torpedo e l’altra coupé-cabriolet, vengono donate alla Regina Elena di Savoia, consorte di Vittorio Emanuele III). Poi una vettura finemente rifinita in oro, realizzata per festeggiare il giubileo sacerdotale di papa Pio XI, consegnata al pontefice  il 9 giugno del 1930.

Quale Casa automobilistica può aver puntato su una strategia simile per farsi pubblicità, coinvolgendo in prima persona rappresentanti illustri delle istituzioni italiane? A sorpresa, è un marchio di origine straniera. All’epoca, del resto, non c’era forse altro modo per entrare in un mercato di difficile penetrazione come quello italiano. Aveva certamente avuto una buona intuizione la Citroën Italiana, azienda operativa dal 1924 al 1938.

La Citroën Italiana nasce essenzialmente per dribblare l’inconveniente dei dazi doganali. L’idea di fondo, a quei tempi, è che il nostro Paese debba essere autarchico e autosufficiente: va assolutamente scoraggiato l’acquisto dei prodotti stranieri, anche attraverso l’imposizione fiscale. Così la Citroën pensa di superare il problema producendo le sue vetture direttamente in Italia.

Nel 1924 André Citroën acquista dall’imprenditore campano Nicola Romeo (che nel 1919 accosterà il suo cognome alla celebre marca del Biscione) un terreno a Milano. Durante la fase di cotruzione dello stabilimento viene fondata con due soci italiani, Mario Di Carrobbio e Candido Mentasti, la Società Anonima Italiana Automobili Citroën, che inizia ad assemblare i pezzi  dalla casa madre francese in via Savona, accanto alla carrozzeria Boneschi, coinvolta per i primi tempi nell’attività. Nel bel Paese nascono modelli come  l’economica “5 CV” ed la “10 B”, corrispondenti alle “Type C” e “B2″ vendute oltralpe. Alla fine del 1927 la Citroën Italiana, realtà ormai rodata, produce a regime 30 auto al giorno. Due anni dopo inizia la produzione dei modelli “C4″ e “C6″: quest’ultimo, in nome del regime fascista, verrà ben presto ribattezzato “Lictoria Six”.

Il regime protezionistico, però, non favorisce l’attività produttiva: la Citroën Italiana pochi anni dopo si trasforma in una semplice azienda commerciale dedita all’importazione di auto dalla casa madre francese. Nel 1938 il suo nome scompare e diventa Sicam (Società Italiana Costruzione Automobili Milano), poi Sai (Società Anonima Italiana) nel 1953 e infine Citroën Italia, nel 1968 (quando ormai da oltre vent’anni l’Italia è una Repubblica democratica, sicuramente più aperta al mercato europeo).

Elisa Latella

 

C'era una volta... la Citroën Italiana

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A Schio la rivincita della Peugeot Tipo 3 del 1893

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In Italia c’è un club di appassionati di veicoli storici che riporta nel logo la sagoma della prima automobile circolante nel Paese. È l’Historic Club di Schio, fondato nel 1991 in provincia di Vicenza. Nella città della Lanerossi, infatti, e precisamente a Piovene Rocchette, 125 anni fa l’imprenditore Gaetano Rossi ha fatto arrivare una Peugeot Type 3 ordinandola in Francia ad Armand Peugeot.

E così, il 2 gennaio 1893, quando la vis-à-vis 4 posti gli è stata consegnata (motore bicilindrico a V Daimler, 2 CV) il giovane, primo automobilista italiano, ha cominciato a filare da quelle parti a 15 km all’ora. La vetturetta è poi passata di mano nel 1896 e in seguito rivenduta a un antiquario di Udine.

Il suo ultimo acquirente, negli anni Cinquanta, è stato il conte Carlo Biscaretti di Ruffia, cofondatore della Fiat e fondatore del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. L’auto, che è parte della collezione permanente del museo, nel 2007 è stata restaurata nella carrozzeria grazie a Peugeot Automobili Italia e ora, dieci anni dopo, è stato portato a termine un ulteriore step che l’ha rimessa in marcia.

Un mese fa era pronta ad affrontare i 97 km della corsa di auto antiche più grande del mondo, la London to Brighton Veteran Car Run. Non solo: in quanto partecipante più anziana, il 5 novembre avrebbe dovuto essere la prima a passare lo start fra oltre 400 ancêtre da ogni parte del Globo. Ma qualcosa, purtroppo, non ha funzionato: la sera precedente la Tipo 3 è rimasta bloccata dopo aver partecipato al concorso d’eleganza della “Run” nel centro di Londra.

