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Isotta Fraschini, recuperato un motore 8A in Sicilia

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Una storia affascinante, ambientata in una Sicilia d’altri tempi tra funivie, abbandono e i gloriosi ricordi di un’icona automobilistica italiana degli anni 20

Le Isotta Fraschini 8, 8A e 8B conquistarono un’eccezionale reputazione internazionale grazie all’incredibile silenziosità e confort dei loro motori e con i lunghissimi cofani imposero definitivamente l’otto cilindri in linea, proponendosi come icona di stile. La cifra estetica e stilistica della Casa milanese permeava talmente i vari progetti da imporre soluzioni irrazionali dal punto di vista tecnico, come i collettori di aspirazione integrati nel blocco motore e la disposizione laterale della candela, deleteria per una combustione ottimale, soluzioni ispirate a uno stile riecheggiante quello di Ettore Bugatti.Un reperto unico al mondo.   Arriviamo ora al 2018, per la precisione ad Erice: durante la XXI rievocazione della Trapani - Erice organizzata il 22 giugno dal Came Sartarelli di Trapani, si è concretizzato l’incontro fra l’ing. Giuseppe Genchi del Museo dei Motori dell’Università di Palermo e l’architetto Giampiero Musmeci del Club Sartarelli, da tempo promotore dell’idea di recuperare la stazione di arrivo dell’antica funivia di Erice, ormai in preda all’impietosa azione distruttiva del tempo e dei vandali. Il giorno successivo, Genchi ha effettuato un sopralluogo con Musmeci, trovando – con grande stupore – che l’ingegnoso impianto prevedeva un motore d’emergenza davvero unico: un otto cilindri Isotta Fraschini, recuperato chissà quando e come da un vecchio chassis, probabilmente immediatamente dopo la seconda guerra mondiale. La funivia venne costruita tra il 1956 ed il 1957 dalla Sitas SpA. Dismessa all’inizio degli anni 80 e chiusa per il ventennio successivo, nel 2005 la bella installazione fu definitivamente rimpiazzata da un nuovo impianto e conseguentemente abbandonata. Purtroppo, il lungo abbandono ha lasciato il segno sull’impianto. Il rarissimo motore Isotta Fraschini Tipo 8A non versava in condizioni migliori, ma tutti hanno concordato nel tutelare un reperto così raro e importante per il patrimonio motoristico italiano. Di conseguenza il Museo dei Motori del Sistema Museale dell’Università di Palermo ha stipulato un accordo con il Comune di Erice per il recupero, il restauro e la successiva musealizzazione del motore. Per preservarlo da ulteriori danneggiamenti, grazie alla sensibilità del sindaco Daniela Toscano, l’iter burocratico è stato accelerato nonostante l’imminenza della pausa estiva. Le complesse operazioni di recupero sono state svolte dall’equipe del museo palermitano il 9 agosto: spazi angusti, illuminazione scarsa, terreno accidentato, mole e delicatezza del reperto hanno impegnato lo staff del museo per un giorno intero, ma l’operazione si è conclusa nel migliore dei modi.

Verso la salvezza.   Attualmente il monumentale 8 cilindri è in fase di restauro presso il laboratorio del museo: da un primo esame, nonostante le pessime condizioni esterne, il motore sembra internamente ben conservato. L’obiettivo è quello di ripristinare scrupolosamente la sua corretta originalità e integrità. Per questo motivo il museo si sta avvalendo della collaborazione di alcuni interlocutori di spicco, tra cui Umberto Voltolin del Registro Storico Isotta Fraschini, per la documentazione tecnica originale, e il Museo Nazionale dell’Automobile di Torino che ha gentilmente prestato alcuni pezzi del suo analogo 8A, affinché possano essere fedelmente ricostruiti sia mediante le tecniche tradizionali, sia quelle più moderne. Spiccano fra queste ultime l’impiego di uno scanner ottico 3D, dei programmi Cad-Cam e delle macchine utensili a controllo numerico del Manufacturing Technology Group del dipartimento di Ingegneria dell’Università di Palermo.

Il giallo di Erice.   Certamente la fortuna ha giocato un ruolo importante: il ritrovamento del motore Isotta Fraschini 8A, in un contesto e un impiego così insoliti, sembra una di quelle circostanze in cui il fato tesse una sottile trama affinché gli eventi percorrano un determinato cammino, per concludersi poi positivamente. Il vero e proprio giallo rimane poi il motivo per il quale un motore degli anni 20, e di tale prestigio, sia stato inserito in un impianto funicolare di 30 anni più giovane. Le ricerche sono in corso, a partire dal numero di serie del motore, parzialmente danneggiato, ma oggetto di analisi e recupero grazie al supporto della Polizia di Stato, con l’intervento di esperti del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica per la Sicilia Occidentale e del Laboratorio di Tecnologia Meccanica dell’ateneo di Palermo. La novella pirandelliana non è finita qui: non mancheranno di certo sorprese.

