Sarà una splendida Bugatti Typ 35 Grand Prix del 1925 la star dell’asta denominata “Automobiles sur le Champs”, in calendario per Artcurial a Parigi nella giornata del 5 novembre. Ben 79 i lotti in vedita (di cui 77 automobili), quasi metà dei quali offerti senza riserva.
Del centinaio di Bugatti Grand Prix consegnate nel nostro Paese dal 1924 al 1930 pare che ne siano sopravvissute non più di dieci: la Type 35 in vendita è appartenuta al pilota svizzero Jo Siffert ed è quotata tra 1 e 1,35 milioni di euro. Pare che abbia trascorso gran parte della sua vita in Italia, tra le province di Cosenza, Crotone e Catanzaro e la Sicilia; alcuni dettagli della carrozzeria fanno pensare che sia lo stesso esemplare che partecipò alla Mille Miglia del 1928, condotta da Chiabbetti-Crosti.
Seconda per quotazione, una Lancia Flaminia Zagato Super Sport del 1965, sempre rimasta in Francia (la stima è compresa tra i 160.000 e i 240.000 euro). A completare il podio ideale, una Peugeot 205 Turbo 16 del 1984, il 76° esemplare di un lotto di 200 fabbricati per ottenere l’omologazione nel Gruppo B. A decretare la sua quotazione – tra i 160.000 e i 200.000 euro – contribuisce la percorrenza sul contachilometri: appena 209 km. Di rilievo anche una Lancia Aurelia B20 quarta serie del 1954, stimata tra i 130.000 e i 160.000 euro. In vendita pure una BMW Isetta 300 del 1961: prezzo atteso tra i 25.000 e i 35.000 euro. Richieste ragionevoli? Tra un piao di weekend si vedrà…
Pure il tempo, dopo un sabato piovoso, è tornato inaspettatamente sereno e con una temperatura media mite, decisamente anche più alta rispetto al gelo dell’anno scorso. In totale sono 401 le automobili che ieri mattina hanno passato lo start della corsa di auto antiche più famosa del mondo – fra cui sette di provenienza italiana (4 arrivate) – e in 315 sono riuscite a raggiungere la finish line a Madeira Drive dopo i consueti 97 km che per la prima volta, dal 1927, hanno visto un paio di deviazioni (per lavori stradali a Brixton e, in seguito, per via del sinistro).
Anche questa 121esima edizione della Run, che è nata nel 1896 per festeggiare l’innalzamento dei limiti di velocità da 6,4 km all’ora a circa 22,8, è stata il momento conclusivo della London Motor Week, la settimana di celebrazioni che ogni anno il Royal Automobile Club dedica ai pionieri della motorizzazione. Fra i tanti eventi compresi, la celebre asta Bonhams di “veterans” in New Bond Street il venerdì sera, con alcune auto già iscritte alla corsa, e il Regent Street Motor Show, una sorta di museo all’aperto nel cuore della capitale inglese in cui si svolge anche il concorso d’eleganza della London to Brighton.
E a proposito di concours d’elegance, le sorprese non sono finite: la Peugeot Tipo 3 del 1893, arrivata dal Mauto di Torino e rimessa in sesto per la prima volta da un pronipote del primissimo proprietario, Alessandro Rossi di Schio e dall’amico Giannotto Cattaneo, si è aggiudicata ben due premi: l’Historic Veteran Cars Award per il mezzo con la storia più interessante e il riconoscimento come Best International Entry.
I veicoli, ideati dalla stessa Curie, consentirono di salvare molte vite durante la prima guerra mondiale. Nel corso del conflitto Marie Curie, sollevata dai suoi incarichi accademici per contribuire allo sforzo bellico, lavorò come radiologa per curare i soldati feriti. Da lì la sua intuizione: dotare un veicolo di un’apparecchiatura radiografica per effettuare le indagini radiologiche in prossimità del fronte, risparmiando il tempo necessario per il trasporto dei feriti negli ospedali e aumentando la possibilità di salvare le loro vite.
Con l’aiuto della Croce Rossa e di Antoine Béclère, direttore del reparto di radiologia degli eserciti, Marie Curie, partecipò in prima persona alla progettazione di unità chirurgiche mobili di radiologia: 18 autocarri leggeri, acquistati in parte grazie ai finanziamenti degli Stati Uniti, furono dotati di attrezzature a raggi X e si recarono su diversi fronti, in particolare nella battaglia della Marna, Verdun e sulla Somme. Alcuni erano Renault prestate da amici, altri furono oggetto di donazioni o di collette.
Queste “ambulanze radiologiche” soprannominate “piccole Curie” dai soldati francesi erano veicoli passeggeri dotati di dispositivi Röntgen (per misurare le radiazioni) con una dinamo alimentata dal motore del veicolo, e quindi in grado di arrivare direttamente sul campo. Grazie a loro era quindi possibile effettuare i raggi X sui pazienti, individuare con precisione la posizione di schegge e proiettili e facilitare la chirurgia.
Nel 1916 Marie Curie ottenne la sua licenza e poté regolarmente condurre le autoambulanze speciali per eseguire radiografie. Accanto a lei sul campo di battaglia c’era una ragazza di soli 18 anni, anche lei destinata a vincere il premio Nobel (per la chimica, nel 1935): sua figlia Irene. La radiologia, in quegli anni, era una discilplina pionieristica: Irene imparò dalla madre e poi si occupò della formazione di tecnici e infermieri specializzati. Marie Curie progettò 18 veicoli attrezzati per radiografie e installò 250 postazioni fisse di radiologia negli ospedali. Più di un milione di feriti sono stati salvati grazie a queste strutture, un migliaio dalla stessa Curie.
C’era, però, un prezzo da pagare. Sia Marie che Irene Curie furono vittime della prolungata esposizione alle radiazioni. Salvarono tantissime vite, ma Marie Curie morì di anemia aplastica nel 1934 e, a distanza di 22 anni, morì anche Irene, di leucemia.
Per quanti invece desiderano lustrarsi gli occhi, in attesa dell’ampio reportage previsto sul numero in edicola a dicembre, ecco un breve tour virtuale, con un itinerario che parte dal nostro stand, allestito festosamente per i trent’anni di Ruoteclassiche, e si conclude con il taglio della torta e il brindisi conclusivo assieme a tantissimi nostri lettori.
