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Monterey 2016: sei giorni in 60 foto

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La settimana più lunga dell’anno per gli appassionati di auto d’epoca in una carrellata di immagini rilasciate dalla Rolex, uno degli sponsor principali dei numerosi eventi che caratterizzano la reunion californiana

Si comincia con il Car Coast Tour, la sfilata delle auto che poi parteciperanno al Concorso di eleganza di Pebble Beach e si prosegue con la Rolex Monterey Motorsport Reunion, il più grande evento per auto da corsa sulla pista locale, con 550 vetture in gara, quindi con il Concorso di eleganza di Pebble Beach. Clicca qui per tutti gli eventi che si sono tenuti dal 16 al 21 agosto.


Tourist Trophy, 40 anni fa l’ultima vittoria BMW

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Quarant’anni dopo, Helmut Dähne è tornato sul luogo del delitto. L’oggi 71enne ex corridore bavarese è tornato sull’Isola di Man in occasione del Classic TT (l’edizione del Tourist Trophy dedicata alle moto d’epoca e modern classic) per celebrare l’ultimo successo di un boxer BMW sul lungo e terribile circuito stradale dell’isola britannica. Oggi come allora, Dähne ha guidato la BMW R 90 S con la quale ha vinto il Production TT del 1976 in coppia con Hans Otto Butenuth (scomparso nel 1997, ndr), per il giro d’onore sul Mountain Course.

UNA VITTORIA DA RICORDARE
Ma perché la vittoria nel Production TT del 1976 rappresenta una pietra miliare nella storia sportiva della Casa dell’elica? Dal 1955 al 1976 per ben 28 volte un motore BMW si era imposto sull’Isola di Man, nella categoria Sidecar. Ma non era abbastanza: l’ultima vittoria di un pilota tedesco su questa strada era di Georg Meier, che si era imposto con una 500 nel 1939, davanti all’altra BMW dell’inglese Jock West.

Nel frattempo, il TT era diventato terreno di caccia quasi esclusivo dei piloti di casa. E BMW era a secco da troppi anni nelle gare per piloti singoli. Il 1976 mise fine a quel digiuno, grazie a una gara perfetta condotta da Dähne e dal suo secondo Butenuth. Dähne era un motociclista esperto: formatosi come meccanico proprio in Bmw, di cui era collaudatore, aveva avuto esperienza come pilota di auto e sulle due ruote aveva vinto 15 volte il campionato tedesco nella categoria Produzione, oltre ad aver già partecipato al TT e ad altre gare di durata come la 200 Miglia di Imola. Insomma, era la persona giusta per portare al successo un boxer bavarese, dimostrandone l’affidabilità e le capacità prestazionali.

RIFORNIMENTO RECORD
La Bmw R 90 S con cui correva Dähne si impose sin dalle prove non solo per la speciale preparazione cui era stata sottoposta alla vigilia, che aveva permesso di risparmiare 30 chilogrammi rispetto alla versione di serie della moto. La tedesca con livrea arancio Daytona vinse anche perché l’equipaggio tedesco, ben coadiuvato dal capo meccanico Helmut Bucher, sperimentò un nuovo e più veloce metodo per il rifornimento carburante e il cambio pilota sul lungo tracciato mannese (oltre 60 chilometri a giro). Accorgimenti che permisero alla R 90 S di imporsi nel TT Production per le moto fino a 1000 cm3 , oltre a conquistare il quinto posto in classifica generale.

VIGILIA DIFFICILE
Eppure non tutto è oro ciò che luccica: la vigilia del TT di quell’anno è stata funestata da molti problemi tecnici, risolti con ingegno e pochi mezzi, come si usava fare allora. Prima si staccò il collettore di aspirazione avvitato sul cilindro destro, che venne aggiustato con un adesivo a due componenti. Poi la centralina andò in tilt e venne sostituita con una di fortuna che il capomeccanico Bucher si era portato dalla Germania. Infine la pioggia, che aveva costretto per tre volte al rinvio della partenza e un improvviso cambiamento delle condizioni meteo che asciugò rapidamente la pista: il che fu una sorta di miracolo perché il team Bmw non aveva con sé un treno di gomme da pioggia…

CAPOLAVORI IN MOSTRA
Oltre alla R 90 S vincitrice nel 1976, gli appassionati potranno osservare allo stand della BMW molte delle moto bavaresi che hanno segnato la più importante corsa stradale al mondo: in mostra anche una R 5 SS del 1937, una R 51 del 1939  e una RS 54, prototipo da corsa del 1954 che già allora raggiunse la velocità massima di 200 km/h.

Marco Gentili

A settembre in edicola il meglio del “Made in Italy”

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Cinquanta auto italiane da non perdere perché belle da guardare, divertenti da guidare e di sicura rivalutazione. Le ha scelte la redazione di Ruoteclassiche per lo “Speciale” che i lettori troveranno in edicola a settembre (9,90 euro; solo rivista, 5,50): 128 pagine da leggere tutte d’un fiato, dedicate ad alcune delle quattro ruote da collezione preferite dagli appassionati di vetture di produzione nazionale.

Troverete modelli alla portata di ogni tasca, dalle poche migliaia di euro necessarie per entrare in possesso di una youngtimer di sicura futura rivalutazione fino alle sportive da 100.000 euro come per esempio la Lamborghini Diablo. Una carrellata di storia e di consigli per gli acquisti, con tante, tantissime Alfa Romeo (ben 15): dalle più apprezzate Giulietta (le Spider) alla youngtimer 164 Q4, che un giorno non lontano sarà un oggetto di culto, come tante berline nel passato del Biscione. Ma anche molte Fiat (dalla 1100/103 TV alla Coupé degli anni 90) e Lancia (dall’Appia Convertibile Vignale alla “Deltona”). E parecchie vetture di grande lignaggio non propriamente alla portata di tutti: De Tomaso (Pantera), Ferrari (Mondial, 348 e 360), Lamborghini e Maserati (Mexico, Biturbo  e Ghibli).

Un volume imperdibile per chi – anche su strada – ama il Made in Italy.

A settembre in edicola il meglio del "Made in Italy"

Copertina BELLE D'ESTATE

Audi: 40 anni di motore 5 cilindri

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L’Audi 100, berlina 3 volumi presentata nel novembre del 1968, aveva tracciato il solco definitivo lungo il quale si sarebbe sviluppata la “brand awareness” dell Casa dei quattro anelli: cura progettuale, innovazione, ottime rifiniture, allestimento di qualità. Sviluppata sulla piattaforma C1, montava un motore 4 cilindri di 1,8 litri con 100 cavalli (da cui la denominazione “Audi 100″), poi sviluppato in differenti layout con diverse potenze. Rimasta in produzione fino al 1976, lasciò il posto alla nuova serie, caratterizzata dalla nuova scocca con denominazione C2.

Rispetto al modello precedente, la nuova Audi 100 avrebbe dovuto offrire un generoso salto di qualità che ne migliorasse verso l’alto il posizionamento in listino. Per raggiungere questo obbiettivo, tuttavia, il motore 4 cilindri non possedeva le caratteristiche tecniche e di immagine adeguate al raggiungimento dello scopo. In tal modo, dopo il debutto delle versioni LS e GLS dotate ancora del vecchio 4 cilindri EA 827 monoalbero (1,6 litri da 85 Cv e 2 litri da 115 Cv), gli ingegneri tedeschi svilupparono l’unità motrice ottenendo una nuova architettura con 5 cilindri e 2.144 cc per complessivi 136 cavalli. Il nuovo propulsore debuttò ufficialmente sull’Audi 100 5E, le cui consegne iniziarono nel marzo del ’77.

Le successive evoluzioni non tardarono ad arricchire il listino dell’Audi 100: nel 1978 un nuovo 5 cilindri Diesel da 70 Cv e, nel 1979, la versione benzina arricchita di turbocompressore per l’Audi 200 5T con 170 Cv e 265 Nm, il modello in cima alla gamma della berlina di Ingolstadt. La 200 rimarrà in produzione fino al 1990 (cilindrata aggiornata nel 1988), disponibile come berlina o Avant, con trazione anteriore o con quattro ruote motrici.

“UR” QUATTRO E SPORT QUATTRO
In corso di sviluppo fin dal 1977, la Quattro era nata nel 1980 come risultato di una serie di spinte tendenti a portare sul mercato di massa la trazione integrale sfruttando il potenziale traino di questa nuova soluzione tecnologica nelle gare (per il 1979, infatti, la FIA aveva deciso di ammettere al campionato del mondo Rally le vetture con quattro ruote motrici). Presentata al Salone di Ginevra del 1980 l’Audi Quattro, su base Audi 80 con molte modifiche e vestita con una carrozzeria coupé tipo “fastback” dalla personalità molto intrigante (disegnata da Martin Smith), montava la trazione integrale con 3 differenziali e, sotto il cofano, esibiva il 5 cilindri 2.1 con turbocompressore. Grazie a un’unità KKK-K26 con intercooler esprimeva ben 200 Cv di potenza.

Commercialmente la spinta del successo sportivo in realtà non le servì, poiché le vendite iniziarono subito a decollare e solo nel 1983, sul fronte delle competizioni, arrivò il coronamento agli sforzi progettuali profusi: Hannu Mikkola conquistò il titolo piloti nel Campionato Mondiale Rally. Ma poiché all’orizzonte già si addensavano le nubi della superiorità opposta dalla concorrenza con nuove auto a trazione integrale, nell’84 ecco la Sport Quattro con passo accorciato di 32 centimetri, carreggiate allargate e carrozzeria in materiale composito. Sotto il cofano una nuova versione del 5 cilindri in linea: cilindrata ridotta da 2.144 a 2.133 cc, distribuzione bialbero, blocco e testa in lega leggera, iniezione elettronica, turbo KKK. La potenza massima cresceva così a 306 Cv a 6.700 giri (con un valore di coppia massima di 370 Nm a 3.700 giri). Della versione stradale ne vennero prodotte poco più di 200 unità, il minimo indispensabile per l’omologazione in Gruppo B.

L’Audi Sport Quattro, pensata da subito per le gare, costituì il primo passo verso il modello da competizione per il Gruppo B. Utilizzata per la prima volta nella penultima gara della stagione 1984, il rally della Costa d’Avorio, si presentò con un set up a 450 Cv. Le altre undici prove furono affidate a Stig Blomqvist con la “vecchia” Audi quattro A2  da 360 Cv ma al termine delle ostilità Audi conquistò sia il Mondiale Piloti, sia il titolo costruttori.