Si ringrazia:   Marco De Montis

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Ford Sierra 2.0i 16v Cosworth, sportiva di razza

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Cosworth: un nome che evoca i GP di Formula Uno. Negli anni Ottanta la Ford gli affida la preparazione di un energico motore per la Sierra. Il risultato ottenuto è una vettura dalle performance di prim’ordine

La storia odierna ci riporta negli anni Ottanta, quando una “tranquilla” Ford Sierra viene sottoposta a una cura vitaminica che, nella declinazione firmata Cosworth, dà alla luce una vettura dall’accentuato animo sportivo. Il suo aspetto si caratterizza per una serie di elementi specifici: rispetto alle versioni tradizionali, infatti, è stato modificato l’ampio scudo paraurti-spoiler anteriore e sul bordo del portellone appare un grande alettone. La Casa ha così aggiunto la grinta che si prefiggeva, esaltata anche da dei cerchi “giusti” e da una gommatura ribassata.Strumentazione sottotono. Gl’interni della Sierra offrono un considerevole spazio a disposizione per i passeggeri. L’elemento di maggior spicco è rappresentato dai sedili anteriori Recaro, capaci di fornire il giusto compromesso tra contenitività e comodità. Per contro, l’elemento meno soddisfacente è la strumentazione. La Ford ha previsto un gruppo di indicatori modesto per un’auto non certamente economica, comprendente solo il tachimetro con contachilometri parziale, il contagiri e gli indicatori della temperatura dell’acqua e del livello di carburante. Mancano alcune importanti spie, come quella dell’inserimento luci di posizione e anabbaglianti. In compenso c’è un piccolo check panel che controlla la chiusura delle porte, il funzionamento delle luci e la temperatura esterna. Il livello di finitura generale è buono. La dotazione discreta.

Caratteristiche tecniche. Prendendo in considerazione l’aspetto tecnico, l’elemento più interessante è rappresentato dal propulsore, derivato da una versione di serie del quattro cilindri di 1993 cc e in grado di sviluppare 204 cv. Ad esso si abbina poi un turbo Garrett T03B, con intercooler aria/aria. Modifiche sostanziali (rispetto al modello convenzionale) anche al cambio, un Borg Warner a cinque rapporti ravvicinati, che trasmette il moto alle ruote posteriori attraverso un albero con interposti speciali ammortizzatori. Un differenziale autobloccante ad accoppiamento viscoso completa il gruppo della trasmissione. Le sospensioni non hanno subito modifiche nella struttura, ma presentano un generale irrobustimento degli elementi elastico e smorzanti. Solo al retrotreno è stata aggiunta una barra antirollio da 16 mm. L’impianto frenante sfrutta quattro dischi (anteriori ventilati) e il sistema antibloccaggio ABS-ATE.

La prova di Quattroruote. La prova effettuata dalla “nostra” rivista ha messo in luce un comportamento decisamente soddisfacente. Il 16 valvole Cosworth ha dimostrato di possedere parecchie doti: sportivo, con un comportamento quasi corsaiolo, ma apprezzabile anche nell’uso turistico. La potenza è elevata e la coppia, già notevole a 3000 giri, raggiunge il suo massimo a 4500. Il cambio, dagli innesti brevi e precisi, è piuttosto duro da azionare e manifesta qualche impuntamento nelle manovre più veloci. Ottima invece la scelta dei rapporti: una prima abbastanza lunga, con le altre marce equamente spaziate e ravvicinate tra loro. Il comando dello sterzo è piuttosto diretto ma manca di progressività - si alleggerisce eccessivamente alle alte velocità- mentre l’impianto frenante risulta molto potente e ben equilibrato. La tenuta di strada è  notevole.

La quotazione odierna. L’abbinamento di “Sierra” a “Cosworth” non si fa sentire solo sulle prestazioni della vettura ma, logicamente, anche sui prezzi. Per darvi un’idea vi riportiamo i prezzi delle varie declinazioni. Le più abbordabili solo le Cosworth prodotte dal 1988 al 1993, con una valutazione compresa tra i 7500 e i 22500 euro. Prezzi che per la Sierra RS Cosworth (1986-1987) aumentano rispettivamente a 10000 e 30000 euro. Per mettersi in garage una RS 500 Cosworth (1987) occorre invece esser pronti a sborsare una cifra compresa tra i 17500 e 52500 euro.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Sierra Cosworth? Vi piaceva? L’avreste comprata oppure vi sareste orientati su un’altra vettura? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.

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Yema Superman Heritage Bronze: nuove versioni Black e Bordeaux

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La riedizione del diver presentato nel 1970 arricchisce l’offerta. Movimento “in house”, 45 ore di autonomia, design heritage e tutto il fascino del bronzo

Dopo il successo della sua prima campagna su Kickstarter (il Superman Heritage Bronze è stato finanziato dai navigatori “investitori” in meno di un’ora) Yema propone due nuove versioni del modello che segna il suo ritorno sul mercato e che si ispira al diver del 1970. Il Superman Heritage ha la sua caratteristica più importante nella cassa in bronzo da 39 mm di diametro e 13 mm di spessore. Questo metallo è, per sua stessa definizione, vivo e imprevedibile: cambia con il tempo, si prende il lusso di modificarsi a seconda dell’estro. La naturale patina che si forma varia secondo la strategia dell’ossidazione: le si può lasciare piena libertà di agire, rivolgerle minime cure e affidarla allo scorrere degli eventi osservando il cambiamento di colore sulla cassa. Oppure accelerarne gli effetti e ottenere un esemplare completamente differente rispetto a quello di partenza. L’orologio si trasforma, il processo di cambiamento lo altera in modo consistente. Sta all’indossatore scegliere il risultato. In casi estremi questo viene completamente avvolto dalla muffa (e in questi casi la reversibilità del processo è complessa e difficile).