All’interno del suo spazio, Ruoteclassiche ha ospitato due splendide vetture: la Lancia Fulvia 1.3 Coupé Safari di proprietà del due volte campione del mondo RallyMiki Biasion, protagonista del numero di novembre attualmente in edicola, e la Maserati Biturbo SI che sarà immortalata sulla cover di Ruoteclassiche di dicembre, auto selezionata dell’iniziativa “Miss Copertina 1987″ lanciata lo scorso maggio in occasione di Verona Legend Cars.
Il nostro itinerario continua poi, nell’ordine, con le visite agli stand Volvo, Peugeot, Citroën, Porsche, Marcedes-Benz. FCA Heritage, Maserati e Audi.
Il conteggio dei centri autorizzati “Ferrari Classiche” sta per raggiungere il ragguardevole numero di cinquanta realtà in giro per il mondo. Attualmente, in venti mercati internazionali dove è presente il marchio di Maranello, i concessionari che hanno ottenuto il titolo di “Officina Autorizzata Ferrari Classiche” sono saliti a quarantotto.
Le Officine godono di uno status privilegiato nell’ambito del trattamento dei modelli con almeno 20 anni di età dalla prima immatricolazione. In questi centri il proprietario di un esemplare classico ha la possibilità di accedere ai servizi di manutenzione e restauro grazie al rapporto diretto stabilito dal concessionario con la Casa madre, alla presenza di un tecnico qualificato e dedicato esclusivamente alle attività Ferrari Classiche e alla presenza di un’area dedicata alle lavorazioni. Tra i servizi offerti le Officine possono anche istruire il processo di Certificazione Ferrari Classiche.
Naturalmente, ove la manutenzione o il restauro non sia possibile nella sede distaccata (ricostruzione di parti o componenti essenziali), il cliente viene invitato a portare la sua Ferrari direttamente a Maranello, nel quartier generale del reparto.
In Italia, attualmente, Forza Service di Torino è l’unico concessionario ufficiale Ferrari con la qualifica di “Officina Autorizzata Ferrari Classiche”. Il programma, in continuo sviluppo, prevede la prossima nomina di altri centri autorizzati in giro per il mondo così da produrre un costante arricchimento del patrimonio storico Ferrari.
Dopo un lungo restauro, Lapo Elkann – Presidente di Italian Independent Group – e lo chef Carlo Cracco, hanno inaugurato la nuova sede di Garage Italia Customs insieme all’architetto Michele De Lucchi, curatore dei lavori di ripristino. Torna così a rivivere un angolo storico di Milano, un edificio dalle caratteristiche uniche nel panorama architettonico della città.
E’ un luogo di incontro del bello e del buono, di celebrazione del design e delle eccellenze italiane, come ha sottolineato Lapo Elkann nel suo incontro con la stampa. “Aprire Garage Italia ha rappresentato per me una sfida personale e imprenditoriale – continua Lapo Elkann – che ho affrontato nell’ottica di una visione più ampia, non puramente individuale, ma con la chiara volontà di dare un valido apporto sociale alla comunità che vive nel quartiere, alla città di Milano e all’Italia stessa, coinvolgendo persone e aziende del nostro Paese. Sono convinto che la mia iniziativa potrà essere d’esempio in Italia e nel mondo, e che progetti come questo saranno d’ispirazione per la comunità internazionale dei thinkers and makers.
L’edificio si articola in varie aree a disposizione di clienti e visitatori: dall’area bar all’ingresso, sormontata da una nuvola con oltre 1.100 modellini sospesi, alla Materioteca, il cuore della sede di Garage Italia Customs (dove i clienti hanno a disposizione un universo di opportunità per la personalizzazione del proprio veicolo: automobile, moto, aereo, elicottero o imbarcazione) al simulatore professionale e iperrealistico di Allinsports, azienda partner tecnico della Driving Academy di Ferrari. Al piano superiore il ristorante Garage Italia Milano, luogo di celebrazione della creatività e della buona cucina all’insegna del Made in Italy.
Non solo la sede di Piazzale Accursio darà la possibilità alla clientela di vivere un’esperienza affascinante nel mondo del design e della gastronomia. Gli spazi interni e la loro funzionalità poliedrica saranno a disposizione delle aziende per la creazione di un fitto calendario di attività (grazie anche alla creazione di una Garage Italia Membership).
STILE STREAMLINE
Lo storico edificio in stile Streamline voluto da Enrico Mattei, Presidente dell’ENI, fu progettato dall’architetto Mario Bacciocchi nel 1952 e completato l’anno successivo. Nel descriverlo l’architetto Michele de Lucchi afferma che “sembra spiccare il volo su piazzale Accursio. Ha due grandi e sproporzionate tettoie che non sono solamente degli oggetti per ombreggiare la facciata o proteggersi dalla pioggia, ma sono l’essenza stessa di questa architettura dalla forte capacità comunicativa. Quanto di più adatto per l’attività di Garage Italia Customs, una start-up centrata sulla crescente richiesta di personalità e bisogno di identità. Questo non è un semplice edificio, è un monumento alla fantasia.”
Concepito per ospitare un distributore AGIP, divenne immediatamente un punto di riferimento per gli automobilisti, in un luogo molto strategico: lungo Viale Certosa e all’ingresso del percorso che porta verso l’Autostrada dei Laghi.
L’edificio comprendeva diversi servizi: oltre alla possibilità di fare rifornimento c’erano anche un autolavaggio, un’officina di elettrauto, un bar con sala d’attesa, uffici e pure un appartamento. In epoca attuale l’edificio ha conosciuto un lento declino, che l’ha portato all’inesorabile chiusura. Nel 2016 Lapo Elkann ha partecipato all’asta pubblica di acquisto dell’immobile e, dopo l’OK della Soprintendenza, sono iniziati i lavori di recupero conservativo.
Ha “firmato” per il gruppo FCA una sessantina tra concept car e modelli di serie, ma soprattutto ha messo il proprio sigillo su tutte le Ferrari, Maserati e Alfa Romeo degli ultimi trent’anni. Lui è Lorenzo Ramaciotti, modenese, classe 1948, una laurea in ingeneria meccanica conseguita al Politecnico di Torino e una professione costruita tutta in Pininfarina (dal 1973 al 2005).