Intanto, in Regents Street, ha fatto per fortuna in tempo ad essere premiata con ben due riconoscimenti: l’Historic Veteran Cars Award e il Best International Entry 2017. Entrambi sono stati consegnati dal presidente del Royal Automobile Club Tom Purves ad Alessandro Rossi di Schio, pronipote di Gaetano, e all’amico Giannotto Cattaneo (foto). I due ingegneri hanno iniziato a restaurare il motore a febbraio, con la supervisione del Mauto, e avrebbero condotto la numero uno durante la corsa.

Quanto al guasto, che lì per lì appariva molto misterioso, si è poi rivelato una sciocchezza. Un semplice inghippo da ultra centenarie: due copiglie che tengono l’albero sul planetario del differenziale si sono tranciate mandando tutto fuori asse. Questo week-end, però, l’ancêtre avrà la sua rivincita: prima di tornare in esposizione a Torino verrà rimessa in moto in un evento di tre giorni dedicato a lei in cui tornerà anche a respirare l’aria di casa.

Per chi volesse godersi lo spettacolo l’appuntamento è da venerdì 8 a domenica 10 presso il Lanificio Conte di Schio (Spazio Espositivo Shed), di fronte all’antico stabilimento Lanerossi “Fabbrica Alta”, in via Pasubio 99. Tra le iniziative in programma, sabato pomeriggio è prevista una conferenza cui parteciperanno, fra gli altri, il direttore del Mauto Rodolfo Gaffino Rossi e il presidente del Club Storico Peugeot Italia Fabrizio Taiana, che della Tipo 3 ha ricostruito la storia (ore 15, per informazioni: tel. 0445.526758).

Laura Ferriccioli

La baby Benz “190” spegne 35 candeline

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Un italiano a capo dello Stile di una delle Case automobilistiche più prestigiose al mondo. Oggi probabilmente, considerando le rilevanti esperienze di grandi firme italiane nei Centri Stile esteri (pensiamo soprattutto a Walter De Silva e al suo recente trascorso in Volkswagen, dove fino al 2015 è stato responsabile del design di tutti i marchi del Gruppo), la cosa non ci sconvolgerebbe affatto. Ma se torniamo indietro di quarant’anni, e la marca in questione è nientemeno che la Mercedes-Benz (marchio “teutonico” a tutti gli effetti, dove per il design delle berline hanno sempre imperato regole rigide e che poco si confacevano all’estro creativo italiano), tutto cambia.

Eppure Bruno Sacco, udinese di nascita ma torinese d’adozione (ha studiato al Politecnico di Torino e nel capoluogo piemontese ha mosso i primi passi nel mondo dell’auto), è riuscito nell’impresa. A partire dalla metà degli anni 70, la sua matita ha tracciato una linea di rottura col passato che ha dimostrato fin da subito di poter aprire un nuovo, glorioso capitolo nella storia della Casa di Stoccarda. Rispettando – beninteso – gli stilemi classici della “Stella a tre punte”, Sacco ha infatti portato una ventata di novità capace di imporre quel cambio di rotta che, ancora oggi, pone Mercedes-Benz all’avanguardia in materia di design. Lo stilista friulano classe 1933 ha disegnato Mercedes per 41 anni e, tra le creazioni che portano la sua firma, figurano la W126 (la “Classe S”), la W124 (che ha dato il la alla “Classe E”), la W126 SEC (la coupé da cui prenderanno forma le future “CL”) e la R129 (spider della “Classe SL”). E, dulcis in fundo, la “190” (W201).

Tra tutte, è proprio la “piccola” di casa che Sacco, ancora oggi, ricorda con più affetto. Un’auto tutta sua dall’idea iniziale al prototipo, fino all’auto di serie, risultato di un sapiente mix di stile, sicurezza e tecnologia che porterà la Casa di Stoccarda alla conquista di una fascia di mercato prima d’allora inesplorata. È un progetto moderno quello che dà vita a questa nuova, rivoluzionaria vettura. In tempi in cui l’efficienza energetica è una priorità assoluta, viene messo a punto un attento studio aerodinamico della carrozzeria che porta a un Cx di 0,33: un risultato incredibile, a tutto beneficio del consumo e del comfort di marcia. Un design evoluto che – bisogna dire – convince anche dal punto di vista “artistico”: la “190”, con le sue linee tese e il suo spiccato senso delle proporzioni, è ancora oggi una gran bella macchina.