Nero o rosso scuro. Le nuove versioni sono contraddistinte dal differente colore della lunetta: la prima è declinata nell’austero colore nero, tinta che non potrebbe essere più classica e, complice lo stile del Superman, conferirgli una personalità retrò. Altrimenti si può optare per il rosso bordeaux. Con Questo colore è più sofisticato, acquisisce una particolare eleganza, accentuata dallo stile minimalista della lunetta stessa. Il tono sportivo di questo diver è accentuato dagli indici tondi (con Superluminova C5) che scandiscono le ore e dalle grandi lancette di ore e minuti (con quest’ultima in dimensione oversize e arricchita dal “finale” a triangolo). A ore 3 la cassa è equipaggiata con un vistoso meccanismo di protezione della corona (a vite). La sua struttura porta la lunetta a passarvi attraverso. All’interno Il Superman Heritage Bronze Black/Bordeaux monta il calibro “in house” MBP 1000 (a ore 6 sul quadrante si legge l’orgogliosa provenienza “France”). Questo movimento, meccanico a carica automatica, oscilla a 28.800 ripetizioni l’ora e fornisce 45 ore di autonomia. Il Superman Heritage Bronze è impermeabile fino a 300 metri ed è corredato da cinturino in gomma o in tessuto Nato. Si può acquistare sul sito ufficiale di Yema a 1.400 dollari.

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Aci e Asi: basta parole, servono i fatti!

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Cresce lo scontro tra Aci e Asi. Ruoteclassiche ribadisce la sua posizione di equidistanza: l’obiettivo unico da perseguire è favorire a ogni costo il collezionismo storico e gli appassionati, creando regole chiare e condivise a salvaguardia del patrimonio delle due e delle quattro ruote.

La polemica tra Asi e Aci monta sempre più. Le posizioni dei massimi rappresentanti dei due enti appaiono sempre più distanti, come già dimostra l’articolo-intervista a entrambi che Ruoteclassiche pubblica sul numero di dicembre in edicola in questi giorni. L’intervento del presidente dell’Automobile Club d’Italia, Angelo Sticchi Damiani, durante la 74a Conferenza del Traffico e della Circolazione, alla presenza del premier Giuseppe Conte, ha scatenato la reazione del presidente dell’Automotoclub Storico Italiano, Alberto Scuro. Due sono i punti principali della tesi sostenuta dall’Aci: il rilascio del Certificato di Rilevanza Storica non può essere affidato a un’associazione privata (il riferimento è ovviamente all’Asi) e tutti gli attori del motorismo storico, tranne l’Asi (e la Fmi per quanto riguarda le due ruote) sono d’accordo a introdurre una Lista di Salvaguardia per identificare i veicoli da 20 a 29 anni meritevoli di essere considerati storici (senza dimenticare che dopo 30 anni tutti i veicoli diventano storici).

La replica di Scuro. Il presidente dell’Asi ha risposto a stretto giro attraverso un comunicato stampa in cui sostiene, giustamente, che l’ente certifica sulla base dell’articolo 60 del Codice della Strada e del Decreto Ministeriale del 17 dicembre 2009, quindi applicando norme dello Stato. Per il secondo punto, Alberto Scuro dichiara che “con tale lista lo Stato aiuterebbe chi possiede veicoli costosi ed esclusivi e non chi vuole conservare, osservando le specifiche normative previste, veicoli più diffusi e di minor valore, ma che hanno comunque segnato la storia del nostro Paese e delle nostre famiglie. Quattro dei cinque enti certificatori nazionali sono contrari a stilare la lista proposta da Aci”.

La Lista non è dell’Aci. Ruoteclassiche ritiene opportuno fare alcune precisazioni: la Lista di Salvaguardia è nata da una proposta di Ruoteclassiche formulata in occasione dell’Heritage Day che si è tenuto presso la nostra sede nel giugno del 2018, cui hanno partecipato tutti i principali attori del motorismo storico (Aci, Asi, FCA Heritage, Fmi, AAVS, RIAR, RFI, Lancia Club e Ruoteclassiche), secondo il principio ispiratore degli Heritage Day che è quello di raccogliere tutte le istanze del comparto per favorire il movimento degli appassionati e dei collezionisti e di trovare un percorso condiviso tra tutti gli attori da sostenere nei confronti delle Istituzioni nazionali e locali. La Lista di Salvaguardia è stata una delle proposte inserite nel Protocollo di Intesa sottoposto alla firma dei componenti degli Heritage Day, assieme ad altri importanti suggerimenti su tematiche di stretta attualità (circolazione nei centri urbani, periodicità delle revisioni, esenzione totale dal bollo, riduzione dell’Ipt sui passaggi di proprietà per le storiche, eccetera): tutti indistintamente importantissimi. 