Del suo lavoro ci dice: “Fortunatamente non esiste una ricetta per fare il bello, altrimenti sarebbe alla portata di tutti. Il bello è una meta sfuggente, astratta, metafisica. Ogni progetto è un’occasione per tentare di raggiungerla, di rendere tangibile un sogno“.
Sono trascorsi ormai sette anni dall’ultima volta che lo avevamo inserito nella rivista. Oggi, completamente aggiornato (fino a giugno di quest’anno), torna l”Indice generale” di Ruoteclassiche. Sarà allegato – gratuitamente – al numero di novembre in edicola in questi giorni e che sarà presente ad Auto e Moto d’Epoca di Padova.
Si tratta di un preziosissimo strumento di consultazione che permetterà di muoversi – senza perdere la rotta – tra le oltre 70.000 pagine prodotte nei 342 numeri di questi trent’anni. In forma agile e gradevole, una guida illustrata per ritrovare prove, interviste, dossier, retrospettive storiche, confronti, articoli di costume e allegati che hanno fatto la nostra storia come rivista e accompagnato la vostra passione come lettori.
Il 2018 segnerà il raggiungimento di mezzo secolo di vita per la Ford Escort, pietra miliare della produzione automobilistica britannica, sia dal lato della produzione in serie, sia per quanto riguarda l’ambito sportivo e, ancora con più enfasi, le corse. Presentata nel ’68 al Salone dell’Auto di Bruxelles, raccoglieva l’eredità della Ford Anglia e proponeva un prodotto di grande concretezza: due versioni (due o quattro porte), motore 4 cilindri con valvole laterali, cambio a 4 marce, trazione posteriore, sospensione posteriore ad assale rigido. Al modello base fu affiancata, nel 1970, la sua derivazione sportiva, la RS 1600 con propulsore bialbero e ben 110 Cv di potenza massima,
Nel 1975 arrivò per la MK1 il canto del cigno, sostituita dalla nuova Escort MK2, questa volta sviluppata non in Inghilterra bensì negli stabilimenti tedeschi Ford di Colonia. Allo stesso layout meccanico della versione precedente abbinava uno stile completamente rinnovato, due porte con tre volumi, e linee più tese e geometriche che non le conferivano lo stesso fascino della progenitrice. Per cercare di accontentare il maggior numero di clienti possibili, al debutto si presentava con un assortimento molto ampio e variegato: quattro motorizzazioni (da 940 a 1600cc), tre carrozzerie (2 porte, 4 porte e Station wagon 3 porte) e cinque allestimenti (base, L, GL, Ghia e Sport). Alle versioni per il grande pubblico si affiancò presto la Escort sportiva, la nuova RS 1800 con un nuovo bialbero Cosworth di 1,8 litri e 115 cavalli di potenza, base di successo per l’impiego nei rally (Campione del mondo nel 1979 con Björn Waldegård e nel 1981 con Ari Vatanen).
LA RS 2000
Nel 1977 la Ford Escort fu oggetto di un piccolo restyling, che introdusse fari squadrati, nuova calandra e aggiornamenti di dettaglio per gli interni. Di questa nuova famiglia faceva parte anche l’inedita e prorompente RS 2000, forte di un 4 cilindri monoalbero longitudinale di 2 litri di cilindrata per 130 Cv. L’architettura delle sospensioni prevedeva bracci McPherson all’anteriore con barra antirollio e barre di torsione al posteriore con ammortizzatori telescopici. L’allestimento si completava con impianto misto dischi/tamburi al posteriore e ruote in lega di alluminio di serie. L’RS 2000 poteva raggiungere i 100 km/h con partenza da fermo in 8″5 e superava 170 km/h di punta massima.
Nel 1978 fu aggiunta la versione “Custom”, sorta di versione Premium equipaggiata con un ricco elenco di accessori e presto divenuta la più ambita tra tutte le Escort: sedili Recaro, pannelli porta con finitura più esclusiva, orologio nella consolle centrale, ruote in lega da 13″ di diametro, tappetini di qualità, specchio lato guida elettrico e fascia nera attorno ai fari posteriori.
L’esemplare andato all’asta da Silverstone Auctions al NEC di Birmingham lo scorso weekend appartiene esattamente a questa serie speciale. Giunto ai giorni nostri in ottimo stato di conservazione, presenta appena 927 miglia percorse sul tachimetro, pari a meno di 1500 chilometri, e naturalmente ancora con la sua vernice White Diamond originale (con interni in Cioccolata). Ordinata il 27 giugno 1980 attraverso il dealer Ford T.C. Harrison Ltd. di Derby dal suo acquirente di Nottingham, la tenne gelosamente fino al 1988. Dopo aver percorso appena 700 miglia la cedette a un amico, collezionista Ford, che la introdusse nella sua collezione (in una stanza climatizzata per preservare tutte le sue auto dai danni del tempo). Nel 2009 è stata infine venduta al suo attuale proprietario attuale ma, per lei, il tempo si è definitivamente fermato.
Il prezzo finale di aggiudicazione, 97.875 Sterline (pari a oltre 128.000 Euro) riflette esattamente la situazione attuale del mercato, dove anche le oldtimer hanno la capacità di produrre risultati straordinari ma solo in virtù di condizioni di conservazione ineccepibili.
L‘edizione 2017 di Milano AutoClassica punta a un nuovo record di pubblico. Nel 2016 il salone milanese dell’auto classica e sportiva presso il complesso di Fiera Milano-Rho è stato visitato da oltre 60.000 persone, con un incremento del 18% rispetto al 2015. Anche quest’anno l’obbiettivo è realizzare un altro successo attraverso una serie d’iniziative inedite per il pubblico.
La formula di Milano Autoclassica è variegata: un percorso espositivo che va dai club e registri al grande stand dell’Aci Storico (convegni, seminari e presentazioni di libri di settore), dalle divisioni dedicate al classic dei marchi ufficiali ai commercianti (l’organizzazione stima la presenza di oltre 2000 auto in vendita, per un controvalore di oltre 150 milioni di euro), dai venditori di ricambi (il padiglione 22 ospiterà 150 aziende selezionate) a quelli di memorabilia e oggetti da collezione. Cresce anche la sezione dedicata alle proposte di reverse engineering e di prototipazione. Novità dell’edizione 2017 la presenza dei makers.