5 CILINDRI, 720 CAVALLI
Cancellato il Gruppo B (1986) e ritiratasi l’Audi dai rally, il 5 cilindri non ha smesso di esercitare la sua influenza nella categoria sportiva: nel 1987 Walter Röhrl dominò la Pikes Peak (USA) con l’Audi Sport quattro S1 (E2) da 600 Cv e nel 1989 ha partecipato al campionato americano IMSA GTO: in quest’ultimo scenario il 5 cilindri da poco più di 2 litri arrivò a superare quota 700 cavalli.

Analogo motore venne utilizzato anche per la 200 Quattro Trans Am. Un esemplare con potenza portata a 650 Cv stabilì un eccezionale record di velocità sul circuito di Talladega: quasi 333 km/h.

ANNI 90
Al Salone di Francoforte del 1989, sulla nuova Audi 100 TDI faceva il suo ingresso sulla scena un nuovo, innovativo 5 cilindri: contraddistinto dall’alimentazione a gasolio, questo 2.5 da 120 Cv si segnalava per l’iniezione diretta a controllo elettronico. Sul fronte della configurazione “benzina”, invece, il 5 cilindri Audi si propose sulla gamma dell’Audi 80: nel 1991 l’S2 Coupé con potenza di 220 Cv (esordio di una nuova testa con 5 valvole per cilindro), nel 1993 un aggiornamento di potenza a 230 Cv e l’introduzione delle S2 Berlina e Avant e della più grande Audi S4 (serie C4, carrozzeria berlina o station wagon, 230 Cv; era anche disponibile con un più generoso 8 cilindri a V di 4.2 litri da 280 Cv).

Nel ’94 il 5 cilindri stabilì un primato di eccellenza andando a equipaggiare la mostruosa RS2 sviluppata in collaborazione con Porsche: pompato a dovere dai tecnici di Stoccarda, raggiunse quota 315 Cv di potenza e diede inizio alla saga delle Audi RS.

I tardi Anni 90 segnarono l’interruzione, per parecchio tempo, dell’offerta del motore 5 cilindri per la gamma Audi: con la A6 2.5 TDI (1994) e con l’S6 2.2 (1994), pensionate nel 1997, si concludeva per il momento l’avventura di questo propulsore.

2009: IL RITORNO
Bisogna attendere il 2009 per il ritorno di questo frazionamento, utilizzato per la prima TT RS con 340 Cv. La famiglia delle audi più sportive può, oggi, ancora contare sul prestigio di un’unità a 5 cilindri di grande potenza per RS Q3 e TT RS.

Alvise-Marco Seno

Uno sguardo a Ruoteclassiche di settembre

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Sono in tanti a considerarla non soltanto un’icona di stile, ma addirittura la più bella granturismo mai prodotta: opera di un grande designer – Franco Scaglione -, l’Alfa Romeo 33 Stradale, costruita in soli 18 esemplari dal 1967 al 1969, apre un corposo “Speciale” dedicato al celebre stilista fiorentino; le 22 pagine di approfondimento ospitano la presentazione della Giulietta SS prototipo (1957) e delle altre sue creazioni più importanti, nonché un’intervista alla figlia Giovanna.

0333_Alfa 33 Arese

Nella sezione “Regine del passato” occhi puntati sulla BMW 501 V8 (1958), prima vettura del marchio tedesco di nuova progettazione del dopoguerra (in coda le impressioni su strada). Sotto la voce “Anniversari” spazio invece alla gloriosa Fiat 124 Sport Spider, prodotta dal 1966 al 1985. Completano le auto del numero un coreografico “Test a test” fra tre scuole di pensiero sul tema delle roadster – Alfa Romeo Spider 2.0 (1992), Lotus Elan (1991) e Mazda MX-5 (1991) – la replica dell’Autobianchi Primula Coupé S Rally di Montecarlo 1969 e, tra le “Classiche domani”, la Jeep Grand Cherokee SRT.

Fiat 124 vecchia e nuova

Prendendo spunto dalla recente vittoria in Formula 1 di Max Verstappen (più giovane vincitore di un gran premio del Grande Circus), con il titolo di “Tulipani a tutta birra” ripercorriamo la storia degli assi olandesi del volante e del loro circuito di casa, quello di Zandvoort. Tra gli “Specialisti” vi presentiamo la storia e l’attività della Carrozzeria Brandoli: il titolare Egidio è stato il pupillo di Scaglietti e uno dei pochi testimoni ancora in attività di un capitolo entusiasmante della storia Ferrari.

Tra gli eventi, vi diciamo com’è andata una “classicissima” estiva della regolarità: la Coppa d’Oro delle Dolomiti. Nella sezione “Vendite all’asta” ci soffermiamo sulla Monterey Car Week che ha animato il Ferragosto californiano.

GP OLANDA

Concludono il numero la tradizionale rubrica di attualità “Fatti e persone”, Il “Flashback” che ricorda l’unica vittoria di un pilota italiano al G.P. d’Italia (Ludovico Scarfiotti, Monza, 4 settembre 1966), la Posta dei lettori, il Vendo e Compro e le nostre quotazioni. Questo mese Ruoteclassiche sarà in edicola – a 9,90 euro – con l’allegato “Made in Italy” (solo rivista, 5,50 euro).

Buona lettura!

 

Uno sguardo a Ruoteclassiche di settembre

GP OLANDA
Fiat 124 vecchia e nuova
0333_Alfa 33 Arese

All’asta a Parigi la Dino Berlinetta Sperimentale di Pininfarina

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Con largo anticipo, la casa d’aste Artcurial annuncia la presenza di una vettura straordinaria tra i lotti che saranno messi all’incanto il prossimo febbraio 2017 nei giorni del salone Rétromobile a Parigi. Si tratta della Dino Berlinetta Sperimentale del 1965, un prototipo di stile realizzato dalla Pininfarina e presentato al Salone di Parigi di quell’anno. Questo eccezionale esemplare unico oggi fa parte della collezione dell’Automobile Club de l’Ouest. Ecco la sua storia.

L’EREDITÀ DI DINO FERRARI
Alfredo “Dino” Ferrari
era tragicamente mancato il 30 giugno del 1956, strappato giovanissimo alla vita e all’affetto di un genitore devoto che covava in lui grandiose speranze. Quel giovane talentuoso, seriamente minato nel fisico, aveva dimostrato la passione e l’impegno che si deve a un “Ferrari”, condizione certamente ancora più dolorosa per un padre che nella sua carriera aveva imparato soprattutto a vincere e ora si trovava nell’impossibilità di salvare l’amato erede. Alfredino aveva infatti iniziato lo sviluppo di un nuovo motore per le competizioni e in questo determinante fu l’aiuto di un genio come Vittorio Jano, padre dell’Alfa Romeo P2 da corsa e della 6C 1500. Il giovane Ferrari lasciò l’opera incompiuta ma il padre Enzo, in uno slancio di amore filiale straordinario e struggente, per continuare a sentirlo vivo lo portò profondamente dentro le sue macchine affidando a Jano il proseguimento e la conclusione dello sviluppo di quel motore.

Nel giro di poco tempo al banco iniziò a girare un piccolo 6 cilindri a V 1.5 con il nome “Dino” impresso sulla fusione delle testate, inclinate tra loro a 65°. Il responso fu molto positivo: 180 CV a 9000 giri e una concezione innovativa che avrebbe consentito un facile aumento di cilindrata verso lay out sempre più potenti.

Quell’idea primordiale dimostrò presto tutto il suo valore, restituendo alla realtà un motore molto competitivo, i cui ottimi risultati sarebbero giunti fino all’apice della 246 F1: con cilindrata portata a 2,5 litri, la monoposto guidata da Mike Hawthorn vinse il Mondiale di F1 del 1958. Ma andò oltre: nelle mani di Carlo Chiti e Mauro Forghieri il V6 fu sviluppato ulteriormente per andare ad equipaggiare la 156 F1 di Phil Hill, campione del Mondo nell’annata ’61.

LA FIA DI TRAVERSO
I progetti per un futuro sempre più radioso all’indirizzo del progetto “Dino” subì un repentino stop all’indomani dell’infelice conclusione della trattativa tra il Drake e la Ford per la cessione dell’azienda al gigante americano. La Fia, durante le annate ’64 e ’65, probabilmente a causa delle forti pressioni di Detroit, mise in campo una serie di iniziative particolarmente penalizzanti per Maranello, culminanti con l’emanazione delle direttive per la stagione F2 del ’67: ammesse solo vetture con motore 6 cilindri derivato da un’auto omologata in almeno 500 esemplari. Di fronte all’impossibilità, per un’azienda molto piccola, di organizzarsi per affrontare l’obbiettivo Enzo Ferrari dovette correre ai ripari.

L’INTERVENTO DELLA FIAT
Cruciale fu, in questa situazione, l’interessamento della Fiat: la piccola azienda del Cavallino Rampante stava cercando un partner per la costruzione di 500 automobili e il gigante torinese poteva rappresentare l’alleato ideale. Il 1 marzo del 1965 un comunicato congiunto tra Maranello e Torino annunciò l’accordo Fiat – Sefac Ferrari e dava inizio a un programma per lo sviluppo di un modello sportivo Fiat con motore V6 Dino, la Spider 2000 prodotta a Torino, e il prelievo di un certo quantitativo di motori da destinare alla F2.

LA DINO BERLINETTA SPECIALE
L’accordo permise a Ferrari di raggiungere un livello di tranquillità adeguato per dedicarsi al motore Dino in vista dell’impiego sulle monoposto. Già il 25 aprile ’65, infatti, scese in pista a Monza la Dino 166 P in occasione della 1000 Chilometri ma, contemporaneamente, le energie facenti capo a Maranello erano al lavoro anche per una vettura stradale.

Nel mese di maggio 1965 alla Pininfarina erano già pronti i disegni e i dati tecnici per il primo prototipo della futura Dino GT costruita a Maranello. Un giovane ma molto volitivo Sergio Pininfarina si era lanciato nella non facile impresa di convincere Enzo Ferrari del successo che avrebbe ottenuto un modello a motore centrale. Per vincere le resistenze del Drake, il figlio di “Pinin” aveva portato avanti in autonomia la sua battaglia e, ottenuto un telaio 206 S da corsa, numero di serie 0840, aveva affidato ad Aldo Brovarone il compito di immaginare una prima soluzione stilistica per una piccola GT con motore V6 posteriore costruita alla corte del Commendatore.

Pronta il 10 settembre 1965, la Dino Berlinetta Speciale fu presentata “ufficiosamente” nello stand della Pininfarina al Salone di Parigi nel mese di ottobre come modello di stile, a pochissimi mesi dalla firma dell’accordo tra Fiat e Ferrari e ancora ben lontani dalla concretizzazione del progetto Fiat Dino.