Non è una “lista chiusa”. Dunque non è corretto affermare che la Lista di Salvaguardia - impropriamente definita dal presidente dell’Asi “Lista Chiusa” - sia stata proposta dall’Aci, soggetto che semplicemente l’ha approvata, partecipando collegialmente con tutti gli altri enti nella stesura della lista; né è giusto sostenere che questa lista favorisca i veicoli più costosi ed esclusivi, a discapito di quelli più diffusi e di minor valore. Al contrario, il principio ispiratore della Lista di Salvaguardia, infatti, è quello di tutelare tutti i veicoli secondo criteri di importanza storica, tecnica, sportiva, sociale e culturale, con un occhio di riguardo soprattutto per quelli di basso valore economico e che risultano quasi scomparsi dal parco circolante (un esempio su tutti: la Fiat Duna berlina, che il Pubblico Registro Automobilistico certifica essere sopravvissuta in poche unità). Inoltre, l'eventuale introduzione della Lista di Salvaguardia non modificherebbe lo stato delle cose attuale e dunque gli enti certificatori identificati dall'art. 60 continuerebbero a determinare, attraverso il Crs, i veicoli da considerarsi di interesse storico e collezionistico. Il tutto, naturalmente, seguendo i principi di rispetto dell’ambiente e della sicurezza della circolazione, che impongono una scelta non più rimandabile, perché più passa il tempo, più il numero delle auto circolanti con 20-29 anni aumenta al ritmo di centinaia di migliaia di esemplari all'anno.Firmato da tutti, tranne Asi e Fmi. Il protocollo d’Intesa, presentato in occasione dell’Heritage Day a Torino presso l’Heritage Hub di FCA il 12 giugno scorso, è stato firmato da tutti i partecipanti, con le sole astensioni di Asi e Fmi, come conferma la fotografia qui sopra. Dunque non corrisponde al vero che, come affermato da Alberto Scuro nel suo comunicato stampa, “quattro dei cinque enti certificatori nazionali sono contrari a stilare la lista proposta da Aci”: RIAR, Registro Fiat Italiano e Lancia Club (i tre enti certificatori riconosciuti dall’art. 60 assieme ad Asi e Fmi) hanno aderito alla proposta, apponendo la propria firma al documento.

La posizione di Ruoteclassiche. La nostra rivista ritiene che queste polemiche vadano appianate, per riprendere il prima possibile un percorso condiviso da tutti gli attori del comparto. Questo è il principio che ha fatto nascere l’iniziativa degli Heritage Day: tutti uniti verso l'obiettivo comune, nel rispetto delle singole identità e specificità, di tutelare il nostro movimento e il patrimonio dei veicoli storici del nostro Paese. Soprattutto in un momento di emergenza in cui è messa in discussione persino la possibilità di utilizzare i nostri veicoli, con tutte le conseguenze del caso.

Zelos Hammerhead 2

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Si affaccia tra i diver per acque profonde (1.000 metri) con un aggiornamento che mantiene le prestazioni e migliora la qualità.

Zelos, microbrand di Singapore fondato nel 2014, presenta l’Hammerhead 2, diver ad alte prestazioni che, riprendendo le caratteristiche del suo predecessore, introduce alcune novità. La prima versione è stata presentata nel 2016: il Numero Uno Elshan Tang ha pensato a un modello da immersione per acque profonde, stilisticamente ispirato ai gloriosi diver degli Anni 70 e che potesse spingersi in un abisso mantenendo tutte le caratteristiche di robustezza e affidabilità che si convengono. È nato così un modello, ambizioso e poliedrico, capace di spingersi fino a 1.000 metri. L’Hammerhead si è imposto da subito grazie anche all’ampiezza del suo catalogo ed è diventato uno dei pezzi forti della produzione Zelos.

Numerose opzioni. L’Hammerhead 2 si propone al pubblico con le stesse caratteristiche strutturali ma con una migliore qualità nell’assemblaggio. La cassa da 44 mm di diametro e 15 di spessore (considerando anche il cristallo in zaffiro l’altezza è di 17 mm) è in acciaio o bronzo “Cusn8” (lega ad alto contenuto di stagno e fosforo con elevata resistenza di carico, elasticità e resistenza all’usura). Sulla carrure è equipaggiato (non presente sull’Hammerhead “MK1”) con valvola di sfogo dell’elio che si produce in immersione ed è corredato da corona a vite posizionata alle ore 4. La lunetta è provvista di ghiera girevole unidirezionale con 120 scatti (in varie configurazioni, anche ceramica, e con differenti colori degli indici).