FERRARI CLASSICHE: STAND UFFICIALE
Il dipartimento della Casa di Maranello dedicato alrestauro e alla manutenzione dei modelli della sua produzione con almeno vent’anni di età ha scelto Milano AutoClassica come unico appuntamento ufficiale nel circuito delle grandi rassegne espositive. Quest’anno, per festeggiare i settant’anni di produzione Ferrari, la divisione sarà presente con un grande stand in cui verrà riprodotta l’officina di Maranello e saranno esposte diverse automobili.
CLASSIC CIRCUIT ARENA
Anche quest’anno, gli ambienti esterni dell’area espositiva saranno dedicati alle attività dinamiche. Nella Classic Circuit Arena sarà allestito un circuito di 1,4 chilometri dove avranno luogo raduni, competizioni di velocità e rally, nonché gare di regolarità. Saranno impegnate un centinaio di automobili classiche.
Il programma prevede anche il consueto Concorso di Eleganza, con tre premi in palio: “1° classe – Style and speed class, the best mix of elegance and performance”; “2° classe – Perfection class, the most sensitive restauration” e “Best of Show”.
LE NOVITÀ DI MERCATO
La kermesse meneghina dedica un ampio spazio anche al presente dell’automobile. Non mancheranno gli spazi delle case ufficiali, con le ultime novità in esposizione. Sono attese Abarth, Alfa Romeo,Fiat, Lancia, Bentley, Infiniti, Lamborghini, Lotus, Maserati, McLaren, Porsche Classic e Tesla.
La rassegna proporrà, inoltre, quattro nuovi modelli in anteprima nazionale: Bentley Continental GT, Lotus Exige V6 Sport 380 GP Edition, Lotus Evora GT 430 e McLaren 570 Spider.
DATE E ORARI DI APERTURA
Venerdì 24 novembre: dalle 9.30 alle 19;
sabato 25 novembre: dalle 9.30 alle 19;
domenica 26 novembre: dalle 9.30 alle 19.
Una comunissima Volkswagen Maggiolino, una Ferrari 308 o una Fiat 500 che, a guardarle da fuori, potrebbero fare il loro figurone alla Fiera di Padova o sulla passerella di Bonhams, con un unico particolare fuori posto: sono auto elettriche che si collegano alla presa della corrente. Elettrificare le auto storiche, sia per preservarne la meccanica che per togliersi lo sfizio di guidare icone della storia automobilistica in silenzio (e rispettando l’ambiente), ormai non è più solo un divertissement o un discorso da bar. Volendo, l’auto d’epoca a zero emissioni si può fare – legislazione di ogni singolo Stato e relativa omologazione permettendo.
Basta fare un rapido giro in rete per scoprire che esistono diverse aziende specializzate nella conversione elettrica delle auto storiche, ognuna con la propria filosofia di approccio a un tema che oggi è più che di moda. Del resto, non stiamo parlando di una novità assoluta: come molti sanno, a Milano circolavano auto elettriche già ai primi del Novecento, con officine specializzate che sostituivano il pacco batterie nottetempo a veicoli più simili a carrozze che a bolidi fiammanti. Persino una star del calibro del cantante rock Neil Young, non più tardi di una decina di anni fa, si era messo in testa di tirare la volata alle conversioni in elettrico delle auto con motore termico, trasformando una Lincoln Continental in auto elettrica, con fortune alterne: il famoso musicista infatti, dopo aver riscosso una grande attenzione mediatica, finì in tribunale a seguito di un incendio dovuto al surriscaldamento delle batterie di una sua auto.
A ogni modo, Young non è stato il solo ad avere questa idea: tra gli altri oggi in attività c’è Electric GT, società americana che ha recentemente convertito l’alimentazione di una Ferrari 308 da benzina ad elettrica: anche qui, a seguito di un incendio, motore e parte della carrozzeria sono andati in fumo. Una Ferrari che quindi, una volta ricaricate le pile, potrebbe dare del filo da torcere alla versione originale degli anni 70. Ma, al netto delle prestazioni migliori rispetto all’originale, senza il V8 e con il selettore delle marce a griglia esclusivamente in fuzione estetica, si può ancora parlare di auto storica del Cavallino Rampante? Ci sarebbe da aprire un dibattito filosofico, ma dubitiamo si tratti di cosa accettabile nel buon senso comune del collezionista. Le distorsioni sono tante e tutte, a modo loro, in grado di far rabbrividire i puristi. Le prestazioni, ancorché migliorate, cambiano infatti completamente il carattere delle auto convertite: si perde totalmente il rapporto emozionale con la meccanica rinunciando, tra le altre cose, alla distribuzione dei pesi prevista in origine dai progettisti.
È proprio su questo aspetto tecnico che molte officine specializzate dichiarano di porre particolare attenzione: è il caso di Zeletric (San Diego, Texas), che trasforma icone del calibro del Maggiolino, del pulmino Volkswagen (che nella sua prossima versione sarà dotato di alimentazione elettrica) e della Porsche 911 in veicoli elettrici col doppio dei cavalli e con un’autonomia superiore ai 150 km. Il prezzo del Maggiolino elettrico? Da 70.000 a 90.000 dollari, a seconda degli optional. Se però è direttamente il cliente a fornire la propria storica, si riesce a risparmiare qualcosa. Il motto della casa americana è “veloce, elettrica e per sempre giovane” e strizza l’occhio a un target di possibili acquirenti molto diverso dall’appassionato di auto classiche tradizionale. Altro esempio è quello di Drive Retro che trasforma in elettriche le Triumph GT6, con un netto vantaggio nell’economia di manutenzione dell’auto: si passa infatti dalle centinaia di pezzi della meccanica originale ai pochi pezzi, neppure venti, del motore elettrico. Per chi vuole restare in Europa, le alternative non mancano: New Electric, dal suo quartiere operativo di Amsterdam, fornisce kit e motori elettrici per diversi tipi di conversione, perfettamente in linea con le normative UE.