La vettura, verniciata in colore rosso, presentava una linea molto bassa e filante, arricchita da una serie di soluzioni inedite: coda tronca con feritoie centrali per lo sfogo dell’aria calda, cofano anteriore incassato negli altissimi parafanghi anteriori, lunotto concavo, musetto con grande carenatura finale in perspex per coprire i quattro fari e concludere la linea aerodinamica della carrozzeria.

Riscosse da subito un grande entusiasmo, alimentando da più parti la convinzione che, in considerazione della stretta collaborazione tra le due aziende, Ferrari fosse sul punto di presentare 500 Dino derivate dal prototipo. Per il risultato finale, la 206 GT, sarebbero invece trascorsi altri due anni.

Esposta nel 2013 al Salone di Ginevra, accanto al prototipo Sergio, così fu descritta dal compianto Andrea Pininfarina: “Spesso mio Padre l’ha messa in cima alle sue preferenze, tra le decine e decine di capolavori disegnati per Ferrari. La Dino fu anche l’ultima Ferrari su cui lavorò con mio nonno Pinin, scomparso nel 1966. E perché rappresenta la quintessenza del design Pininfarina: linee morbide, pure, sensuali, e attenzione all’aerodinamica”.

Alvise-Marco Seno

Chantilly Arts & Elegance 2016: best of Show all’Alfa Romeo 8C 2900B Lungo Berlinetta Touring

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Quasi 100 automobili storiche tra le più importanti e preziose del mondo e 8 concept moderne hanno animato il Concorso d’Eleganza internazionale Chantilly Arts & Elegance. Dopo due anni di rodaggio, la terza edizione dell’evento organizzato alle porte di Parigi ha confermato il suo successo e può a ragione definirsi appuntamento irrinunciabile del “circuito” di eventi internazionali di questo genere.

La formula collaudata ha previsto il “rally” turistico del sabato e il Concorso domenicale, con un defilé delle vetture storiche e moderne in collaborazione con una selezione di marchi della moda internazionale. Ma non solo: 40 club hanno radunato nel parco del castello 800 automobili classiche di tutte le epoche.

ZAGATO: MARCHIO PROTAGONISTA
Quest’anno l’organizzazione ha celebrato il marchio milanese di carrozzeria in modo particolarmente articolato. Andrea Zagato, nipote del fondatore Ugo Zagato, era presente a Chantilly in veste di membro della giuria, giunto da Milano con un’Alfa Romeo TZ3 Stradale (interpretazione avantgarde dello stile dell’Alfa Romeo TZ2 del’65 e tirata in soli 9 esemplari). Il concorso ha riservato alle auto dell’azienda tre categorie (Pre War, Post War e Special Alfa Romeo), consentendo così di organizzare una piccola esposizione antologica con ben 16 automobili per quasi 100 anni di storia Zagato. Tra queste una delle 19 Aston Martin DB4 GTZ del 1960, un‘Alfa Romeo TZ del ’64, una 8C 2300 Spider “Corto” del ’32 (con un’auto simile Tazio Nuvolari vinse la Mille Miglia del ’33). Presenza Zagato anche tra le auto moderne: dall’Inghilterra l’Aston Martin ha portato uno dei 99 esemplari della Vanquish Zagato (presentata lo scorso maggio al Concorso d’Eleganza Villa d’Este).

L’Atelier milanese ha inoltre portato al Castello di Chantilly una sorpresa in anteprima mondiale: l’MV Agusta F4Z, concetto molto particolare di “moto sportiva d’Atelier” che supera i normali concetti della custom per diventare un oggetto da collezione. Rimarrà, peraltro, un esemplare unico secondo la richiesta del committente, un imprenditore giapponese appassionato di auto Zagato moderne e di moto italiane. La moto ha inoltre ricevuto un riconoscimento speciale dalla giuria.

TUTTI I PREMI ASSEGNATI
All’Alfa Romeo 8C 2900 B “Lungo” Touring del 1938, appartenente al collezionista americano John Shirley, è stato tributato il Best of Show. E’ un riconoscimento che premia l’eleganza, lo stile, e l’esclusività di una delle Alfa più belle, rare, preziose e significative della sua storia, oltreché la cartina al tornasole del livello delle automobili in concorso e l’essenza del weekend: una celebrazione dell'”art de vivre”.

Nella categoria Prototipi e Concept moderni il massimo riconoscimento, tra le 8 automobili presenti, è andato al prototipo E-Tense presentato da DS, il marchio di lusso di Citroen già presentato al Salone di Ginevra dello scorso marzo. “Questo riconoscimento premia lo spirito innovativo che anima il Marchio e dimostra la nostra ambizione di incarnare nell’auto il savoir-faire del lusso alla francese“, ha commentato Yves Bonnefont, Direttore Generale del marchio DS,

Le 21 classi del concorso hanno complessivamente esplorato varie tematiche – dallo stile alle corse, dalla tecnica alla bellezza, dalle vetture anteguerra alle ultra moderne – e reso omaggio a istituzioni, macchine e persone. Come la classe tributata ai 50 anni della Lamborghini Miura o alla scuderia Pozzi. Animatore della domenica, Jean Todt – Presidente della FIA – ha consegnato numerosi premi e ha personalmente illustrato le vetture della categoria a lui dedicata e arricchita con automobili da rally che lui stesso, come Direttore Sportivo, ha reso vincenti.

Tribute to Jean Todt – Fifty years of an outstanding career
1° Premio: Peugeot 504 Rallye Groupe 4 1979 (M. Jean Guichet)

The former English marques (Pre-War)
1° Premio: Sunbeam 3 Litres Straight Eight Grand Prize  1922 (Mr Erez Yardeni)

The former English marques (Post-War) Open Cars
1° Premio: Sunbeam Alpine MK1 1953 (Jonathan Miles)

The former English marques (Post-War) Closed Cars
1° Premio: Frazer Nash Le Mans Coupe 1955 (Collection privée)

The great untouched travel sedan cars and limousines (Pre-War)
1° Premio: Packard Eight 1602 Coupé Chauffeur 1938 (M. Jean-Pierre Antoine)

50th anniversary of the Lamborghini Miura P400 unveiled at the 1966 Geneva Motor Show
1° Premio: Lamborghini Miura P400 1967 (M. Frédéric Leroux)
Premio Speciale: Lamborghini Miura Prototype 1966 (Collezione Caveng)

The Tour de France Automobile cars (1951-1964)
1° Premio: Ferrari 250GT Berlinetta Competizione Tour de France 1957 (Collezione Destriero)

The Tour de France Automobile cars (1969-1986)
1° Premio: Ferrari 308 GTB Gr. IV Michelotto 1982 (Club Ferrari France)

Tribute to the Pozzi Racing Team
1° Premio: Ferrari 365 GTB/4 Competizione SII 1972 (Club Ferrari France)

The front engine Formula 1 cars
1° Premio: Gordini Type 11 1946 (collezione privata)

The Aerodynamic’s beginnings – Pre-War open road cars
1° Premio: Lancia Astura 3ème série Pininfarina cabriolet “Bocca” 1933 (M. Philippe Cornet de Ways Ruart)
Premio speciale: Alfa Romeo 6C 2300 Aerodinamica Spider “Aerospider” 1935 (Mr Georg Gebhard)

The Aerodynamic’s beginnings – Pre-War closed road cars
1° Premio: Alfa Romeo 8C 2900B Lungo Berlinetta 1938 (Mr John Shirley)

Bugatti, the Grand Prize cars
1st Prize: Type 59 1934 (Mr Marc Newson)
Premio FIVA: Type 35B 1928 (collezione privata)

The steam cars
1° Premio: White Rear Entry Tonneau 1903 (Mr Mitch et Wendy Gross)

The improbable coachworks (Wood, fabric, wicker…)
1° Premio: Vauxhall 30/98 Wensum 1925 (collezione privata)

French coachwork masterpieces (Pre-War) Open Cars
1° Premio: Alfa Romeo 8C 2300 Roadster Figoni 1932 (Mr Martin Eyears)

French coachwork masterpieces (Pre-War) Closed Cars
1° Premio: Bugatti Type 57 Atalante 1935 (M. Jean Guikas)

French coachwork masterpieces (Post-War)
1° Premio: Facel Vega HKII 1964 (M. Bruno-Henry Couvrat)

A great Italian coachbuilder: Zagato (Pre-War)
1° Premio: Alfa Romeo 8C 2300 Spider 1932 (collezione privata)

A great Italian coachbuilder: Zagato (Post-War)
1° Premio: Aston Martin DB4 GTZ 1961 (collezione privata)

A great Italian coachbuilder: Zagato (Special Alfa Romeo)
1° Premio: Alfa Romeo 1600 TZ 1965 (M. Olivier Cazalières)

Alvise-Marco Seno

Aste: prezzi folli per le Porsche

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Gran Premio Nuvolari 2016: pronti al via

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Si svolgerà dal 15 al 18 settembre l’edizione numero 26 del Gran Premio Nuvolari, gara di regolarità che si snoderà lungo le strade di ben cinque regioni del Bel Paese: Lombardia, Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Marche. Sono attesi alla partenza dalla pedana di Piazza Sordello a Mantova oltre 300 equipaggi provenienti da 18 nazioni per un totale complessivo di 50 marchi automobilistici rappresentati.

Il primo appuntamento è per giovedì 15 settembre con le verifiche tecniche dalle 14 alle 18. Si riprenderà il giorno seguente dalle ore 8 alle ore 10.

Venerdì 16 settembre, alle ore 11, dalla capitale del Ducato dei Gonzaza, la vettura con il n.2 (il n.1 è stato simbolicamente assegnato a una Auto Union Type D guidata da Tazio Nuvolari, ed esposta in Piazza Sordello per tutta la durata dell’evento) lascerà Mantova per la prima tappa. Le vetture partiranno per affrontare un percorso di 1.050 chilometri e tecnicamente tra i più difficili del settore della regolarità: 90 prove cronometrate (P.C.) e 5 prove di media (P.M.).

Dopo la partenza le macchine si dirigeranno verso all’Autodromo di San Martino del Lago e al “Riccardo Paletti” di Varano de Melegari. Quindi, attraverso il Passo della Cisa, scenderanno verso Aulla, Massa, Carrara e concluderanno la prima tappa a Forte dei Marmi.

Sabato 17, la seconda tappa porterà i partecipanti alla volta di Lucca, piazza dei Miracoli a Pisa, piazza del Campo a Siena, Arezzo, Città di Castello, Urbino e Rimini.

Domenica 18 settembre si svolgerà la terza tappa: dalla Riviera Romagnola la colonna di storiche passerà per Cesena, Meldola, Forlì e l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. Da qui verso Nord-Ovest toccando Argenta, Ferrara, Ostiglia, Governolo e, infine, il traguardo di Mantova.