Due movimenti. Al suo interno può essere equipaggiato con due movimenti: o il calibro NH35 di provenienza giapponese prodotto da Miyota o l’ETA 2892 di fabbricazione svizzera. Il primo, noto per la sua affidabilità e robustezza, ha carica automatica e 41 ore di autonomia. Il “motore” ETA, meccanico-automatico (ma si può caricare anche manualmente, offre 42 ore di marcia. Entrambi hanno la funzione “fermo macchina” per un’accurata rimessa dell’ora. L’Hammerhead 2 con movimento Miyota ha il fondello chiuso con serraggio a vite, la versione ETA presenta il fondello aperto con vista sulla massa oscillante del movimento. Il quadrante dell’Hammerhead 2 è disponibile in vari colori a seconda del metallo di cassa: trama “meteorite”, “foglia di tè”, midnight blue, grigio Ardesia, bronzo con effetto patina, nero sabbiato e grigio argento risplendente. È dotato di indici applicati di grandi dimensioni (con superluminova C3 e BGW9 di grande potenza, anche per lunetta e corona) e visualizza ore, minuti, secondi e datario alle 6. È corredato da cinturino in gomma o bracciale in acciaio. Il prezzo del Zelos Hammerhead 2 varia dai 369 Dollari della versione acciaio con quadrante azzurro “foglia di tè” agli 800 di quello in bronzo con quadrante “meteorite”. Alcune tirature sono già state esaurite a poche ore dalla presentazione.

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Una Studebaker nella barchessa

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Dopo la Commander pubblicata da Ruoteclassiche nel numero dello scorso febbraio, un lettore ci scrive di avere riportato alla luce una Studebaker pure lui: è una Champion Convertible

Abbiamo raccontato mesi fa il ritrovamento e il salvataggio della Studebaker Commander appartenuta alla famiglia Züst e rimasta “addormentata” in garage a Milano per 50 anni. Un fatto straordinario, irripetibile, vien da dire… E invece no. Il nostro lettore Jago Covre ci scrive che si è emozionato leggendo l’articolo perché la stessa cosa, più o meno, è capitata anche a lui. Beh, può capitare di trovare una macchina “dimenticata” in una rimessa, direte voi. Ma se l’auto in questione è la stessa che ammiravate da bambini e giace tuttora nella barchessa della villa dell’antica proprietaria, il tutto assume contorni diversi.Grazie ai social.   Jago è appassionato di auto americane e la sua predilezione arriva dall’infanzia, quando frequentava una delle magnifiche ville venete che si affacciano sul Terraglio, la strada che unisce Venezia a Treviso. Il nonno di un suo compagno di scuola del tempo era un fan della Studebaker e ne aveva diverse, sulle quali i bambini si arrampicavano per fingere di guidare. La preferita di Jago era la cabriolet usata dalla mamma del suo amico, una Champion Regal De Luxe Convertible model year 1948, immatricolata da nuova in Italia. Come spesso accade, i due ragazzini presero poi strade diverse, perdendosi di vista. Tre anni fa, grazie a un noto canale social, Jago ritrova l’amico. La prima domanda è per le auto appartenute alla sua famiglia.

Colpo di fortuna.   La risposta non è delle più confortanti, perché il compagno di un tempo non abita più nella villa nobiliare, seppur ne conserva la proprietà. Le macchine, dice, sono state vendute, regalate, demolite… Solo la cabriolet di sua mamma dovrebbe essere ancora là in qualche angolo, se nessuno l’ha portata via. I due si accordano per un sopralluogo e… sì, la Champion è ancora a casa sua, ma in condizioni di totale abbandono: addirittura, sull’abitacolo è stata piazzata una barca… dopo la disperazione iniziale, però, Jago si accorge che il lungo sonno al coperto ha preservato la carrozzeria dalla ruggine profonda; inoltre, non mancano parti importanti della vettura, né di meccanica né dell’interno. La scocca non ha subito urti e, sembra incredibile, in macchina ci sono ancora i documenti, tutti, e i vari libretti e fogli informativi della Casa. Le targhe nere della provincia di Venezia sono lì al loro posto.

Due anni di lavoro.   Jago acquista la Studebaker dall’amico e in capo a due anni conclude un restauro integrale da manuale, dopo aver riportato a nuovo ogni dettaglio della macchina. Lo Studebaker National Museum ha fornito tutte le specifiche d’origine dell’auto, che non era nata azzurra come si presentava, ma Tulip Cream P2178 con interni T7296 Leather. Jago ha rispettato l’assoluta conformità all’originale in tutto a eccezione del colore della capote, che avrebbe dovuto essere nera, ma ha preferito in tinta con l’abitacolo. Oggi, dopo le inevitabili peripezie che ogni restauro integrale comporta, può godersi la sua Champion Regal e assicura che non se ne separerà mai.