È fuor di dubbio che molti veicoli storici siano veri e propri capolavori d’ingegneria, che mai andrebbero modificati (magari innestando un motore elettrico sulla vecchia trasmissione). Ma, dal punto di vista dei pionieri delle “classiche ecologiche”, ci sono troppe macchine “vecchie” e poco utilizzate, perché piene di problemi o perché, purtroppo, la legge non lo consente più. Ecco che allora riconvertire queste auto potrebbe non essere più un’eresia ma, piuttosto, un tributo eco-compatibile a grandi icone dell’automobilismo storico. Alla fine, soltanto il tempo potrà dirci se ad avere ragione saranno i detrattori o gli entusiasti o ancora chi, invece, immagina di dotare le classiche del futuro di soluzioni ibride, mantenendo quindi la meccanica originale con la possibilità di sfruttare la propulsione elettrica solo per brevi tratti.
Per finire, un altro grande argomento di discussione tra gli appassionati: quali auto elettriche tra le youngtimer e quelle attualmente a listino sarebbe lungimirante mettersi nel box, in attesa di una rivalutazione futura? In quest’ottica i primi modelli di Tesla, la BMW i8 o la Toyota Prius sembrerebbero conciliare la voglia di elettrico e la coerenza con lo spirito del collezionista vero, che guarda sempre con sospetto alle soluzioni pasticciate.
Non sarà un’asta di auto d’epoca qualsiasi. L’evento, non a caso, si chiama “Icons” e si terrà a Manhattan, sede principale della prestigiosa Casa d’aste americana. Basta sfogliare il catalogo dei lotti in vendita per capire subito che si tratta di vetture che meriteranno la massima attenzione da parte dei collezionisti.
Segnaliamo in particolare una Mercedes-Benz 300 SL Roadster del 1958 completamente matching number, offerta senza prezzo di riserva (stima d’asta 1.250.000 – 1.500.000 dollari; qui, un modello analogo aggiudicato nel 2015).
Decisamente interessante anche una Ferrari 250 GT Cabriolet di Pininfarina del 1961 molto particolare: centocinquantesimo esemplare dei 200 allestiti dal carrozziere torinese, ha percorso soltanto 965 chilometri dalla fine del restauro. La stima d’asta è di 1.500.000 – 1.800.000 dollari.
Impossibile, poi, non segnalare una delle circa 30 Aston Martin DB5 Convertible del 1965 con guida a sinistra. L’auto, vincitrice di classe al Concorso di Eleganza di Pebble Beach nel 2009, ha una stima d’asta di 2.450.000 – 2.650.000 dollari.
Infine, andrà all’asta anche una fiammante BMW Z8 appartenuta a Steve Jobs: il celebre fondatore della Apple, attento anche al design automobilistico, l’ha guidata per tre anni (dal 2000 al 2003). La valutazione della vettura, in perfetto stato di conservazione, è di 305 – 405.000 dollari.
Moto, biciclette, tagliaerba e motori: comincia così, nel 1901, in Inghilterra, la storia della Royal Enfield. Nel 1909 l’azienda d’oltremanica stupisce il mondo delle due ruote presentando una piccola motocicletta con un motore bialbero a V da poco più di 2 CV. Appena tre anni dopo, la casa di Redditch (Worcestershire) è già sotto le luci della ribalta: nel 1912 arriva infatti il primo sidecar, la JAP 6 CV.
Oggi l’azienda, leader a livello mondiale nel segmento delle moto “classiche moderne”, presenta un nuovo motore bicilindrico che rispetta pienamente il valore storico e la tradizione del marchio. Il motore 650 cm³, progettato nei centri tecnologici Royal Enfield del Regno Unito e di Chennai in India, offre il giusto equilibrio tra potenza, coppia e facilità di guida. Studiato per fornire maggiore spinta ai bassi regimi, il propulsore sviluppa una potenza di 47 CV a 7100 giri/minuto, con una coppia di 52 Nm disponibile già a 4000 giri/minuto.
Pur seguendo uno schema progettuale “d’epoca”, il motore è moderno e raffinato. Di sicuro impatto estetico il doppio terminale di scarico e le caratteristiche alette di raffreddamento dei cilindri. Ulteriore peculiarità di questo motore è il suo rombo sordo, da sempre amatissimo dagli appassionati. Con questo bicilindrico dal gusto retrò, Royal Enfield si prefigge così di ampliare l’universo delle moto di medie dimensioni, offrendo uno stile improntato a un motociclismo puro, ma alla portata di tutti.
Alberto Amedeo Isidoro
Royal Enfield, ritorno alle origini con due novità
Porsche integra il servizio di monitoraggio satellitare via GPS della propria auto anche con riguardo ai modelli classici. Si chiamaPorsche Classic Vehicle Tracking System ed è una variante del sistema già disponibile sui modelli della produzione attuale. Consiste nella capacità dell’auto di essere sempre rintracciabile e monitorabile via smartphone attraverso un’applicazione dedicata.
Il sistema si fonda su un pacchetto di sensori applicati in zone sensibili. Questi dialogano con un network di sicurezza in grado di coprire tutta Europa e, da qui, via app, sul proprio dispositivo portatile. Ora il dispositivo può essere montato anche sulle Porsche classiche, dalle356 (mediante un’estensione dell’impianto elettrico che richiede potenza aggiuntiva) alla favolosa Carrera GT del 2003.
Così spiega Alexander Fabig, responsabile Porsche Classic, a proposito del nuovo servizio: “Con il Porsche Classic Vehicle Tracking System siamo in grado di offrire un sistema di sicurezza completo per le nostre vetture classiche. Il sistema comprenderà anche un allarme a sirena e un sistema di avviso nel caso in cui la batteria venga staccata o l’auto rubata. Se il proprietario confermerà che sta avvenendo qualcosa di strano, le autorità preposte verranno immediatamente avvisate e si procederà a rintracciare l’automobile attraverso i sensori del GPS che ne monitoreranno gli spostamenti. Attraverso un comando wireless, inoltre, renderemo impossibile avviare l’automobile“.
Il sistema possiede ulteriori funzionalità:
– Geofence: può essere stabilita un’area geografica all’interno della quale il veicolo può muoversi (parco, confini cittadini, una serie di strade). Ma se questi limiti vengono attraversati, il proprietario viene avvisato immediatamente via smartphone.
– Workshop: tutte le funzionalità del sistema possono essere modificate quando la vettura si trova presso un Centro Porsche per riparazioni o manutenzioni.