La “190” nasce anche e soprattutto per incontrare i gusti di una clientela più giovane e moderna, fatta dei “nuovi ricchi” degli anni 80. Nel ruolo di entry level della gamma, rispetto alle sorelle più tradizionaliste la “piccola” Benz risparmia sul prezzo, non certo sulla qualità. A partire dalla scocca, costruita con acciai altoresistenziali che le conferiscono una struttura leggera e al contempo molto robusta. Anche la stabilità e la tenuta di strada sono ai vertici della categoria, così come le finiture dell’abitacolo, assolutamente in linea con la classe delle vetture Mercedes. Altre raffinatezze sono la presenza dell’ABS (inizialmente optional, poi previsto di serie), l’airbag lato guida (che arriva qualche anno dopo il lancio) e il differenziale a bloccaggio automatico. I motori disponibili al lancio sono tre, due benzina e un diesel, tutti 2 litri; nel corso degli anni la scelta si estenderà a un’inedita unità di 1,8 litri e alle versioni sportive di 2,3 e 2,5 litri a 16 valvole (qui, l’articolo sul venticinquesimo anniversario della “190” E 2.5-16 Evolution II). I propulsori a gasolio, uno aspirato e uno turbo, subiscono un incremento della cilindrata fino a 2,5 litri.

La carriera della “190” si conclude nell’estate del 1993, dopo dieci anni e quasi 1,9 milioni di esemplari prodotti: dati alla mano, si tratta di uno dei più grandi successi commerciali nella storia della Casa di Stoccarda. A raccogliere il testimone della “baby Benz” sarà, alla fine dello stesso anno, la Classe C (ancora oggi in produzione e giunta ormai alla sua quarta generazione).

Alberto Amedeo Isidoro

 

 

La baby Benz "190" spegne 35 candeline

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Citroën: all’asta auto e memorabilia della collezione ufficiale

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La vendita all’incanto comprende un catalogo di 155 oggetti (suddivisi tra 65 automobili e 90 tra fotografie, brochure, memorabilia, materiale tecnico) provenienti dal Conservatoire Citroën, inagurato nel 2001 da Pierre Citroën e Claude Satinet. E’, a oggi, la più grande collezione al mondo della casa del Double Chevron, arricchita da oggetti che coprono un grande arco temporale, dal 1919 ad oggi.

I veicoli in vendita hanno un valore contenuto, variabile tra 1.000 e 30.000 euro: non saranno, quindi, pezzi di inestimabile valore (la filosofia delle vetture in vendita è “modelli di produzione” e “vetture da esposizione”) ma tra prototipi del famoso costruttore svizzero Franco Sbarro, modelli anteguerra e alcune classiche-moderne potrebbe essere possibile spuntare qualche buon affare.

LE AUTOMOBILI
Il catalogo mette all’incanto modelli Citroën di tutte le epoche. Si comincia con le C4, C5 e Rosalie degli Anni 20 e 30 (sia in ottimo stato, sia in condizioni di notevole abbandono; quotazioni comprese tra 1.500 e 6.000 €) per passare ad appena una Traction Avant (5-7.000 €) e una AMI6 – 800-1.200 € – (entrambe piuttosto malconce) in rappresentanza degli Anni 50 e 60. Svettano, nel caso delle vetture degli Anni 70 e 80, una CX Pallas con soli 15.000 chilometri (6-10.000 €), un paio di GS (di cui una con meno di 2.100 Km di tachimetro e valutata tra 2.000 e 4.000 €) e di Mehari 4×4 (2-4.000 €, versione piuttosto rara, prodotta in 1.231 esemplari) e una Visa super con poco più di 11.000 km (1.500-3.000 €).

Tra gli esemplari riferiti agli Anni 90 si segnala una BX GTI del ’90 (6-10.000 €) con 21.500 km (10-15.000 €), una Xantia V6 del ’96 (5-8.000 €) con meno di 1.600 km e un paio di AX (un esemplare del 1991 con poco più di 11.000 km – 3-6.000 € – e una AX Electrique del 1995). Agli appassionati delle auto da corsa l‘asta propone una BX GTI Corsa per il mercato spagnolo del 1990 (10-15.000 €), una C2 Super 1600 del 2007 guidata dal pluricampione Sébastien Ogier e una più recente C-ELYSÉE WTCC del 2014.

Non mancano alcuni prototipi: La Citela del 1992 (10-12.000 €, presentata all’Esposizione Internazionale di Siviglia), il prototipo Tubik del 2011 (20-30.000 €, studio per una maxi monovolume 9 posti con trazione ibrida), la ECO 2000 del 1983 (saranno proposti due di quattro prototipi, gli esemplari denominati SL10 e SA117, caratterizzati da un peso molto contenuto e un CX molto favorevole; l’obbiettivo era un consumo irrisorio) e la Xenia del 1981 (15-25.000 €), mostrata per la prima volta al Salone di Francoforte.