RUOTECLASSICHE? PRESENTE!
Ruoteclassiche non poteva mancare a uno degli appuntamenti più attesi della stagione di corse storiche. All’edizione 2016 della gara ci sarà anche un equipaggio della redazione (Giudici – Bartelletti) a bordo di una Alfa Romeo Giulietta Spider del 1958 appartenente alla Collezione Quattroruote.

Alvise-Marco Seno

Moto storiche, a Londra un’asta da sogno

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Sarà perché sono economicamente più accessibili delle auto e per chi vuole iniziare a restaurare un mezzo (i giovani soprattutto) è la soluzione attualmente più conveniente; sarà perché occupano meno spazio di un’auto e per chi non possiede un ampio garage le alternative sono quasi nulle; sarà infine perché la passione per le moto è molto più radicata di quella automobilistica, sta di fatto che le due ruote stanno conquistando sempre più terreno nei confronti delle auto da collezione. La riprova è nello spazio sempre maggiore che viene loro dedicato nelle mostre-scambio più connotate in senso automobilistico (vedi Auto e Moto d’Epoca di Padova che a ottobre ne ospiterà 400, un numero mai raggiunto fino a oggi). Oppure nel successo che da sempre riscontrano le mostre-scambio a carattere motociclistico, come quella di Imola, che ha raggiunto i 40 anni di vita ed è sempre molto frequentata.

Un’occasione per inziare, o per continuare a incrementare la propria collezione, la offre l’asta che Bonhams si accinge a battere a Londra il 19 settembre, dove andranno all’incanto una cinquantina di splendide moto della collezione privata “White Collection”. Qui di seguito ne abbiamo estrapolate 10 che a nostro giudizio meriterebbero un viaggio nel Regno Unito, incoraggiati anche dai vantaggi offerti dalla Sterlina ‘debole’ dopo l’esito del referndum sulla Brexit.

1) MV Agusta 500 GP, 1972/2008
La replica fedelissima, realizzata dalla Kay Engineering, della moto guidata da Giacomo Agostini nella classe 500 del Motomondiale del 1972, con cui conquistò il suo settimo titolo nella classe regina. Il lavoro della Casa inglese, durato anni e terminato nel 2008, è stato a dir poco maniacale: la moto tre cilindri è stata costruita da zero seguendo i progetti e i disegni di Arturo Magni, il capo del Reparto Corse della MV Agusta. Andrà all’asta a una cifra compresa tra 92 e 120mila euro.

2) Henderson KJ Four, 1931 (lotto 599)
Il valore collezionistico non esorbitante (40-46mila euro il prezzo di partenza) non deve trarre in inganno. Questo esemplare restaurato risale al 1931 e rappresenta il canto del cigno della produzione di questa poco nota Casa statunitense nata nel 1919 sull’onda dell’età dell’oro del motociclismo. Forte di un motore 4 tempi da 1.301 cc con valvole laterali, questa Henderson era un regina delle competizioni: grazie al sistema di lubrificazione forzata poteva tranquillamente sostenere le 100 miglia orarie per molto tempo.

3) Megola Touring, 1921 (lotto 610)
È il pezzo più bizzarro e caro della Robert White Collection (140-160 mila euro il prezzo base). La Megola, prodotta in Germania tra il 1921 e il 1925, è stata la moto più incredibile della storia: era alimentata da un motore da 640 cc montato radialmente sul mozzo della ruota anteriore. Questa versione Touring, a volte impegnata anche nelle competizioni poteva spingersi a una velocità massima di 85 miglia orarie. Restaurata due anni fa dal guru delle moto tedesche d’antan Armin Frey, questo è uno dei 15 esemplari giunto ai giorni nostri. Particolarità: ha ancora la componentistica originale e ha percorso solo 86 chilometri dalla fine del restauro.

4) Ducati 750 SS, 1974 (lotto 574)
Questa Super Sport del 1974 è l’esemplare della Ducati più riuscita, più vincente e più rara in circolazione. Più riuscita, perché è su questa moto che Paul Smart si impose nell’aprile 1972 a Imola davanti al compagno di squadra Bruno Spaggiari, prima di una lunga serie di successi sportivi. Più rara perché di questa versione della 750 SS con distribuzione desmodromica ne sono stati prodotti solo 410 esemplari. Rispetto alle SS che verranno, questa è del tipo con motore “round case” (più caro e complicato da produrre, quindi messo rapidamente fuori produzione a Borgo Panigale). Il suo valore – comprensivo di restauro – va da 69 a 81mila euro.

5) Egli/Vincent 998, 1968/2004 (lotto 582)
L’unione di due genialità: il costruttore svizzero di telai Fritz Egli e il potente motore V-Twin della inglese Vincent. Nel 1968 la prima moto nata da questo connubio – di fatto la prima café racer della storia – sbancò il campionato di velocità in salita elvetico. E da allora solo pochi specialisti hanno osato produrre in piccolissime quantità moto con queste specifiche. A questo si aggiunga che la reperibilità di propulsori Vincent è sempre stata difficile, visto che la gloriosa azienda inglese chiuse i battenti nel 1955 dopo aver segnato un’epoca coi suoi motori iperveloci. Questo esemplare – restaurato nel 2004 e con all’attivo alcune corse “classic” – sarà battuto all’asta a partire da 29-35mila euro.

6) Gilera 500 GP, 1957/2004 (lotto 588)
Anche in questo caso siamo di fronte alla replica “più originale dell’originale” di Kay Engineering, che si è cimentato con la quattro cilindri della Casa milanese che nel 1957 vinse il Mondiale 500 con Libero Liberati. La Gilera 500 GP in questione, realizzata nel 2004, ha un cambio a 5 marce e una componentistica originale. Inoltre è stata anche firmata sul serbatoio da Geoff Duke, campione del mondo con Gilera nel 1953, ’54 e ’55. Si parte da 58mila euro come base d’asta.

7) Honda Monkey, 1990 (lotto 567)
L’esemplare che va all’asta è del 1990 ed è un affare da non perdere (a un prezzo ridicolo: 1.700 euro) per i collezionisti amanti del modern classic. La Monkey, nata in casa Honda nel 1960, è l’archetipo della monkey bike, della motoretta di taglia mini (motosa da 50cc e ruote da 8 pollici), un tuttofare da strada, da traffico e da tiro che va bene per ogni occasione. Un’occasione da non perdere sia per la rarità della moto, sia perché l’esemplare, di importazione giapponese, ha appena 49 chilometri all’attivo. E poi perché a breve le moto di fine ’80-inizio ’90 a breve vedranno le loro quotazioni impennarsi.

8) Indian Type 440 Four, 1940 (lotto 600)
Questo esemplare del 1940 in ottime condizioni (restaurata anni fa e con solo 118 chilometri all’attivo) è da tenere d’occhio perché è stata la prima quadricilindica prodotta dalla Indian. Che nella fattispecie montava un motore da 48 pollici cubici (l’equivalente di 786,5 cmc) con valvole di aspirazione laterali. E, soprattutto, è l’erede delle prime Indian-Ace prodotte a partire dal 1928. Sarà battuta all’asta a partire da 29-35mila euro.

9) Benelli 250 Quattro, 1980 (lotto 580)
L’azienda pesarese sta attraversando una gravissima crisi, culminata con la recente richiesta di fallimento. Questo esemplare di 250 Quattro del 1980 è uno dei frutti più curiosi della gestione di Alejandro De Tomaso, che pensò di lanciare una piccola con motore ultrafrazionato condividendo piattaforme e motorizzazioni con la Moto Guzzi, altra azienda da lui controllata all’epoca. Una moto ben riuscita che, per difficoltà realizzative e specifiche tecniche all’avanguardia (ruote in alluminio, freni disco Brembo, accensione elettronica) fu un flop clamoroso perché commercializzata con un prezzo esagerato rispetto alle rivali. A settembre sarà possibile prenderne un esemplare praticamente nuovo (74 chilometri percorsi) a partire da 2.100 euro.

10) Parilla 125, 1956
Tra i 17 e i 23 mila euro saranno invece necessari per aggiudicarsi l’esemplare all’asta di questa rarissima Parilla 125 tenuta in condizioni eccellenti ed entrata a far parte della collezione di Robert White nel 2001. Perché una Parilla? Innanzitutto perché questa 125 da corsa prodotta nel 1956 nella fabbrica milanese di Giovanni Parrilla è un esempio ancora funzionante dei motori mono a camma rialzata con albero guidato da catena che in quegli anni facevano furore e rappresentavano il non plus ultra per chi volesse affrontare una gara di gran fondo con prestazioni all’altezza e un’affidabilità davvero unica.

Marco Gentili

Touring Superleggera: una mostra al Museo dell’Auto di Torino per i 90 anni

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La retrospettiva, dal titolo “90 anni di eleganza anche anticipa il futuro” vuole essere non solo un omaggio al proprio passato, ma anche uno sguardo alle sfide che attendono l’atelier milanese. Così per celebrare l’impresa nata nel 1926 per volontà di Felice Bianchi Anderloni e Gaetano Ponzoni sono state scelte non solo pietre miliari del passato, ma anche vetture contemporanee. Undici macchine che raccontano ciascuna una storia, un’epoca, un modo di fare auto dalla cura artigianale e dalla linea impeccabile che resta il Dna dell’atelier.

Nelle sale del Museo di Torino ci saranno l’Aston Martin DB5 del 1963, derivata dalla DB4, opera della Superleggera e realizzata in Inghilterra su licenza. Ci sarà la BMW 328 Berlinetta Aerodinamica Touring del 1938, dalla linea avanzatissima, realizzata grazie agli studi condotti nella galleria del vento del Politecnico di Milano. Ci sarà anche la Ferrari 166 MM Sport Barchetta bicolore del 1949, voluta così da un giovane Gianni Agnelli, che la nascose al presidente della Fiat Vittorio Valletta che non voleva che un Agnelli viaggiasse con auto della concorrenza. E ancora, ci saranno la Lamborghini 350 GT del 1963, disegnata prima da Franco Scaglione e poi rivista dalla Touring, che ne ha sottolineato i fari, dominanti sulla calandra, e la Maserati 3500 GT del 1956.

E poi, le Alfa Romeo, il con cui da sempre l’atelier milanese ha un rapporto speciale. Per raccontarlo sono state scelte la 6C 2500 Super Sport ex Conte Trossi del 1946, la prima ad adottare lo scudetto triangolare che diverrà simbolo dell’Alfa Romeo, e la 6C 2500 Villa d’Este del 1949 che prese il nome dal grande successo riscosso proprio al Concorso d’eleganza. Non solo passato, si diceva: così, tra le collaborazioni con il Biscione c’è anche la Disco Volante by Touring del 2013, che richiama le linee della prima Disco Volante, quella C52 del 1952 che aveva linee avanzatissime, tanto da guadagnarsi quel soprannome. Tra i modelli più recenti ci sono anche la Maserati A8GCS Berlinetta del 2008, la Tornante, realizzata nel 2011 per il costruttore tedesco di auto estreme Gumpert e la Mini Superleggera Vision, una concept di roadster presentata a Villa d’Este nel 2014.