– Transport: permette alla vettura di essere trasportata per esigenze di qualsiasi tipo (trasferimenti, eventi) senza che questo produca un’allerta (perché si sta spostando ma non sulle proprie ruote).
Questo dispositivo, naturalmente, può essere installato esclusivamente presso un Centro Porsche o un partner Porsche Classic.
Bisognerà attendere ancora due mesi per il prestigioso appuntamento di Scottsdale (Arizona, Usa). Troppo presto per parlare di stime e prezzi dei lotti in vendita ma, siccome sognare non costa nulla, diamo subito una breve rassegna delle automobili più interessanti.
ORGOGLIO ITALIANO
Si parte nel segno del Cavallino Rampante. Sarà febbre alta per la “mini collezione” di Ferrari firmate Pininfarina, tutte certificate da Ferrari Classiche: quattro le “rosse” disegnate dal carrozziere torinese che andranno all’incanto, tra cui una 246 GTS (versione targa, con tettuccio rimovibile), una 365 GTS/4 (la celebre Daytona Spider), una 275 GTB/4 e una F40. Se la Ferrari più bella è la prossima, parafrasando il “Drake”, non possiamo non segnalare la bellissima 308 GTBdel 1976 con carrozzeria in vetroresina, numero di telaio 19433. Questo modello, reso celebre dalla serie televisiva statunitense “Magnum, P.I.” (il protagonista, interpretato da Tom Selleck, guida una 308 GTS a iniezione), riveste un’importanza particolare nella storia della Casa di Maranello: la 308 è, infatti, la prima berlinetta Ferrari a essere prodotta “in serie”, per un totale di oltre 12.000 esemplari. Un’ultima curiosità, legata alla manutenzione particolarmente onerosa della vettura: la sostituzione periodica delle cinghie di distribuzione e servizi prevede lo stacco e il riattacco del motore 8 cilindri. Vi lasciamo immaginare con quali costi…
COME QUELLA DI JAMES DEAN
Alla ricerca di un acquirente anche una splendida Porsche 550 A Spider del 1958, identica a quella appartenuta al celebre attore statunitense, protagonista del film “Gioventù bruciata”. Il motore sportivo (4 cilindri boxer di 1,5 litri) e il peso estremamente ridotto (550 kg), la rendevano un incubo anche per le concorrenti più potenti dell’epoca. Moltissime le vittorie che regalò alla Casa di Stoccarda nella seconda metà degli anni 50, sia in circuito sia nelle gare in salita. L’esemplare in questione, ex ufficiale Porsche, ha un passato agonistico di tutto rispetto, con un podio a Le Mans e uno al Nürburgring.
È dal 2016 che si parla dell’avvicendamento di Rodolfo Gaffino Rossi, attuale direttore del Museo Nazionale dell’Automobile. Carrierone Fiat alle spalle, ultimato al reparto “vetture speciali” che rispondeva – tra l’altro – ai desideri dell’avvocato Agnelli, Gaffino ha retto il timone del Mauto per diciotto anni. Un tempo cruciale per il rinnovamento dell’Istituzione, che ha portato risultati sorprendenti. Ma anche il più inossidabile dei manager, varcati tutti i limiti dell’età pensionabile, ambisce, a un certo punto, a dedicarsi a un hobby. Nel caso specifico, la pittura.Così, sugli organi ufficiali, prima dell’estate è apparso il primo bando, che ha portato una sessantina di candidati ma nessuna decisione. Probabilmente si chiedeva troppo: grande esperienza manageriale in ambiti affini, profonda cultura dell’auto, spiccata propensione alla comunicazione e al new business. Si offriva in cambio un tempo risicato (tre anni di contratto), non molti soldi (90.000 euro lordi) e l’auspicio (non scritto, ma confidato) di trovare un aspirante giovane. I primi due fattori sono stati, probabilmente, un ostacolo a candidature di persone “under 50” e di sicuro valore, in quanto ancora in piena carriera aziendale e meno propense a “parcheggiarsi” in un Museo, sia pur splendido.
Oggi si riprova con un nuovo bando: tempo fino al 4 dicembre per inviare il curriculum, il contratto portato a 3+2 anni e poche altre novità. È questo, in sintesi, ciò che hanno detto ieri il presidente Benedetto Camerana e il direttore generale uscente in una lunga chiacchierata con la stampa, dedicata al futuro del Mauto. Ma è stato anche spiegato che cosa è stato fatto, negli ultimi dieci anni, per trasformare – come ha scritto il New York Times qualche settimana fa – una bella collezione di auto antiche nell’ “archetipo del museo moderno delle quattro ruote”.
C’è chi pensa che l’erede di Gaffino dovrebbe essere… un altro Gaffino, magari con vent’anni di meno. Ma nel cilindro poco magico della Praxi, che gestisce il bando, ci si accontenterebbe di scovare qualche ex designer, ex direttore di giornale, ex uomo immagine (ma non “in famiglia”). “Ah – sospira qualcuno – se De Silva non fosse volato a Barcellona! Il museo e la scuola Italdesign, per i quali era venuto, almeno ufficialmente, da due anni fa da Ingolstadt, sono evaporati nel ‘buco’ Volkswagen. Ma oggi, al Mauto, sarebbe stato perfetto!”. Altri favoleggiano di un figlio d’arte, nuova generazione di collezionisti. “La grinta ci sarebbe, ma la decennale esperienza? E altri ex-uomini d’oro, un po’ parcheggiati? Ma c’è già l’Heritage!” E poi, lo stipendio, qui non basta. “E quell’indimenticabile direttore di Autosprint? Ma se è più vecchio di Gaffino!”.
Un vice di talento, cresciuto all’interno, purtroppo non c’è. Si era provato, qualche anno fa, ma il rampollo poi è scappato a Milano. La verità è che dirigere un museo da 240 mila visitatori l’anno, con uno staff numeroso (soprattutto esterno) e 22 mila metri quadri di gallerie multimediali, non è uno scherzo. E il mondo dell’auto, anche se, dopo la rivoluzione di François Confino, il museo di Torino lo ha – giustamente – reso “pop”, è ancora un mondo di perfezionisti. Se si vuol andare avanti alla scuola di Gaffino bisogna sapere di cosa si sta parlando. Amare la storia dell’automobile e saperla comunicare. Conoscere da vicino (o saper avvicinare molto bene) i partner dei tanti progetti possibili. Nazionali e internazionali. E poi farsi carico di tutto il fardello amministrativo. Capacità, verrebbe da dire, da navigati timonieri. Ma aspettiamo i nuovi candidati. Pare ce ne siano, per ora, una trentina di inediti. Una manciata pure dall’estero.