Spazio, infine, anche ad alcune estrose creazioni di Sbarro: dalla Berlingo Flanerie (9-11.000 €) alla C4 Coupé-R (6-10.000 €), dalla C8 Oxygene con un innovativo sistema di apertura delle porte posteriori (10-15.000 €) alla Berlingo Escapade (6-9.000 €), alla Xsara Piccasso El Bicho e alla Berlingo Grand Angle (7-9.000 €).

MEMORABILIA
L’asta metterà in vendita anche materiale di vario genere: si va da fotografie a brochure pubblicitarie, da cartellonistica di vario genere a totem pubblicitari. Ci sono anche alcuni componenti provenienti da vetture prodotte, maquette in scala, affiche murali e tute da corsa indossate da importanti piloti che hanno guidato le Citroen da corsa negli Anni 90.

Alvise-Marco Seno

Iso Rivolta Varedo: l’antenata della Vision Gran Turismo Zagato

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Nella metà degli Anni 60 lo scenario delle GT di matrice italiana stava iniziando a cambiare. La nascita dell’ATS 2500 (marzo 1963 al Salone di Ginevra) e, pochi mesi dopo, della De Tomaso Valleunga, avevano definitivamente reso d’attualità il grande tema del motore “posteriore-centrale”. Il nuovo layout rivoluzionò inevitabilmente la tecnica costruttiva, il design ma, soprattutto, la dinamica del veicolo, ora contraddistinto da un equilibrio molto migliore e con enormi benefici nell’ambito delle prestazioni.

Ciononostante e anche di fronte il successo sempre crescente nelle corse del motore posteriore (a partire dalla stagione di F1 del 1960, vinta da Jack Brabham con una Cooper a motore centrale) il caro vecchio motore anteriore continuò a recitare ancora per anni la parte del leone tra le supercar di quasi tutta Europa. Ma al Salone di Torino del ’65, nello stand della Lamborghini, era stata presentata una novità assoluta, che avrebbe inevitabilmente cambiato le sorti del settore: la nuda meccanica della Lamborghini Miura (con motore posteriore-centrale ma – grande novità – in posizione trasversale!). Al successivo Salone di Ginevra del ’66 faceva il suo esordio la macchina definitiva, vestita con una magnifica carrozzeria bassa e filante, uno stile superbo ed etereo opera di Bertone. Del resto, anche Ferrari (nonostante il Drake fosse testardamente convinto che “i buoi sono sempre dinanzi al carro”) aveva lanciato il suo sasso attraverso la Pininfarina: la Dino Berlinetta Sperimentale, presentata a Parigi ’65 (e che si sarebbe tradotta nella Dino 206 GT del ’67).

Sarebbero quindi arrivate l’Alfa Romeo Tipo 33 (1967), la Bertone Carabo (1968), la Ferrari P6 (1968), la Ferrari 512 S (1969) e la Giugiaro Iguana (su base 33). Per non parlare, all’estero, del clamore suscitato dalla genealogia delle Porsche a motore centrale (che avrebbero avuto nella 917 del ’69 il suo momento più elevato) e dalla Ford GT40.

Gli anni ’70 sarebbero stati ancora più decisivi nell’imporre la cultura del motore centrale come elemento di caratterizzazione di una GT di alto lignaggio. Su questi presupposti nacquero la Lamborghini Countach LP400, la Ferrari Berlinetta Boxer e la Maserati Bora.

LA ISO RIVOLTA VAREDO
Piero Rivolta , figlio del Piero creatore della rivoluzionaria Isetta, intuì la necessità di affacciarsi al comparto con un prodotto che, in affiancamento alla Grifo, desse una spinta decisiva all’immagine del brand nella produzione di sportive. La sontuosa e possente GT italiana (ma con meccanica americana di provenienza General Motors) era stata presentata nel ’63 ed era giunta fino al grandioso esito di un motore da 7 litri di cilindrata.

Era chiaro che il modello che andava a posizionarsi sopra di lei (senza sostituirla) avrebbe dovuto essere un’auto a motore posteriore-centrale. E avrebbe dovuto esprimere una personalità differente: non più la nobile e lussuosa GT di grande potenza ma un prodotto per il quale il cliente avrebbe volentieri chiuso un occhio sul comfort e la finitura ma avrebbe avuto grandi aspettative in termini di prestazioni. Si ipotizzava una produzione in piccoli numeri, abbastanza per darle una statura molto elevata nella nicchia delle purosangue di altissimo lignaggio. E non sarebbe stata anche un’auto da corsa: sarebbe rimasta un modello squisitamente stradale, seppure con caratteristiche meccaniche molto spinte.