Uno sguardo sul futuro, dunque, restando fedele al passato, mantenendo quelle caratteristiche che da sempre contraddistinguono la Touring. “Continuiamo a lavorare il metallo a mano e a preservare queste abilità, pur lavorando anche con la stampa in 3D”, ha spiegato Piero Mancardi, Ceo della Carrozzeria Touring. “Lavoriamo con le casa automobilistiche, ma vogliamo continuare ad attrarre i collezionisti privati, i mecenati dei nostri giorni, realizzando per loro macchine su misura, come facevamo un tempo. Perché ciò che è bello e prezioso sarà sempre desiderato”.

“Il Museo dell’Automobile è la sede ideale per mettere in mostra un glorioso passato”, ha spiegato Benedetto Camerana, presidente dell’istituzione torinese “Abbiamo già proposto diverse mostre celebrative di grandi nomi dello stile e a breve ne proporremo un’altra. Stiamo lavorando molto sul fronte del design, di cui Torino continua a essere un centro fondamentale”.

Tutte le informazioni sulla mostra sono sul sito del Museo dell’Automobile (www.museoauto.it)

Laura Confalonieri

50 anni di Asi. Tutte le manifestazioni in calendario

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Qui è iniziato tutto, 50 anni fa: per il motorismo italiano Bardolino è una sorta di luogo mitico. Il 25 settembre del 1966 dalla fusione del Veteran Car Club di Torino e della milanese Fiame nacque l’Asi, Automotorclub storico italiano. Da quel giorno l’Asi è diventata una realtà consolidata, che oggi conta su 270 club federati e 45 aderenti, per un totale di 140mila iscritti. E  festeggia nel luogo della sua nascita il suo mezzo secolo di vita, la prima di una serie di manifestazioni che nei prossimi giorni interesseranno la città dove l’Asi oggi ha sede.

Tra autorità e vetture d’epoca
Il primo giorno di celebrazioni ha visto la scoperta di una targa commemorativa e i discorsi delle autorità presenti nella località veronese, dal presidente Asi Roberto Loi al presidente della delegazione veronese di Aci Adriano Baso, fino al sindaco di Verona Flavio Tosi e alla vicesindaca di Bardolino Marta Ferrari. E le strade della città sono state invase da 180 vetture d’epoca, in buona parte provenienti dai musei Nicolis, Bonfanti e San Martino in Rio, che hanno sfilato in passerella. Anche il pranzo di gala, che si è tenuto alla Loggia Rambaldi, ha avuto come menù la stessa lista di piatti cucinati per lo storico incontro della fondazione dell’Asi, 50 anni fa.

Una lunga serie di eventi
Le celebrazioni di oggi sono solo l’inizio un lungo calendario di eventi, incontri e manifestazioni per il mezzo secolo di Asi, concentrate a Torino e che dureranno fino a domenica.

Domani, giovedì 15 (dalle 9.30 alle 16) presso il Museo Nazionale dell’Automobile, in C.so Unità d’Italia 40 a Torino si terrà il simposio internazionale intitolato “L’importanza del veicolo storico”: aspetti culturali, artistici, sociali, storici, economici e tecnologici del Motorismo.

Venerdì 16 il capoluogo piemontese accoglierà gli autoveicoli, le moto e i mezzi militari d’epoca in arrivo da tutta Italia che il giorno seguente parteciperanno alle prove di abilità e alle sfilate. Punto di ritrovo di auto e moto d’epoca presso il Lingotto Congress, in via Nizza 262, mentre i veicoli utilitari e i mezzi militari si ritroveranno presso il Golden Palace Hotel, in Via Dell’Arcivescovado 18.

Sabato 17, alle 9.00 la Sopraelevata del Lingotto ospiterà le prove di abilità delle auto. In contemporanea, le moto e i veicoli militari sfileranno per le vie della città, passando per piazza Cavour, il Lungo Po e il Museo dell’Automobile, dove è prevista una sosta per il pranzo per auto e veicoli utilitari mentre moto e mezzi militari si recheranno alla Basilica di Superga. Quindi alla sera la reggia di Venarie Reale ospiterà la cena di gala.

Domenica 18, ore 10.00, nel giardino della Reggia di Venarie Reale si terrà l’esposizione di tutti i veicoli storici. Dopo le premiazioni (ore 11.30) i giardini reali ospiteranno il pranzo che chiude la “quattro giorni” torinese.

Marco Gentili

Oriana Fallaci, 10 anni dalla scomparsa: il suo rapporto tormentato con l’automobile

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Ruoteclassiche vuole restituirne un ricordo insolito: il suo  rapporto con  le automobili, che ritornano nei suoi libri quasi come personaggi nascosti, affascinanti e spietati.  Oriana Fallaci ha raccontato il mondo osservandolo dalla prima fila, riuscendo a essere sempre quasi un passo avanti alle novità,  a essere sempre la prima sulla  notizia.

Simbolo della velocità e del  futuro, ma anche della vita delle grandi metropoli, l’automobile  fa capolino spesso tra le pagine delle sue opere:  dall’auto che la  protagonista di “Lettera a un bambino mai nato” dovrebbe evitare di guidare, alla camionetta militare su cui lei come reporter si sposta a Saigon, in Vietnam, durante la guerra, fino alla foto che la ritrae in macchina sul retro della copertina della prima edizione Rizzoli del libro “La rabbia e l’orgoglio”, la sua presa di posizione netta contro il terrorismo islamico all’indomani dell’attacco alle torri gemelle ( i vetri dell’auto riflettono i grattacieli).

Andiamo a quarant’anni fa. È la notte tra il 30 aprile e l’1 maggio 1976: Alekos Panagulis, compagno della scrittrice ed eroe della resistenza greca, sta rientrando in auto a Glifada, vicino ad Atene, lungo  via Vouliagmenis. Per l’inchiesta ufficiale, a causa di  un errore di manovra, l’auto di Panagulis finisce nello scivolo di un’autorimessa. Le perizie italiane invece parlano di un incidente provocato da due vetture tramite uno speronamento. Un incidente o un omicidio politico? Secondo un’ ipotesi, seguita anche da Oriana Fallaci, Michele Steffas, ex pilota professionista in Canada, sarebbe stato uno degli esecutori del delitto. Steffas si presenta spontaneamente alla polizia il 3 maggio come testimone: dichiarerà che si è trattato di un errore umano e riceverà una condanna per omissione di soccorso, ma le sue responsabilità non verranno mai provate.

Nell’articolo pubblicato su L’Europeo n° 20 del 1976 Oriana Fallaci descrive il suo arrivo ad Atene, dopo aver saputo “dell’incidente automobilistico”: “Poi sono stata davanti a quel mucchietto di ferri color verde pisello… E questi erano la sua Primavera, la sua Fiat. Erano tre anni che aspettavo, voglio dire che temevo, questo momento. Erano tre anni che dicevo a me stessa: prima o poi succederà. Aveva sempre avuto fortuna. Era sfuggito alla fucilazione; era sopravvissuto a torture inumane; era divenuto un poeta proprio attraverso quelle; era uscito dopo cinque anni da un carcere atroce dove sembrava dovesse restare tutta la vita o morirci; era passato indenne attraverso insidie, attentati; era stato eletto deputato nell’anniversario della sua condanna a morte […].Quante volte, insieme, siamo stati inseguiti da un’automobile che voleva ammazzarci.”

E ancora un’altra macchina, questa volta lentissima, è quella che trasporta la salma di Panagulis, il giorno del funerale, seguita da un milione e mezzo di persone che gridano “Zi zi zi”, in greco “vive”, cioè “Alekos vive, vive, vive”, episodio riportato nel libro “Un uomo” in cui Oriana Fallaci racconterà la loro storia.

È da quella inconsolabile perdita che il sentimento della scrittrice per le auto si trasforma  quasi in una dichiarazione di guerra .

Nello stesso libro Un uomo, ricordando un litigio avuto con Alekos Panagulis poco prima della sua morte, Oriana Fallaci individuerà la parola che aveva scatenato la rabbia: “La parola automobile. Odiavo l’automobile, l’avevo sempre odiata al punto di non possederne una, ma l’odio s’era gonfiato mostruosamente da quando t’avevo conosciuto, perché fin dall’inizio c’era stato un incubo nella nostra vita: l’automobile. L’automobile che ci aveva attaccato a Creta affiancandoci e spingendoci verso il bordo della strada per buttarci giù dalla scarpata. L’automobile che gettava le bombe carta al Politecnico, la Cadillac nera che per me era divenuta la somma di ogni orrore vissuto con l’automobile a causa di un’automobile. Senza contare l’automobile che avevi tentato di far saltare in aria, la Lincoln di Papadopulos (primo ministro durante la dittatura dei colonnelli, in Grecia, ndg), e sotto la quale avevi  tentato di gettarti alla fine della settimana di felicità. Insomma la Morte con l’aspetto di un’automobile, i fari al posto delle occhiaie vuote, il muso al posto del teschio, le ruote al posto degli arti spolpati. E tu mi avevi chiesto di regalarti la Morte. Ecco la molla, la prima scintilla. Ma perché l’avevi chiesta a me, proprio a me?”.

Elisa Latella

Gran Premio Nuvolari 2016: trionfano ancora Vesco-Guerini su Fiat Balilla Sport

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E’ stata, a detta di tutti i partecipanti (oltre 300 equipaggi che hanno affollato le strade di 5 regioni italiane) un altro Gran Premio Nuvolari indimenticabile. Lo affermano anche gli organizzatori, soddisfatti per il livello tecnico dei partecipanti, che si sono dati battaglia senza sosta lungo gli oltre 1.000 chilometri del tracciato, 90 prove cronometrate e 5 prove di media.

Il Gran Premio Nuvolari 2016 va dunque in archivio con un altro successo di partecipazione e di pubblico. La soddisfazione, naturalmente, è massima per Andrea Vesco e Andrea Guerini: l’equipaggio bresciano – già vincitore della Mille Miglia 2016 – è salito sul gradino più alto del podio per la sesta volta, la quinta consecutiva. Al secondo posto Margiotta-Perno con la Volvo P120 del ’58, in testa dalle fasi iniziali all’arrivo di Rimini al termine della massacrante seconda tappa.