L’incontro al Mauto, è stato anche un momento di omaggio alla direzione uscente (Gaffino lascerà in gennaio) per i risultati raggiunti e l’oculata ristrutturazione da 33 milioni di euro conclusa nel 2011. Gallerie permanenti ispirate dal genio di François Confino, ma anche le continue mostre temporanee realizzate (“Martini Racing”, “Le auto dell’Avvocato”, “100 anni di Bertone”, “90 Anni di Touring Superleggera“, “Giorgetto Giugiaro“) e quelle che verranno (è ufficiosa, in autunno 2018, una grande monografica su Marcello Gandini).
In chiusura si sono festeggiati due successi internazionali del Museo (che tra l’altro è visitato per due terzi da stranieri, cosa indicativa del tanto che resta da fare con il pubblico italiano e milanese, ormai a 40 minuti di treno). La prima menzione è stata per la Londra-Brighton 2017. Il Mauto, come noto, ha partecipato con una Peugeot Typ 3 del 1892. E si è portato via i due premi più ambiti. Il secondo traguardo è quello della collaborazione con i grandi musei d’Europa,utile soprattutto per coprodurre mostre, parti di allestimenti e documentazione. Da Torino sono partite per Bruxelles tre vetture (Fiat 520, Cisitalia 202 MM e OM 469 N ) che andranno a raggiungere quelle dei musei Schlumpf, Louwman, National-Beaulieu e Autoworld, alla rassegna belga Interclassics.
Sabato 18 novembre, il cortile di Villa Olmi, a Firenze, accoglierà le vetture Abarth di tanti appassionati in occasione della consegna dell’“Insegna HP”, quest’anno dedicata ai 109 anni dalla nascita di Carlo Abarth. L’evento sarà presentato dalla signora Anneliese Abarth, consorte del geniale Costruttore scomparso nel ’79 e presidentessa della Carlo Abarth Foundation (nel 2015 tenne a battesimo l’esordio dell’officinaAbarth Classiche). Da sempre grande appassionata di motori, farà rivivere ai partecipanti, insieme al giornalista Luca Gastaldi, le imprese sportive più entusiasmanti della Casa torinese. Il premio, riconosciuto dalla Scuderia Clemente Biondetti e dall’Associazione “Piccolo Museo delle Auto – Bruno Zavagli – Onlus”, va a uno dei padri fondatori dell’automobilismo sportivo del secondo dopoguerra.
CHI ERA CARLO ABARTH
Carlo Abarth nacque nel 1908 a Vienna, nell’impero Austro-Ungarico. Fu meccanico, collaudatore e pilota – nonostante una stazza fisica imponente che, col passare del tempo, finì per impedirgli di guidare le sue auto da corsa. Convintissimo di riuscire a perdere peso per poter tornare a correre, divenne un gran divoratore di mele: ne teneva addirittura un cesto pieno a bordo pista dal quale forse, però, attingeva un po’ troppo spesso.
COMPETIZIONI E GUSTO PER IL DESIGN
Entrò come direttore tecnico alla Cisitalia nel ’47, non ancora quarantenne, per poi fondare, appena due anni dopo, la Casa che ancora oggi porta il suo nome. Nel ’50 sospese l’attività agonistica per dedicarsi con successo alla produzione di marmitte sportive che vendeva in tutto il mondo, per potenziare le auto di serie. Ossessionato dalle “belle linee” di un’automobile, collaborò per la realizzazione delle sue vetture con stilisti e carrozzieri del calibro di Giovanni Michelotti eAlfredo Vignale. A proposito di design Abarth, sono senz’altro da ricordare le auto da record aerodinamiche (costruite prima con Bertone e poi con Pininfarina) e la serie di eleganti coupé e spider affidate ai carrozzieri Allemano ed Ellena.
Ieri sera, 16 novembre, alla Contemporary Art Evening Auction, venduta ben oltre il valore previsto la monoposto con cui il campione tedesco vinse il G.P. di Monaco e di Ungheria.
Non una Ferrari da Formula 1 qualsiasi, ma – si legge in un comunicato stampa della casa d’aste RM Sotheby’s – “la macchina da corsa più importante della moderna F.1, tra le più significative e preziose auto da corsa di ogni collezione a livello mondiale“.
Che trovare una Ferrari di Schumacher in vendita rappresenti un evento più unico che raro, i partecipanti all’incanto hanno dimostrato di averlo capito sin dalle prime battute della seduta. Nella febbre delle palette alzate, l’ambito “lotto 55″ ha trovato così un fortunato acquirente. Il prezzo di aggiudicazione? 7.504.000 dollari. Sicuramente una cifra mostruosa, ma per chi ha deciso (avendone la possibilità) di portarsi a casa, nel 70° anniversario della Casa di Maranello, la macchina con cui “Schumi” conquistò il suo quarto Mondiale Piloti e la Ferrari il suo undicesimo titolo Costruttori. Questa splendida F2001 (telaio 211) potrà essere usata dal suo nuovo fortunato proprietario nelle gare di velocità riservate alle storiche.
Aggiudicata per 7,5 milioni di dollari la F2001 di "Schumi"
Winningen, Renania-Palatinato. Il pioniere dell’automobile August Horch nasce nel 1868. Da ragazzo, dopo la laurea in ingegneria lavora per Karl Benz e presto si mette in proprio: prima a Colonia, poi a Zwickau, dove, nel 1904, fonda la A. Horch & Cie. Motorwagenwerke AG. Nella città sassone inizia a sviluppare motori a 4 cilindri ed è fra i primi sperimentatori a impiegare acciaio al nichel-cromo. Pochi anni dopo finisce accompagnato alla porta dai suoi stessi manager ma non sarà una fine, bensì un inizio. Parte così il capitolo più avvincente della sua storia, un concentrato di caparbietà, di ingegno e passione che getterà di lì a poco le basi del colosso Audi (qui, l’articolo sul 50° anniversario del marchio).