 

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Sessant’anni fa debuttava la Maserati 5000 GT

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In occasione del Salone di Torino del 1959 fece il suo debutto in società la 5000 GT, una Maserati dalla storia davvero originale…

Presentata a Torino sessant’anni fa, la Maserati 5000 GT nasce in seguito a una specifica richiesta di una grande personalità. Reza Pahlavi, a quel tempo Scià di Persia e grande appassionato di auto sportive, verso la fine del 1958 prova una 3500 GT e ne rimane affascinato. Entusiasmato dal carisma modello, ritiene che potrebbe essere incrementato ulteriormente con un adeguamento delle performance. Così decide di formalizzare la richiesta d’incremento delle prestazioni dell’auto, scrivendo all’ingegner Giulio Alfieri, (all’epoca) direttore tecnico di Maserati, il quale si rende subito conto che per accontentare tale richiesta dovrà sviluppare un progetto ex-novo.Un progetto denominato AM103. Non si tratta di una semplice personalizzazione, bensì di una nuova vettura. Il suo “cuore” è il motore 8 cilindri a V della 450S (nota barchetta da corsa del Tridente) portato con un incremento dell’alesaggio a sfiorare i cinque litri di cilindrata. Queste le principali peculiarità della Maserati 5000 GT, una prestigiosa coupé 2+2. La vettura, la cui prima realizzazione della carrozzeria viene affidata alla Carrozzeria Touring, debutta al Salone di Torino del 1959 col soprannome “Scià di Persia” in onore del committente. Di quella speciale versione se ne produssero solamente tre esemplari.

Un’auto di prestigio. Al Salone di Ginevra del 1960, la 5000 GT si presenta con una serie di accortezze meccaniche. La sua più grande particolarità fu quella di essere carrozzata da quasi tutte le principali atelier italiani dell’epoca: da Allemano a Pininfarina, da Monterosa a Ghia, da Bertone a Frua, fino a Michelotti per Vignale. Il grande consenso spinse a realizzarne alcuni esemplari per prestigiosi clienti tra quali il Principe Karim Aga Khan (vettura realizzata dalla Carozzeria Frua), l’Avvocato Gianni Agnelli (Carozzeria Pininfarina), l’industriale Ferdinando Innocenti (Carrozzeria Ghia), l’attore Stewart Granger (Carrozzeria Allemano) e il presidente del Messico, Adolfo López Mateos (Carrozzeria Allemano). A causa dell’estrema peculiarità e del costo elevato, il numero totale di vetture prodotte fu limitato a soli 34 esemplari.

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L’ASI sulla Via della Seta

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L’Automotoclub Storico Italiano e la federazione auto classiche cinese sulla Via della seta per diffondere la cultura storica dell’automobilismo.

In occasione del 50° anniversario dei rapporti diplomatici tra Italia e Cina, ASI e la Federation of Classic Cars China hanno raggiunto un’intesa, che si concretizzerà con il Marco Polo Silk Road – Classic Rally, un evento che avrà luogo dal 18 settembre al 20 ottobre 2020. La presentazione dell’evento si è svolta alla presenza di Wu Zheng, Tan Bo, Juan Simoni (rispettivamente Presidente, Vice Presidente della FCC China e il referente italiano) e Alberto Scuro e Marco Rodda, rispettivamente Presidente e Responsabile Rapporti Esteri dell’ASI.

13 mila chilometri. Un gruppo di 20 autovetture prodotte fino al 1990, partirà da Venezia, la città di Marco Polo, e raggiungerà Xi’ An, meta finale della Via della Seta, un percorso che da  più di duemila anni unisce Oriente e Occidente.

La carovana effettuerà un percorso di 13 mila chilometri attraversando  11 Paesi, tra cui: Turchia, Russia, Kazakhstan e Uzbekistan.

Esportiamo cultura. La Cina sta sviluppando un crescente interesse per le auto d’epoca e, per questo, alcuni dei massimi esponenti del motorismo storico italiano parteciperanno al Marco Polo Silk Road – Classic Rally, portando con sé il know-how tecnico necessario per porre le fondamenta di una cultura storica dell’automobilismo anche in Cina.


Porsche 924, un nuova impostazione (meccanica)

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Linee pulite ed essenziali abbinate a una meccanica differente dalla tradizione del marchio: la 924, nella cronistoria della Porsche, rappresenta indubbiamente un modello originale

Verso la metà degli anni Settanta la Porsche 924 ricopre un ruolo di prim’ordine nella storia del marchio, aiutandolo a superare le serie difficoltà emerse dalla crisi del ’74. Inizialmente progettata per il gruppo Volkswagen sorprende, fin da subito, per la particolare impostazione meccanica. Rappresenta infatti la prima Porsche ad utilizzare un motore anteriore raffreddato ad acqua - abbinato alla trazione posteriore – dopo che per anni la Casa di Stoccarda era stata una fervida sostenitrice della filosofia del “tutto dietro” e del raffreddamento ad aria. Nel dettaglio, la 924 sfrutta un motore a quattro cilindri (di 1984 cc) capace di erogare una potenza di 125 cv. Un ulteriore soluzione meccanica interessante è fornita dal cambio a cinque marce (disponibile come optional) disposto al retrotreno, secondo lo schema Transaxle.Razionale e funzionale. Nata in un momento particolarmente difficile per l’intero settore automobilistico, la 924 dopo circa due anni dal debutto in società, nel 1978, ottiene una risposta commerciale soddisfacente: prodotta negli stabilimenti Audi-NSU supera il traguardo delle 50mila unità. Per quel che riguarda l’aspetto estetico, la sportiva tedesca può non colpire in particolar modo, ma le sue linee essenziali e pulite sono studiate per rispondere a precise esigenze funzionali e aerodinamiche. Interessante, nella sua semplicità, il frontale ellittico e ben profilato, nel quale spiccano i fari a scomparsa dalle dimensioni generose. Al posteriore, invece, l’elemento stilistico di maggior rilievo è rappresentato dall’ampio lunotto, che occupa gran parte della coda. L’interno ha una piacevole impostazione vecchio stile, con l’abitacolo diviso longitudinalmente dal grande tunnel di trasmissione. La plancia, la console centrale e le altre parti dell’interno sono rifinite e ben curate. Moquette, pannelli e rivestimenti ricoprono perfettamente gli spazi metallici dell’interno. La finitura seppure semplificata rispetto ad alcune “sorelle” è di livello elevato.