Così ha commentato Andrea Vesco sul palco all’arrivo: “Un successo inseguito con determinazione. Non pensavamo di riuscirci, visto il livello dei concorrenti che ci hanno conteso la vittoria. Una gara che abbiamo vinto grazie ad una seconda tappa strepitosa (la Forte dei Marmi-Rimini, n.d.r) e mantenendo la concentrazione per gli oltre mille chilometri del percorso”.

UN PARTERRE IMPORTANTE
Dalla Bentley Le Mans Tourer 3.0/4.5 Litre del 1923 alla Alfa Romeo Duetto Spider 1750 Veloce del 1969, il Gran Premio Nuvolari ha ancora offerto un colpo d’occhio speciale per gli appassionati. Equipaggi da 20 Paesi del mondo hanno creato un’adunanza di vetture per un totale di 50 marchi automobilistici rappresentati.

Oltre a una novantina di automobili anteguerra (un florilegio di Fiat, tante Bugatti, Alvis, Amilcar, Aston Martin, MG e BMW) copiosa è stata la presenza di Porsche (dalle 356 dei primi Anni ’50, passando per le rare 356 A Speedster e B Carrera 2, alle 356 C e alle 911 del primo periodo di produzione), di Jaguar (XK120, 140 e 150 in grande numero), di Austin Healey, Triumph e Alfa Romeo (dalla 6C 1500 SS del ’28 alle 6C 2500, 1900, Giulietta Sprint e Giulia TI Super). Tra i pezzi di maggiore valore collezionistico, una Ferrari 375 MM Spider Pininfarina del ’53 e una 250 SWB del 1960. Ma anche un’importante presenza di Mercedes 300 SL Gullwing e Roadster, di Lancia Aurelia B20 e B24, di BMW 507 e l’unico esemplare al mondo di Alvis 3000 Sport del ’52 con compressore.

Il Gran Premio Nuvolari 2016 ha visto anche la partecipazione del due-volte campione del mondo di Rally Miki Biasion. Il pilota vincentino era al volante di una Lancia Fulvia 1.3 Coupé del ’74, navigato da Mario Peserico, A.D. di Eberhard, sponsor della manifestazione. Il marchio svizzero di orologeria ha messo in palio due cronografi meccanici assegnati, naturalmente, alla coppia vincitrice e consegnati dallo stesso Biasion.

LA CORSA
Al termine della prima tappa di venerdì, dopo 27 prove cronometrate lungo il percorso da Mantova a Forte dei Marmi, l’equipaggio del Volvo Club si è portato in prima posizione, con Vesco – Guerini in terza posizione alle spalle di Patron – Casale con l’MG L Supercharged del 1933. Nella seconda tappa di sabato i partecipanti hanno affrontato un tracciato di quasi 500 chilometri e 41 prove cronometrate, attraversando gli Appennini (Lucca, Pisa, Siena, Arezzo, Città di Castello e Urbino) per raggiungere il traguardo parziale di Rimini. Con ancora Margiotta-La Chiana in prima posizione, la classifica subito alle loro spalle si è ribaltata, segnando l’inizio della rimonta dell’equipaggio bresciano. Domenica, nell’ultima giornata di gara lungo gli infiniti rettilinei della Pianura Padana, è avvenuto il sorpasso definitivo, che ha permesso ad Andrea Vesco e Andrea Guerini di giungere vittoriosi al traguardo finale. Nella classifica finale l’equipaggio di Ruoteclassiche, in gara con un magnifico esemplare di Alfa Romeo Giulietta Spider, si è classificato in 142esima posizione.

Alvise-Marco Seno

Modena Motor Gallery 2016: un pieno di passione

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La valle del motorismo più famosa del mondo si mette in mostra in una due giorni da segnare in calendario: il 24 e 25 settembre a ModenaFiere si terrà la quarta edizione di Modena Motor Gallery, mostra scambio che tiene nel cuore della Motor Valley, “un territorio unico al mondo dove nell’arco di meno di 50 chilometri si confrontano Ferrari, Maserati, Lamborghini, Dallara, Ducati e Pagani” come dice il comunicato di presentazione. Ma dove sono presenti anche realtà artigianali legate ai marchi citati che non ha riscontri al mondo per qualità, specializzazione e quantità. Attività impegnate soprattutto nel restauro delle vetture costruite in loco che la mostra scambio modenese vuole celebrare in un evento che mira ad avere una connotazione sempre più internazionale. Ovviamente nei limiti offerti dalle strutture della Fiera di Modena, uno spazio di 20.000 mq coperti e di altri 12.000 mq all’aperto.

Quest’anno sarà la seconda volta che l’evento si terrà nel mese di settembre (nei primi due anni si è tenuta in maggio), un periodo più propizio per gli appassionati di auto e moto storiche che lo scorso anno sono accorsi in 10 mila appassionati nei due giorni della mostra scambio premiando questa scelta con una crescita della partecipazione del 25% rispetto alle edizioni di maggio.

La ricetta è la stessa di altre manifestazioni simili, con spazi per i club, per i commercianti di auto e moto, per i ricambisti, mostre a tema, esposizioni, ma qui il tutto è condito con una forte dose di eccellenze locali e di voglia di raccontarne la storia. A cominciare dalla “Straordinaria Motor Valley”, mostra distribuita su 1200 mq nella quale saranno esposte rarità di grande interesse portate dalle Case locali e dai loro musei: la Ducati, con moto da corsa e da strada; la Fondazione Casa Enzo Ferrari, con alcuni esemplari del museo; la Lamborghini col suo museo ufficiale che esporrà due auto di grande valore mentre la Famiglia affiancherà ad uno dei primi trattori di Ferruccio, una delle sue auto più significative; Pagani, come d’abitudine, sarà presente con le sue supercar mentre Dallara porterà due delle monoposto che ne hanno scritto la storia. E altro ancora.

Altra mostra che dovrebbe valere il viaggio a Modena è quella curata da Matteo Panini (Circolo della Biella), che ripercorre l’evoluzione di Ferrari e Lotus attraverso un confronto storico tra i due miti dell’auto Colin Chapman ed Enzo Ferrari, tra la scuola italiana a quella dei garagisti inglesi. Il nome della mostra è eloquente: Il “Garagista” Inglese, Colin Chapman vs Enzo Ferrari. Garagista era il termine non certo amichevole con cui Enzo Ferrari chiamava i costruttori “assemblatori” inglesi. Garagisti che procurarono molte delusioni al Drake. Come la Lotus, vincitrice di 7 Mondiali Costruttori. In mostra auto celebri come la Lotus Elite Type 14 (1957-1966) e la Lotus Eleven-Type 11 del 1956-1958.

Interessanti anche gli incontri in programma con i protagonisti del mondo storico automobilistico sportivo tra i quali Pino Allievi che presenterà il suo ultimo libro “Vite di Corsa”; Luca Dal Monte, autore di “Ferrari Rex”, ultima biografia di Enzo Ferrari e Daniele Buzzonetti, autore di “Ducati 90 anni di eccellenza italiana”.

Altra iniziativa è quella proposta da alcuni giovani che racconteranno aneddoti e caratteristiche di 15 auto storiche esposte comportandosi come delle guide turistiche. “Parlami di lei… 4 passi nella storia” accompagnerà gruppi di 15-20 persone in un percorso tematico sicuramente interessante. Per chi fosse interessato, gli orari previsti sono: 10.00 – 11.00 – 16.00 – 17.00.

Tra le auto in mostra: due pezzi rari dalla carrozzeria Mirage, una Pegaso Z-102 Serra del 1951 costruita in soli 86 esemplari (di cui due prototipi) e una Ferrari Europa 250 del 1953 (telaio 0325 Eu) unico esemplare al mondo costruito in alluminio; una mostra sulla Isetta; una De Tomaso Mangusta prototipo 1967 color oro della collezione privata Alejandro De Tomaso; una Miura in onore di Lamborghini; la Ferrari 340 Mille Miglia del 1953 che ha corso a Le Mans sempre nel ’53 dove fu protagonista di un terribile incidente, nata come “Vignale” e poi “Touring” e in seguito riportata nuovamente Vignale dalla carrozzeria Autosport di Bastiglia; una Bugatti EB110; una Maserati Vignale 3500; una Maserati Touring 3500; una Alfa Romeo 2600 Touring spider; la Lincoln Continental Mark V appartenuta al Presidente J.F. Kennedy che usava personalmente in inverno nella residenza di Palm Beach California.

Per gli appassionati di automobilia da non perdere anche l’Asta di beneficenza a favore dell’Istituto Alfredo Ferrari di Maranello e del Comune di Amatrice che si terrà Domenica 25 Settembre alle ore 15:00. Testimonial d’eccezione, Mauro Forghieri. I pezzi originali arriveranno direttamente dalla Collezione privata del fotografo Peter Coltrin.

Domenica alle 11.00 sarà inoltre proiettato in anteprima mondiale il lungometraggio “La Fabbrica Blu”, la straordinaria avventura delle Bugatti Automobili, un film-documentario che ricostruisce l’avventurosa storia della Bugatti Automobili.

Infine, per chi non vuole rinunciare a una visita nella terra della Ferrari e di Pavarotti, con il Discover Ferrari and Pavarotti Land, una iniziativa di promozione turistica locale, potrà scoprire il mondo Ferrari, la Casa Museo L. Pavarotti, la città di Modena e le tante eccellenze della terra dei motori e del gusto. Con l’acquisto del Passaporto Discover F&P Land si avrà diritto all’ingresso al Museo Ferrari di Maranello e al Museo Enzo Ferrari di Modena, all’ingresso alla Casa Museo L. Pavarotti e alla visita guidata presso il MuSa – Museo della Salumeria. Incluse inoltre le visite guidate con degustazione presso Acetaia Giusti, i produttori di Lambrusco della Cantina Cleto Chiarli e Gavioli Antica Cantina e Museo del Vino.

Gilberto Milano


Aste benefiche: è boom di vendite per mr White

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Robert White era uno dei più noti imprenditori inglesi nel settore della distribuzione di macchine fotografiche e amava gli oggetti d’epoca con un grande contenuto di ingegneria meccanica e una forte componente artistica. Ne aveva raccolti molti nella sua breve vita, tra macchine fotografiche, orologi, automobilia varia, auto e moto: lo scorso anno è infatti morto di tumore raro all’età di 62 anni. Durante la sua degenza in ospedale era rimasto così colpito dalle attenzioni che gli aveva rivolto il personale del Poole Hospital NHS Foundation Trust, nella contea del Dorset, da decidere, prima di lasciare questo mondo, di vendere il suo tesoro e donare il ricavato all’ammodernamento della unità oncologica che lo aveva amorevolmente assistito.