Ma andiamo con ordine: nel 1909 Horch fonda una terza azienda a poca distanza dalla precedente e le dà ancora il suo nome. Pessima idea: dalla sua prima creatura gli fanno causa. Perde. Ed ecco che durante una riunione in cui è presente il figlio di un socio finanziatore, uno studente delle scuole medie, il ragazzo all’improvviso alza la testa dai compiti che sta facendo e risolve il problema all’ordine del giorno. Trova il nuovo nome dell’azienda: “Audi”, appunto. L’imperativo del verbo “ascoltare” – ovvero il significato della parola tedesca Horch – tradotto in latino.
Oggi la vista di quel nome scritto in metallo su un edificio industriale a mattoncini dei primi del Novecento, tipico della zona, regala emozioni. Anche perché siamo abituati ad associare il marchio a Ingolstadt, dov’è il quartier generale, ma è in Sassonia che tutto ha avuto origine. Negli anni, poi, vi si sono succedute talmente tante produzioni del settore da far meritare a Zwickau l’appellativo di “Città tedesca dell’automobile”.
Davanti al palazzo dov’è sorto il primo stabilimento Audi c’è ancora la villa dell’ingegner Horch, perfettamente conservata e visitabile. Accanto, l’August Horch Museum espone per prima cosa quattro vetture simbolo delle aziende che hanno composto l’Auto Union a partire dal 1932 (Horch, Audi, DKW, Wanderer). E dove oggi si snoda il percorso espositivo – che comprende anche una riproduzione fedelissima di una stazione di servizio degli anni Venti e di uno spaccio anni Trenta – un tempo c’erano gli operai al lavoro. Si tratta dell’unico museo di automobili tedesco ospitato in un impianto produttivo storico.
È aperto ai visitatori anche l’ufficio del capo, rimasto intatto. Minuscolo, essenziale, include solo un’altra stanzetta per la segretaria. Sui tavoli si possono persino scorrere le pagine dei registri contabili. Tutto è originale, come l’insonorizzazione. Secondo alcuni, l’ingegner Horch perdeva spesso la calma e non voleva far sentire le proprie urla all’esterno, oppure poteva essere semplicemente un modo per proteggersi dai rumori dei vari reparti: sta di fatto che la facciata interna della porta del suo ufficio è rivestita con una dozzina di centimetri di gommapiuma. Più avanti, scorrendo le sale, s’incontrano macchinari di produzione e di misurazione che, volendo, si possono azionare con l’assistenza di una guida.
Tutta l’area della mostra permanente è una full immersion nel passato, in cui ogni ambiente è riprodotto nei minimi dettagli, mentre nella collezione di auto non manca una delle più distintive della Horch, la 853, che tra i suoi fortunati possessori annoverava Tazio Nuvolari. E a proposito di “Nivola”, la nuova ala espositiva del museo, inaugurata venerdì 10 novembre, presenta per la prima volta due rarissime Frecce d’Argento: la Type D del 1938, guidata dal campione italiano, e una replica della Type C del 1936.
Fra le altre novità (nel complesso sono 150 le auto esposte), si possono ora vedere anche gli unici frammenti sopravvissuti degli impianti produttivi delle Trabant. A partire dalla P50 del 1954, infatti, le inconfondibili vetture della Repubblica Democratica Tedesca sono state prodotte – dalla VEB Sachsenring – fra l’enorme varietà di prodotti a quattro ruote made in Zwickau. La milionesima “Trabi” è uscita dalla catena di montaggio esattamente il 22 ottobre del 1973.
Un ulteriore marchio che ha lasciato un’impronta indelebile nei registri delle camere di commercio della zona è poi quello del consorzio Ifa e, in seguito, anche Volkswagen si è insediata nel 1990 nel sobborgo di Mosel con la Volkswagen Sachsen GmbH, tuttora attiva. E così, dalle anteguerra che hanno visto la luce nel territorio fino alla Polo e ad altri modelli del passato più recente, la panoramica compresa nel giro museale è completa. Fino alle auto di domani…
Spazi espositivi e compravendita, a caccia della storica dei sogni tra le oltre 2000 in vendita. Dipartimenti Heritage delle più prestigiose Case automobilistiche (d’obbligo una visita allo stand di Ferrari Classiche, dove sarà riprodotta l’officina di Maranello). Ancora, club e registri di marca, tra conferenze e presentazioni di libri specializzati. E poi modellini, memorabilia e, ovviamente, tanti ricambi (oltre 150 i ricambisti selezionati). Ma non solo.
A Milano AutoClassica, giunta quest’anno alla sua settima edizione, per la gioia dei visitatori si accenderanno anche i motori. Nelle giornate di venerdì 24, sabato 25 e domenica 26 novembre, il pubblico potrà infatti assistere a gare di vario genere, che vedranno impegnate le storiche da competizione su un circuito di 1,4 chilometri, allestito ad hoc per l’occasione.
A mettersi guanti e casco saranno innanzitutto tantissimi piloti privati che, per un giorno, spingeranno al massimo la loro classica nelle sessioni di prove libere. Per il secondo anno consecutivo, poi, sia i guidatori alle prime armi che quelli più smaliziati avranno la possibilità di partecipare a un corso di regolarità. In pista anche le vetture di Formule storiche di Grassano Racing (tutti e tre i giorni, ore 10.00 – 10.30, 12.30 – 13.00, 14.30 – 15) e alcune vetture di Formula Junior fresche di partecipazione al Campionato Formula Class 2017.
In anteprima anche la presentazione del Bergamo Historic Grand Prix, dove saranno protagoniste le più importanti auto da corsa dagli anni 50 agli anni 80 (tutti e tre i giorni dalle 13 alle 14.30). Infine, ne vedranno delle belle anche gli appassionati di rally, con la quarta edizione dell’Hystoric Rally (sabato 25 e domenica 26, al mattino dalle 10.30 e al pomeriggio dalle 14.30). Per i puristi della pista invece, immancabile l’appuntamento con la Lotus Cup (sempre sabato e domenica, dalle 15 alle 15.30).
Nella giornata conclusiva di domenica si terranno le parate del Club 500 e del BMW Club.
DATE E ORARI DI APERTURA
Venerdì 24 novembre: dalle 9.30 alle 19;
sabato 25 novembre: dalle 9.30 alle 19;
domenica 26 novembre: dalle 9.30 alle 19.