IL PROGETTO
L’imperativo era categorico: vettura finita al Salone di Torino del ’72, occasione perfetta per mostrare al mondo che Iso Rivolta fosse un marchio vivo e capace di elettrizzare pubblico. Erano inoltre fissati due obbiettivi tecnici: dimostrare, attraverso l’uso del motore centrale, la capacità dell’azienda di essere al passo con le esigenze del mercato e, utilizzando fibre composite per la carrozzeria (con l’utilizzo di tecnologia mutuata dalla nautica) un approccio innovativo alla costruzione automobilistica.

LO SVILUPPO
Per realizzare la nuova Iso Rivolta Varedo (nome scelto come omaggio al comune del milanese che ospitava i nuovi stabilimenti aziendali oltre alla storica sede di Bresso) fu chiamato il grande Giotto Bizzarrini (che già aveva sviluppato la Iso Grifo A3/C), il quale seppe sfruttare molta della cultura acquisita con il progetto AMX/3.

Dentro un telaio tubolare, dotato di sospensioni a doppi triangoli sovrapposti, gruppo molla ammortizzatore coassiale e barra antirollio, era previsto un motore 8 cilindri Ford 351 da 7 litri di cilindrata, tarato a 325 cavalli di potenza massima e abbinato a un cambio meccanico a 5 marce della ZF. Secondo i capitolati di progetto il peso avrebbe dovuto essere contenuto in 1.200 kg e, in diretta conseguenza, la punta massima velocistica prefissata era di 300 km/h.

Per lo stile, infine, l’ing. Rivolta si rivolse a Ercole Spada, talento cresciuto alla Zagato e che lui stesso aveva conosciuto alla Ghia, dove era approdato nel ’69. Il risultato fu una berlinetta alquanto spigolosa, lunga 412 cm, larga 193 cm e alta appena 105 centimetri.

TORINO ’72: CORSA CONTRO IL TEMPO
Inevitabili ritardi nella progettazione, uniti al proverbiale perfezionismo dell’Ing. Rivolta nell’allestimento del prototipo, posero il team di fronte all’impossibilità di portare la vettura finita al Salone di Torino. Mentre lo sviluppo continuava, quindi, la showcar per la rassegna italiana dell’automobile più importante dell’anno prese velocemente forma: colore rosso di grande impatto visivo, vetri scuri per nascondere l’assenza dell’abitacolo, ammortizzatori tarati ad hoc per sopperire la mancanza del motore.

La presentazione della macchina fu un successo, come testimoniato dai numerosi attestati di interessamento formulati dalla stampa specializzata, che ne giudicò positivamente forma e aerodinamicità. Concluso positivamente il debutto del Salone e nel tambureggiante inizio dell’avventura in F1 con l’Iso Marlboro, la Varedo fu riportata in fabbrica e completata.

Dopo un piccolo test su strada condotto dallo stesso Piero Rivolta e dal suo Amministratore Delegato Piero Sala (bruscamente interrotto da un principio di incendio nella zona del motore), lo sviluppo continuò direttamente in pista, dove i risultati dinamici della macchina furono sempre più soddisfacenti nelle sessioni che si susseguivano. Della stessa opinione fu anche il giornalista Enrico Benzing, chiamato a eseguire un test per conto della rivista Auto Sprint. Il giornalista italiano espresse giudizi lusinghieri su telaio, sospensioni, sterzo e motore. Qualche critica arrivava dal cambio (poco “user-friendly”) e dall’abitacolo, ancora non soddisfacente sul piano dell’ergonomia. Naturalmente tutto questo andava parametrato a un prototipo di sviluppo, lontano dalla configurazione definitiva.

UCCISA NELLA CULLA
Il destino della Varedo, praticamente pronta per andare in produzione, ebbe tuttavia un seguito completamente opposto rispetto al racconto fin qui narrato. Il 1973 fu per l’Iso Rivolta (e per il mondo in generale) un periodo di grandi cambiamenti, che influirono negativamente sul destino della sportiva italiana.

Da un lato il progressivo mutato atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’automobile, sempre più vista come causa di un forte aumento dell’inquinamento, di incidenti e di insostenibili livelli di traffico in seguito all’esplosione dimensionale dei centri urbani. D’altro canto la Guerra del Petrolio iniziò a diffondere l’esigenza di automobili sempre più parche nel consumo. Non era inoltre da trascurare l’elevato costo che generava l’attività di partecipazione dell’Iso Rivolta alla Formula 1. In ultima istanza andava considerata la sempre più pressante concorrenza con vetture GT meno estreme della Varedo stessa.

La Varedo, insomma, improvvisamente divenne un’automobile troppo “difficile” da produrre in un’ottica profittevole e l’Iso Rivolta si trovò nella condizione di trovare nuovi mercati di sbocco “ripensando” la propria filosofia produttiva: nuovi prodotti e contenimento dei costi. In questo scenario nel 1973 la famiglia Rivolta cedette la maggioranza dell’azienda al finanziere italo-americano Ivo Pera. Questi, non interessato alla macchina, rivolse le sue attenzioni ad altri business e condannando questa affascinante supercar alla pensione anzitempo.