Un bel gesto che oggi ha fruttato ben 3 milioni di sterline, pari a 3,5 milioni di euro, che andranno a favore di una causa nobile della quale beneficeranno i futuri malati di quella zona. Dal punto di vista puramente “tecnico” però l’asta tenuta da Bonhams il 19 settembre nella sede di Bond Street a Londra, ha suscitato non poche sorprese per i valori di aggiudicazione elevati di moltissimi lotti. In dieci ore di incanto sono stati battuti 600 pezzi e il 99% è stato venduto, spesso molto al di sopra delle stime d’asta massime. Il fine lodevole sicuramente ha contribuito alla generosità delle offerte, ma forse non è sufficiente a spiegare i numerosi risultati clamorosi.

A stabilire il record d’asta e di modello è stata una Bentley 4½-Litre Tourer del 1930, aggiudicata a 366.715 euro contro i 290.000 della stima massima. Altro record per una AC Ace Bristol-Roadster del 1959, venduta per 296.328 euro (la stima più ottimistica si fermava a 260.000); quindi il raro orologio da polso  George Daniels (solo 33 esemplari) che stimato al massimo 120.000 euro, è stato aggiudicato a 261.000 euro;  per una moto Vincent 998cc Serie C Black Shadow del 1951, venduta per 95.594 euro (72.000 la stima massima) e per una MV Agusta 861cc ‘Magni’ del 1977 venduto per 74.739 euro mentre la richiesta era di 72.000. L’elenco potrebbe continuare a lungo: gran parte dei lotti ha infatti superato le stime. Soprattutto tra le moto degli anni ’70 e quelle degli anni ’50 da competizione.

Ma particolarmente inaspettate sono state anche le aggiudicazioni riferite all’automobilia. La parte del leone l’hanno giocata le mascotte di René Lalique, il famoso orafo e gioielliere francese scomparso nel 1945, autore opere d’arte Art Nouveau e Art Déco per i radiatori delle auto di allora, aggiudicate a prezzi che in molti casi hanno moltiplicato anche per otto le stime iniziali (chi è interessato può vedere tutti i prezzi di aggiudicazione sul sito di Bonhams). Sborsare 55.430 euro per una mascotte in vetro fa sempre un certo effetto, anche se è solo l’esempio più eclatante. Visti i prezzi, quasi tutta l’automobilia, soprattutto quella costituita dalle mascotte dalle opere da tavolo in metallo, sembra non risentire del momento di crisi attuale. Non ha motore, ma sempre all’auto fa riferimento.

Ecco alcuni esempi:

A ‘CINQ CHEVAUX’ GLASS MASCOT BY RENE LALIQUE, 1925
Stima d’asta € 3.600 – 4.800
Venduta a € 10.210


‘VITESSE’ MASCOT IN OPALESCENT GLASS BY RENE LALIQUE, 1929
Stima d’asta € 2.400 – 3.600
Venduta a € 18.963

‘CHRYSIS’ GLASS MASCOT BY RENE LALIQUE, 1931
Stima d’asta € 1.200 – 1.800
Venduta a € 12.398

‘EPSOM’ GLASS MASCOT BY RENE LALIQUE, 1929
Stima d’asta € 2.400 – 3.600
Venduta a € 18.087

‘HIBOU’ GLASS MASCOT BY RENÉ LALIQUE, 1931
Stima d’asta € 66.000 – 78.000
Venduta a € 55.430

‘VICTOIRE’ GLASS MASCOT BY RENE LALIQUE, 1928
Stima d’asta € 4.800 – 7.200
Venduta a € 24.797

‘LOCUST’ TROPHY BY A. LE PICARD,
AWARDED FOR ‘LA RALLYE SAHARIEN’, FRENCH, 1929
Stima d’asta € 2.200 – 2.900
Venduta a € 16.045

SILVER CLOCK DESK PIECE BY SAUNDERS & SHEPHERD,
1927 ROLLS-ROYCE CHRISTMAS GIFT
Stima d’asta € 1.800 – 2.400
Venduta a € 13.128

TABLE LAMP DESIGNED BY CHARLES SYKES,
1938 ROLLS-ROYCE CHRISTMAS PRESENT
Stima d’asta € 1.800 – 2.400
Venduta a € 16.774

GEORGE DANIELS, 18K GOLD LIMITED SERIES
manual wind instantaneous calendar wristwatch with power reserve indication,
co-axial escapement and start stop mechanism. Daniels Anniversary Edition, No.24/35
Stima d’asta € 84.000 – 120.000
Venduta a € 261.264

MV AGUSTA 861CC ‘MAGNI’, 1977
Stima d’asta € 60.000 – 72.000
Venduta a € 74.739

VINCENT 998CC SERIES-C BLACK SHADOW, 1951
Stima d’asta € 60.000 – 72.000
Venduta a € 95.594

AC ACE-BRISTOL ROADSTER, 1959
Stima d’asta € 220.000 – 260.000
Venduta a € 296.328

BENTLEY 4 1/2 LITRE TOURER, 1930
Stima d’asta € 235.000 -290.000
Venduta a € 366.715

Gilberto Milano

 

 

Parte l’operazione “La Lancia del nonno”, aspettiamo le vostre foto

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È stato un marchio prestigioso e amatissimo, con un pedigree sportivo che pochi possono vantare. La Lancia ha fatto la storia del motorismo italiano, ed è stata in grado di mettere d’accordo chi da un’automobile voleva confort e classe, ma anche chi non transigeva in termini di prestazioni. Nel periodo d’oro dagli anni Quaranta ai Ottanta la sua gamma, ricchissima, si rivolgeva soprattutto a quanti volevano esprimere il proprio status attraverso una vettura di pregio: le Lancia divennero le auto del medico, dell’avvocato, del notaio, del “cummenda”, del professionista arrivato, a Milano come a Palermo.

Quantomeno, lo è stata per i nostri nonni. E negli album di famiglia era motivo di orgoglio perché testimoniava non solo agiatezza economica ma anche gusto nella scelta di un mezzo che poteva essere, all’occorrenza, perfetto tanto per il professionista in viaggio di lavoro, quanto per la famigliola in vacanza o la coppia in cerca di itinerari divertenti da affrontare su una coupé sportiva.

Quest’anno Lancia festeggia i suoi 110 anni, e per l’occasione Ruoteclassiche sta preparando, per il numero di novembre, uno Speciale dedicato. Non vi anticipiamo nulla, ma sappiate che sarà una piccola festa per i tanti lancisti.

Tra le nostre iniziative, una in particolare li vuole coinvolgere in prima persona: mandateci le foto dei vostri album di famiglia, che ritraggono la Lancia del nonno, dello zio, del papà. E perché no, della nonna o della mamma. Vogliamo immagini rigorosamente d’epoca, originali, un vostro ricordo personale e magari prezioso. Inviatecele via email – in alta risoluzione – all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it, indicando nell’oggetto “La Lancia del nonno” (ma non prendeteci alla lettera, con la parola “nonno” vogliamo indicare un’epoca di massima e, in fondo, quelle particolari Lancia che oggi sono scomparse dalla gamma).

Le migliori saranno pubblicate sulle nostre pagine social – Facebook e Twitter, con l’hashtag #laLanciadelNonno – ma soprattutto su Ruoteclassiche di novembre, per una gallery all’insegna della nostalgia e della passione…

30 anni di BMW M3: quattro prototipi raccontano la sua nascita

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Anche nella storia della BMW M3, come in quella di qualsiasi auto, ci sono stati capitoli affascinanti che hanno fatto parte della sua evoluzione, del suo sviluppo. Nel suo trentennale, BMW ripercorre la storia dell’M3 presentando 4 prototipi che hanno fatto parte delle sue vicende. Non hanno mai visto il semaforo verde per il listino ma hanno comunque mosso menti, macchinari e investimenti.

I PROTOTIPI
BMW M3 PICK UP 1986. L’M3 nata da poco non appassionò solamente la clientela ma anche gli stessi addetti ai lavori. I dipendenti del reparto M Motorsport di Garching, vicino Monaco, utilizzavano spesso e volentieri le M3 aziendali, sopratutto per il trasporto di oggetti di qualsiasi tipo. E poiché la configurazione della macchina poco si prestava al carico di materiali, fu trovata l’unica soluzione possibile: ricavare da un esemplare di M3 Cabriolet una irriverente e buffa versione pick up.

La sua carrozzeria non aveva i parafanghi allargati della versione in commercio né il motore installato sugli esemplari in vendita in Europa quanto la versione per il mercato italiano, con cilindrata ridotta a 2 litri e 192 Cv per arginare il problema del superbollo. E’ interessante notare che non si trattò affatto di un veicolo realizzato goliardicamente con martello e saldatrice ma di una vettura funzionale al 100%. Questa curiosa M3 ha svolto regolare servizio di “facchinaggio” per oltre 26 anni prima di essere messa in pensione nel 2012.

BMW M3 COMPACT 1996. Quella che oggi viene considerata, negli ambienti del Reparto Ricerca e Sviluppo BMW, come l’antesignana della M2, fu il tentativo di proporre al mercato una BMW M entry level orientata soprattutto al mercato più giovane. Fu utilizzato il motore 6 cilindri 3,2 da 321 Cv della M3 “e36″ ma se fosse partita la commercializzazione la potenza massima sarebbe stata ridotta. Durante i test da parte di alcuni magazine tedeschi fu giudicata molto più agile, rigida ed efficace dell’M3. Forse per questo è rimasta un prototipo.

BMW M3 TOURING 2000. Se l’M3 Compact arrivò allo stadio di vettura “pronta produzione”, capace di sostenere prove su strada da parte della stampa specializzata e di alcuni clienti, l’M3 Station Wagon rimase un prodotto “interno”. Fu realizzato esclusivamente per dimostrare che, potenzialmente, una vettura del genere (più grande, spaziosa e pesante) avrebbe continuato a incarnare lo spirito dell’M3. In particolare, lo studio dimostrò che, a livello produttivo, non sarebbero state necessarie costose modifiche al processo di produzione nel passaggio dalla berlina alla station wagon.

BMW M3 PICK UP (2011). La proverbiale filosofia tedesca tesa al continuo miglioramento del prodotto ha interessato anche la bislacca M3 Pick up del 1986: dopo 25 anni di carriera, la decisione di pensionare la vettura ha innescato il desiderio di creare la sua erede. Presentata l’1 aprile 2011 fu ritenuta (grazie anche al tono giocoso del comunicato stampa, che introduceva la “quarta variante di carrozzeria” per la Serie 3) un pesce d’aprile. In realtà è un M3 originale in tutto e per tutto: 420 Cv, base meccanica della M3 Cabrio (ma più leggera di 50 kg) e un grande vano di carico posteriore capace di sostenere fino a 450 chilogrammi di peso. Naturalmente è omologata al 100%.