La prova di Quattroruote. La prova effettuata dalla “nostra” rivista, nel complesso, ha dato un esito positivo. Il motore, derivato da quelli già montati su altri modelli del gruppo Volkswagen e impiegato per gli usi più svariati, si mette in luce per buone doti di potenza, soprattutto ai regimi medio-alti, e un buon campo di utilizzazione (tra i 3 e i 5mila giri/min.). A basse velocità, però, il suo funzionamento non è tra i migliori. Un ulteriore appunto effettuato dal collega giornalista riguarda alcune vibrazioni e una rumorosità elevata anche ai regimi intermedi. Difetti definiti come sorprendenti, trattandosi di una meccanica Porsche. In compenso, la buona aerodinamicità della vettura, unita alle buone doti di potenza, certificano prestazioni di tutto rilievo. Il nuovo cambio a cinque marce (optional), con un appropriato rapporto al ponte, sfrutta decisamente meglio del precedente quattro marce le caratteristiche di coppia e potenza del propulsore. Lo sterzo, nonostante la notevole demoltiplicazione, garantisce precisione di guida e rapidità di correzioni accettabili.

La quotazione attuale. La valutazione odierna della Porsche 924, con cambio a cinque marce, va da un minimo di 3300 a un massimo di 9800 euro, per un modello in perfette condizioni.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Porsche 924? L’avreste comprata oppure avreste preferito altri modelli/marchi? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.

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L’Alfa Romeo Scarabeo in mostra a Compiègne

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L' Alfa Romeo Scarabeo, prototipo del 1966, sarà tra le vetture protagoniste della mostra "Concept-Car Beautè pure" allestita al castello di Campiègne, in Francia.  La rassegna ospita concept cars realizzate tra gli anni Dieci e gli anni Settanta del Novecento.

Dai tempi remoti degli antichi Egizi, nella culla della cività mediterranea lo scarabeo è considerato un simbolo di creatività e di rinnovamento, persino di virilità. Sicuramente il rarissimo prototipo Alfa Romeo che porta lo stesso nome porterà fortuna alla mostra “Concept-Car. Beauté pure” allestita al Musée National de la Voiture a Compiègne, in Francia. L’esemplare – rarissimo, solo tre costruiti - del 1966 appartiene alla collezione di FCA Heritage ed è all’altezza di una selezione di mezzi di alto livello. Sotto le volte dei saloni del castello di Compiègne, costruito in stile neoclassico per il re Luigi XV, sfilano in passerella una trentina di automobili, moto e veicoli da record – molti dei quali esposti in Europa per la prima volta – corredati da un centinaio di fotografie, documenti, bozzetti preparatori e modellini. La mostra storicizza la genealogia della concept, car tra la fine degli anni Dieci e gli anni Settanta del Novecento.Gli anni d' oro. La Scarabeo è abituata a farsi ammirare in una dimensione espositiva, di norma quella del Museo Storico Alfa Romeo di Arese. La sua data di nascita risale a un anno molto interessante per il Biscione. Il successo crescente della Giulia “disegnata dal vento”, l’arrivo della GT 1300 Junior e soprattutto il debutto della Duetto Spider avevano proiettato la marca milanese a un’apoteosi nel mercato internazionale. Nelle prime settimane del 1966, dopo che il progetto della Tipo 33, nato dal team dell’ingegner Orazio Satta Puliga, era stato ceduto alla divisione corse Autodelta, Giuseppe Busso, il progettista del mitico V6 Alfa che prese il suo nome, propose il progetto di un’altra vettura sportiva a motore posteriore centrale, ma che utilizzasse il monoblocco quattro cilindri della GTA, un bialbero con teste in lega leggera da 1.570 cc e 115 cv a 6.000 giri. Il peso piuma di appena 700 kg avrebbe permesso alla Scarabero di vedere i duecento orari.

Essenziale. Il propulsore fu installato trasversalmente al posteriore, in blocco con frizione e cambio, mentre il telaio tubolare riprendeva l’ambiziosa soluzione – vista proprio sulla 33 – dei grossi longheroni tubolari a H ai lati dell’abitacolo, contenenti i serbatoi del carburante. Lo studio della carrozzeria fu affidato alla carrozzeria OSI di Borgaro Torinese, sotto la supervisione di Sergio Sartorelli. Un primo esemplare della Scarabeo, con guida a destra, venne presentato al Salone di Parigi nell’ottobre 1966. Successivamente furono costruite una seconda Scarabeo dal disegno semplificato – è il prototipo in esposizione a Compiègne – e una barchetta, che però non fu portata a termine.