Alvise-Marco Seno

Iso Rivolta Varedo: l'antenata della Vision Gran Turismo Zagato

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“Copertina d’autore”, chiude Ercole Spada

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A chiudere la lista dei 12 car designer protagonisti dell’iniziativa “Copertina d’autore” per i 30 anni di Ruoteclassiche è Ercole Spada, stilista che ha lavorato per Zagato, Ford, Ghia e BMW. Il designer lombardo classe 1938 è il papà della “coda tronca” che ha reso bella, veloce e vincente l’Alfa Romeo Giulia TZ del 1963. Altre sue creazioni celebri sono l’Aston Martin DB4 GTZ (1961), la Lancia Flaminia Super Sport (1964), la Lancia Fulvia Sport (1970) e la BMW Serie 7 E32 (1987).

Ricorda così, con orgoglio, il primo lavoro appena entrato alla Zagato: “Arrivò la prima commessa della DB4. Mi dissero che c’era da fare un’Aston Martin. E io, neoassunto, con una calma che oggi mi fa sorridere, buttai giù i figurini di quell’auto. da noi non era ancora il mito che sarebbe diventata, con James Bond e tutto il resto. Ma era sempre una grande sportiva inglese, concorrente della Ferrari”.

Con Spada si chiude così la nostra carrellata di “copertine d’autore” (con le relative interviste). A precederlo: Aldo Brovarone (gennaio), Chris Bangle (febbraio), Walter De Silva (marzo), Leonardo Fioravanti (aprile), Marcello Gandini (maggio), Giorgetto Giugiaro (giugno), Roberto Giolito (luglio), Tom Tjaarda (il ricordo nelle parole della moglie e di un amico, agosto), Flavio Manzoni (settembre), Paolo Martin (ottobre), Lorenzo Ramaciotti (novembre).

Asta “Icons”, venduta la BMW di Steve Jobs

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L’incanto di Manhattan, organizzato da RM Sotheby’s lo scorso 6 dicembre, annoverava tra i lotti in vendita anche la BMW Z8 appartenuta al celebre fondatore della Apple (qui, l’articolo sull’anticipazione dell’evento newyorkese).

L’auto, che Jobs acquistò il 1° aprile del 2000 e guidò fino al 2003, è una delle 2453 che la BMW aveva destinato al mercato statunitense. Si presentava in condizioni eccellenti, con una combinazione di colori grigio-nero, l’hard top e soltanto 25.000 km percorsi.

La Z8 è una instant classic ed è di per sé una delle vetture della marca bavarese più richieste sul mercato, con un trend delle quotazioni in forte ascesa rispetto al 2016. Un esemplare senza il valore aggiunto della celebrità oggi ha una quotazione di riferimento di 135.000 euro, che possono diventare anche 205.000 per un esemplare “da concorso”. La stima d’asta per questo pezzo illustre era di 260-345.000 euro, assolutamente in linea con le quotazioni massime rilevate nelle più recenti vendite all’incanto.

Un po’ a sorpresa, questa volta la fama del suo primo possessore non ha movimentato troppo l’asta: la roadster ex Jobs è stata infatti battuta a 279.500 euro. Una cifra “giusta”, specie se confrontata con i 380.000 euro a cui è stato aggiudicato un modello simile lo scorso agosto, a Pebble Beach.

Provaci ancora, Prisma

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Chiariamolo subito: non sarà mai un oggetto di culto, nemmeno per i “lancisti” più incalliti. Figuriamoci poi per i meno affezionati alla marca, che tendono a ricordare la Casa fondata da Vincenzo Lancia soltanto per i numerosi successi ottenuti nei rally e nelle gare in pista. Se, infatti, modelli come Fulvia, Stratos, Montecarlo Turbo, Rally/037, Delta S4 e Delta Integrale – complice il loro ricco palmarès – sono conosciuti pressoché da tutti e in tutto il mondo, non si può certo dire lo stesso della Prisma, berlina dal look “acqua e sapone” che ha sempre stentato a farsi notare. Caratterizzata da un understatement tipicamente torinese, quasi timida, questa vettura non è mai apparsa sotto le luci della ribalta. Neanche appena nata, pur essendo molto più aggraziata nelle forme rispetto alle concorrenti Opel Kadett, Ford Orion, Rover 200 e Volkswagen Jetta.