LA BMW M3: UN PO’ DI STORIA
Correvano gli Anni 80 e in Germania impazzava il campionato turismo, il “magico” DTM. BMW, per cercare di dare alla 635 CSI una degna erede e per battere la concorrenza italiana e britannica che, a metà della decade, si era fatta pressante, aveva deciso di iscrivere un nuovo modello in Gruppo A. Le regole stabilivano, all’epoca, la commercializzazione di almeno 5.000 esemplari stradali in 12 mesi per l’ottenimento dell’omologazione. Per la casa di Monaco un’operazione complessa: sviluppare un’auto da corsa e, contemporaneamente, il suo omologo stradale.

Il risultato fu ottenuto, e fu un successo: al Salone di Francoforte del 1985 fu presentata la nuova M3 e30, entrata in produzione nei primi mesi dell’86. Il fulcro del progetto era il motore S14, derivazione dell’unità M10 a 4 cilindri che equipaggiava la gamma normale. La cilindrata fu portata da 2,3 litri e la testata fu trasformata per accogliere le 4 valvole per cilindro. La potenza era di 200 Cv che, grazie a 1.200 chili di peso, consentivano prestazioni eccezionali: 0-100 in 6″7, 235 km/h di velocità massima. Per l’Italia il motore fu ridotto a 2 litri e con lui la potenza, scesa a 192 Cv. Nel 1988 fu presentata la M3 Evo da 220 Cv e 243 km/h e nel 1990 la Sport Evolution (solo 600 esemplari) con motore portato a 2,5 litri e 238 Cv.

Nel 1992 debuttò l’M3 “e36″, dotata di un nuovo 6 cilindri di 3 litri per 286 Cv e 320 Nm di coppia. Tra le sue peculiarità il sistema di controllo VANOS della distribuzione. Nel 1995 un generoso aggiornamento ha visto la cilindrata crescere a 3,2 litri e la potenza a ben 321 Cv. L’anno successivo è stato introdotto il cambio meccanico elettroattuato SMG.

La nuova generazione della BMW M3 è nata nel 2000: la e46, con motore 6 cilindri in linea completamente riprogettato, 3,246 cc, sfoderava una potenza massima di 343 Cv con 365 Nm di coppia. Nel 2007 è stata la volta della quarta generazione, la M3 “e92″ con un nuovo 8 cilindri a V di 4 litri e ben 420 Cv.

Alvise-Marco Seno

30 anni di BMW M3: quattro prototipi raccontano la sua nascita

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Asta dei record, RM Sotheby’s chiude l’anno col botto (a Milano)

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Sarà l’ultima asta del 2016 targata RM Sotheby’s. E, fatto ancora più eclatante, si terrà in Italia: il 25 novembre in un padiglione appositamente allestito a Milano Autoclassica, durante l’edizione autunnale in programma dal 25 al 27 del mese. Il titolo –  “Duemila Ruote” – dà subito la misura della portata dell’evento, che prevede oltre 700 lotti all’incanto: 434 automobili, 136 moto, 159 biciclette e 58 barche da corsa, più diversi pezzi di automobilia.

Tra le vetture ci sarà quanto di meglio il collezionista possa desiderare: dalle supercar ai modelli da rally, dalle Sport alle GT. L’elenco di chicche è sterminato, tanto da far pensare più alle dismissioni di un museo che a una collezione venduta a pezzi: le Ferrari, solo per citare il primo marchio che salta all’occhio, sono una quarantina, tra cui una 275 GTB del 1966 in alluminio, “torque tube”, 6 carburatori, costruita solo in sette esemplari; una 365 GTB/4 Daytona “plexiglas” e una F40. Preferite le Porsche? In catalogo ce ne sono almeno 70, fra le quali una rarissima 959.

Maserati? A “Duemila Ruote” troverete una delle 50 MC12 omologate stradali, e con soli 6000 chilometri all’attivo. E poi uno stuolo di Alfa Romeo (una 75 ex Larini, una 1900C Touring, tutte le Giulia GT serie 105, compresa una GTA 1600) e di Lancia (LC2, Aurelia B20 prima serie, Flaminia Zagato, due Delta Integrale ex works, di Lubet e di Sainz). Vi piacciono invece le Jaguar E Type? Non avrete che l’imbarazzo della scelta, in vendita ne troverete addirittura 21.

Per chi volesse tastare con mano la qualità degli esemplari che andranno all’incanto, diciamo che due dei lotti di maggior appeal – la Ferrari GT/6C Alluminio del 1966 e la Lancia HF Integrale 16V “ufficiale” – saranno esposti ad Auto e Moto d’Epoca di Padova, dal 20 al 23 ottobre. Ammirare per credere…

Dario Tonani

 

 

Asta dei record, RM Sotheby's chiude l'anno col botto (a Milano)

Super Asta

“Così ho scovato e rimesso in sesto la ‘Belva di Torino'” (video)

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È la mastodontica S76, meglio conosciuta come “The Beast of Turin”, appunto: “La Belva di Torino”. Un capolavoro della meccanica costruito nel 1911 con un motore a quattro cilindri da oltre 28mila cm³ e una potenza di 290 cavalli, battezzato anche Fiat 300 HP. È stata la macchina più veloce del mondo, il modello che ha chiuso l’era delle auto da Gran Premio di dimensioni ciclopiche dando a Fiat l’ultima parola nel testa a testa iniziato nel 1908 con Benz, in seguito divenuta Mercedes-Benz.

Con Pietro Bordino al volante, la Fiat S76 ha battuto il record mondiale di velocità terrestre (187 km/h) a Brooklands e nella spiaggia di Saltburn nello stesso anno in cui è stata realizzata. Poi l’8 dicembre 1913 ha toccato i 211 km all’ora con un altro pilota, Arthur Duray, sulla spiaggia di Ostenda, in Belgio. Era il World Flying Record. Peccato che non le sia stato mai riconosciuto perché l’Aiacr (Association Internationale des Automobile Clubs Reconnus) ha deciso di cambiare le regole con una media da tenere in due giri anziché in uno: intanto però la Belva era andata più veloce della tedesca Benz.

E oggi? A 105 anni di età questo enorme bolide che sputa fuoco e sembra uscito da un quadro futurista è talmente spettacolare da essere sempre in pole nelle pubblicità delle gare a cui partecipa nel Regno Unito. È la macchina più ammirata, la più fotografata di tutte. L’anno scorso è stata anche “Car of the Year” agli International Historic Motoring Awards di Londra. Deve questa sua seconda vita a un signore che vive a Bristol e che, figlio di un collezionista, in mezzo alle primissime automobili è nato e cresciuto. Duncan Pittaway, 53 anni, un debole per i marchi italiani, le auto da corsa anteguerra le pilota, le colleziona, le restaura. E se serve le cerca in capo al mondo, come è accaduto per il motore della sua Fiat S76 dopo l’acquisto dello chassis e di qualche altro componente nel 2002. Del resto per lui The Beast è molto più di una passione: è il sogno di un bambino che un giorno ha visto in un libro del padre una strana macchina “che sembrava un dirigibile con le ruote” e ne è rimasto folgorato. E parecchi anni dopo è riuscito a trasformare il desiderio in realtà grazie al suggerimento di un amico, fan delle Fiat, che sapeva dov’era l’unico esemplare al mondo di quella macchina.

“The Beast of Turin è stata scoperta nel 1954 da un appassionato della casa torinese che pensava fosse un modello precedente, la S74, però il motore mancava ed era malmessa: comprandola l’ha salvata ma per dieci anni l’ha tenuta senza farci nulla finché l’ha rivenduta. Prima di me si sono succeduti quattro proprietari”, ricorda il collezionista. Ancora prima c’era stato un russo, che aveva mandato la Belva ad abbattere il record di velocità nel 1913. Intanto Fiat aveva smantellato l’unica altra S76 per evitare che venisse copiata mantenendone però alcune parti del motore, che quando sono state ritrovate hanno consentito a Duncan Pittaway di ricostruire il mito. “Una volta recuperato tutto, fare il restauro è stato meraviglioso ma per ogni componente si è reso necessario un lavoro manuale enorme”, racconta lui, che si avvale di due collaboratori ma ci tiene a mostrare le mani in parte scurite perché alla Belva ci lavora direttamente.

Gli elementi più grandi ancora mancanti erano il cambio, molto particolare, e la carrozzeria, che era andata perduta dopo la Prima Guerra Mondiale perché l’auto era stata alleggerita. Per loro sono volati via cinque anni e in totale il progetto ne ha impiegati dodici. “All’inizio ho pensato che ne sarebbero serviti tre o quattro al massimo”, scherza il proprietario, che aveva già restaurato una Bugatti Type 35. Ma poi si è appassionato all’idea di aderire perfettamente all’originale “cercando di entrare nella mentalità dei geni italiani che hanno costruito l’auto”. Voleva una S76 autentica, corretta in ogni dettaglio. “E Fiat ha dato una grossa mano perché possedeva ancora disegni, documenti tecnici e fotografie. Dunque è stato un viaggio di esplorazione, e in un certo senso da archeologo”, aggiunge Mr. Pittaway con entusiasmo. Sulla storia avvincente di questo restauro qualcuno sta anche preparando un film: Stefan Marjoram, fotografo e art director inglese, che era lì durante i momenti più emozionanti.

A giugno, durante il Goodwood Festival of Speed – dove nel 2015 è stato celebrato il ritorno in pista della Belva – anche Lapo Elkann è andato quest’anno a salutare il masterpiece da corsa del Lingotto. Duncan Pittaway ha definito il discendente della famiglia Agnelli “il passeggero più entusiasta di tutti” e ricorda di essersi molto divertito durante l’incontro. A ripensarci sorride con simpatia. Al famoso evento nel Sussex The Beast è arrivata da sé come va di solito alle gare, libera di viaggiare sulle strade pubbliche della Gran Bretagna. “La logica è se si poteva fare cento anni fa si può fare oggi, perciò non ci sono divieti da parte delle autorità, spiega il suo driver. Lui da quando ha finito il restauro cerca di guidarla più spesso possibile. E a quanto pare arriva anche a 150 km/h. “È una macchina molto controllabile, la guida è fluida, ottima”, assicura. Tutt’al più qualcuno trovandosela all’improvviso davanti si spaventa. Come quando il pilota Pietro Bordino l’ha portata per oltre 400 km dal circuito di Brooklands, vicino Londra, fino a Saltburn, sulla costa nord orientale inglese nel 1911. I passanti erano terrorizzati. E allora attenzione, signori: “The Beast is coming”. Oggi come ieri.

Laura Ferriccioli

"Così ho scovato e rimesso in sesto la 'Belva di Torino'" (video)

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