Presentata nel dicembre 1982, la Prisma va a inserirsi tra le ormai affermate Trevi e Delta. Da quest’ultima eredita pianale e meccanica, compresi i tre motori disponibili al lancio: un 1.3 da 78 CV, un 1.5 da 85 CV (a richiesta anche con cambio automatico) e un brillante bialbero 1.6 da 105 CV, in grado di spingerla fino a 178 km/h. Il motore è alloggiato in posizione anteriore trasversale, le sospensioni sono a quattro ruote indipendenti e seguono lo schema MacPherson, con l’aggiunta di una barra stabilizzatrice e di una biella longitudinale.

Chi ancora oggi si ostina ad affibbiarle l’etichetta di “Delta a tre volumi”, probabilmente non è mai salito a bordo: basta mettersi al volante, infatti, per rendersi conto che rispetto alla sorella minore a due volumi gli elementi nuovi sono davvero tanti. In primis, il volante (specifico per questo modello) e il cruscotto (completamente ridisegnato, con la plancia che include il pulsante per l’attivazione dei proiettori). Anche i sedili, rivestiti da un inedito e raffinato tessuto, sono una novità. La dotazione di serie comprende il vacuometro, l’orologio digitale e, solo per la 1.6, il “check control”, un utile dispositivo che fornisce al pilota informazioni su diversi parametri della vettura (tra cui, addirittura, la temperatura del lubrificante del cambio automatico e il livello d’usura delle pastiglie dei freni).

Nel 1984, a due anni dal debutto, la Lancia presenta la versione diesel della Prisma: si tratta della prima vettura della Casa spinta da un motore a gasolio. L’unità, che equipaggia già diverse auto del gruppo Fiat, è un 4 cilindri di 1,9 litri da 65 CV. L’anno dopo la gamma si estende alla 1.9 “turbo ds”: la potenza, grazie all’adozione del turbocompressore con intercooler, cresce fino a 80 CV.

Nel 1986 la Prisma subisce il primo e unico restyling della sua carriera, con interventi che riguardano sia la meccanica sia la carrozzeria. La calandra è più alta, i fari sono nuovi; cambia il disegno del cofano motore e del paraurti anteriore, che adesso ha una griglia più ampia e uno spoiler più pronunciato. Per ciò che concerne la meccanica, viene montato un nuovo carburatore con dispositivo cut-off (che interrompe l’afflusso di benzina al suo interno nelle fasi di rilascio dell’acceleratore) e vengono modificate le sospensioni (variando la convergenza delle ruote e la relativa inclinazione tra molle e ammortizzatori).

Il 1986 è anche l’anno della “4WD”, che l’anno seguente viene ribattezzata “Integrale”: targhette d’identificazione (ora anche sulle bandelle laterali) e carrozzeria con verniciatura bicolore (disponibile in grigio chiaro e grigio medio, bordeaux chiaro e scuro, platino e marrone) la distinguono dalle versioni normali. Su questa versione, che si pone al vertice della gamma per allestimento e prestazioni, la meccanica è particolarmente raffinata: motore 2 litri a iniezione da 116 CV (oltre 180 km/h la velocità massima) e trazione integrale permanente con tre differenziali (con il centrale autobloccante e accoppiato a un giunto viscoso tipo Ferguson).

Concludiamo con qualche consiglio per l’acquisto. Se siete alla ricerca di una berlina brillante e sicura (e volete spendere poco) la “4WD” o la “Integrale” potrebbero davvero fare al caso vostro. A patto di trovarne una (potrebbe essere complicato, considerato che la produzione delle Prisma a quattro ruote motrici ammonta a un totale di appena 4552 unità, contro le 150.536 della 1.6), con meno di 2000 euro potreste mettere le mani su un esemplare in buone condizioni, staccando a buon diritto – ve lo garantiamo – il vostro titolo d’ingresso al mondo delle Lancia classiche.

Alberto Amedeo Isidoro

“Le vetture che hanno fatto la storia”, torna l’Alfetta

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Il titolo “Alfetta”, che aveva già fatto parte della collana “Le vetture che hanno fatto la storia”, da metà ottobre riappare nel catalogo di Giorgio Nada Editore. Nuova la grafica (102 le foto in bianco e nero, 203 quelle a colori) e nuovi i contenuti (l’autore Giancarlo Catarsi, studioso e cultore di auto d’epoca, affronta anche la storia della “GT”). Un volume che non può assolutamente mancare nella libreria di ogni appassionato.

Con la fine degli anni 60 per L’Alfa Romeo si conclude un decennio ricco di vittorie sportive, primati tecnici e successi commerciali. Gli anni 70 sono alle porte e il progetto ”Giulia”, evolutosi nel 1968 nella berlina ”1750”, prosegue fino al 1971 con il lancio della “2000” (una “Giulia” esteticamente rivista, di maggiori mansioni e che, come suggerisce il nome, monta un motore di 2 litri). La voglia di novità è tanta e così gli stimoli provenienti da un nuovo gusto per l’estetica dell’automobile danno vita all’Alfetta, che compie il suo debutto nella primavera del 1972. Linee tese e spigolose, motore bialbero 4 cilindri 1.8 da 122 CV, cambio in blocco col differenziale, ponte posteriore De Dion: nasce una berlina sportiva che resterà protagonista sul mercato italiano (e non solo) fino alla metà degli anni 80.

Il volume delinea anche il quadro storico-economico in cui la nuova vettura del Biscione va a inserirsi, e ripercorre  la storia di tutte le versioni del modello: dalla prima serie a “scudo stretto”, passando per la 1.6 “economica” e la “scudo largo”, fino alla 2.0 del 1977 (ritenuta a buon diritto l’Alfetta della rinascita) e alle “turbodiesel”. Una vettura, l’Alfetta, che è stata in grado ritagliarsi un ruolo di primissimo piano anche sul grande schermo, indiscussa protagonista dei ”polizieschi all’italiana” degli anni 70. Nella seconda parte del libro, ampio lo spazio dedicato alla coupé “Alfetta GT” (ultima gran turismo dell’Alfa Romeo prima del tracollo e della vendita alla Fiat) disegnata da Giorgetto Giugiaro. Come di consueto per i titoli di questa collana, un’attenta e ricca guida al restauro conclude l’opera.

 

Microlino, quando l’Isetta si fa elettrica

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Di automobili storiche che si caricano alla presa della corrente e corrono via veloci senza far rumore, abbiamo parlato il mese scorso. Conservano il “corpo” delle gemelle classiche ma sotto il cofano, al posto del motore a combustione interna, hanno un motore elettrico trifase: diventano d’un tratto super ecologiche e, quindi, non più soggette alle limitazioni del traffico vigenti in gran parte delle nostre città. Inutile dire che che gli appassionati più intransigenti, vedendo profondamente snaturato lo spirito di un’auto d’epoca, gridano allo scandalo.

Se forse è ancora un po’ presto per immaginare costruttori di automobili e urbanisti seduti allo stesso tavolo per studiare ex novo la struttura delle metropoli del futuro, sfruttando tutte le possibilità di connessione tra auto e infrastrutture, sono già molte le aziende che grazie alla conversione in elettrico delle storiche fanno affari d’oro. E non c’è molto da stupirsi, se si pensa che da diversi anni ormai  imprenditori e manager visionari identificano l’automobile come uno dei core products di un mondo che sarà sempre più digitale.

Sull’onda di questa nuova sensibilità verso la mobilità sostenibile la Micro Mobility Systems Ltd, azienda svizzera già specializzata nella produzione di monopattini elettrici, lo scorso anno ha realizzato un prototipo elettrico che ha tutti i presupposti per diventare un simbolo della mobilità del futuro. Si chiama Microlino e s’ispira chiaramente a un modello del passato. L’architettura di questa microcar, infatti, si sviluppa reinterpretando in chiave moderna gli stilemi propri della piccola e sbarazzina Iso Isetta, iconica vetturetta anni 50.

L’azienda del Canton Zurigo, a distanza di 60 anni, fa rivivere così il mito Isetta, un’auto “tascabile” di nome e di fatto coi suoi 2,25 metri di lunghezza. Progettata in Italia e costruita in 1500 esemplari nello stabilimento di Bresso, in provincia di Milano, l’Isetta ebbe certamente più successo all’estero, dove le aziende licenziatarie ne produssero circa 200.000 (oltre 161.000 quelle marchiate BMW). Oggi il vecchio bicilindrico 2 tempi da 9,5 CV lascia spazio a un efficiente motore elettrico da 20,4 CV alimentato a batterie agli ioni di litio. L’autonomia promessa dalla Casa è di 100 km e la velocità massima dichiarata, 90 km/h, non è molto distante dagli 85 della sua illustre progenitrice. Da notare come lo schema di massima rimanga assolutamente fedele all’originale, con l’accesso ai sedili anteriori che si effettua tramite il caratteristico sportello frontale.

Questa simpatica Isetta a impatto zero oggi viene costruita in serie grazie a un accordo di produzione con la Tazzari Ev di Imola. La Micro, che si occuperà delle vendite sul mercato europeo, è certa che la sua piccola “ricaricabile” conquisterà sempre di più il favore degli automobilisti. Dalla sua, anche il prezzo: costa esattamente come una moderna city car a benzina (circa 12.000 euro).

Alberto Amedeo Isidoro

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