Stile e Industria. A proposito di carrozzeria: la OSI – Officine Stampaggi Industriali – fu fondata a Torino nel 1960 dall’ex presidente della Ghia, Luigi Segre, e da Arrigo Olivetti. Nonostante la concorrenza a chilometro zero dei migliori carrozzieri al mondo, in appena sette anni l’azienda aveva già lasciato un’impronta netta nel car design italiano. Oltre a Segre e alla proficua collaborazione con Ghia, OSI collaborava con designer del calibro di Giovanni Michelotti, Tom Tjaarda e Sergio Sartorelli. Le maestranze erano così in gamba che il potentissimo Dante Giacosa volle assorbirle in parte nel Centro Stile Fiat. Dal 1968, così, la OSI tornò a occuparsi solamente di stampaggi.

Lunga tradizione. La Scarabeo è solo una delle star – pardon, étoiles – che brillano nella mostra del Musée National de la Voiture, il primo museo al mondo consacrato alla locomozione, nato nel 1927 su iniziativa del Touring Club di Francia e di un gruppo di carrozzieri francesi. La sua collezione vanta circa 15.000 pezzi tra automobili, vetture ippomobili, motocicli, fotografie, costumi, finimenti e bagagli. Si arricchisce continuamente grazie a numerose donazioni, depositi e acquisizioni e la mostra “Concept-car. Beauté pure” in cartellone fino al 22 marzo 2020 segna l’inizio di una fase di rinnovamento del museo.

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Maurice de Mauriac Stan Smith Signature

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È un “orologio da tennis” elegante e discreto dedicato a un mito del tennis. Due versioni: in rosso o in verde.

Nasce dalla partnership tra Daniel Dreyfuss, fondatore di Maurice de Muriac e grande appassionato di tennis (grande estimatore delle scarpe Adidas), e l’americano Stan Smith, uno dei giocatori più forti della storia (oltre cinquecentocinquanta incontri vinti, numero cinque del ranking mondiale nell’aprile 1979). Lo Stan Smith Signature viene definito un perfetto… “orologio da tennis”, un segnatempo elegante senza essere esagerato nello stile e nella vestibilità al polso, confortevole e, soprattutto, con un movimento meccanico di qualità e affidabile (le sollecitazioni e gli stress cui viene sottoposto un orologio durante una partita di tennis sono molti). Non deve del resto, essere d’intralcio al polso ma leggero.

Cassa medio-grande. Lo Stan Smith Signature si presenta con cassa in acciaio da 42 mm di diametro e 9 di spessore con finitura satinata. Questa dimensione lo porta nel segmento dei segnatempo “medio-grandi”, studiati per chi non si dispiace, tutto sommato, di essere notato per ciò che porta al polso. Ciò detto conserva una personalità elegante ed essenziale grazie alla lunetta pressoché impercettibile. Il quadrante bianco, con vetro in zaffiro, riporta ore, minuti (sulla scala graduata più interna) e secondi centrali con lancetta verde o rossa (con un pallino giallo a tre quarti della sua lunghezza così da attirare l’attenzione). Sopra le ore 6 è riportata la firma di Stan Smith. L’illuminazione è affidata al riempimento con superluminova delle lancette e agli indici applicati: circolari sulla parte esterna e a bastone su quella interna. A ore tre è presente la piccola finestrella con il datario. Al suo interno lo Stan Smith Signature è equipaggiato con movimento ETA 2824, meccanico a carica automatica, 28.800 alternanze l’ora, hacking, 42 ore di autonomia. Il movimento si può ammirare attraverso il fondello aperto: la massa oscillante riporta il volto stilizzato di Stan Smith. È impermeabile fino a dieci atmosfere.

Pre-ordini aperti, in arrivo a febbraio 2020. Sono disponibili a catalogo in due versioni, in rosso o verde. La confezione, a seconda del colore, contiene: cinturino in gomma impunturato, fascia in tessuto Nato, portachiavi e una palla da tennis autografata da Stan Smith. Il prezzo è di 2.390 CHF. La commercializzazione inizierà il prossimo febbraio 2020 ma si può già acquistare in pre-ordine sul sito di Maurice de Mauriac.

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Skoda Octavia, la prima della Casa a “parlare” tedesco

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Di recente è stata presentata la nuova generazione della Octavia, ma il modello che passerà alla storia, come ambasciatore di un grande cambiamento, risale all’ormai lontano 1996

A sessant’anni esatti dal debutto in società del primo modello, avvenuto nel 1959, la Skoda Octavia si è da poco rinnovata, presentando al mondo la sua nuova generazione. Nel corso della sua carriera ha subito una serie di evoluzioni, ma la versione più importante, quella che di fatto l’ha consacrata nella storia del marchio, affonda le radici nel 1996. In quel periodo, tra le principali novità esposta al Salone di Parigi c’è una nuova Octavia, rivelatrice di una tendenza nell’industria dell’auto che coinvolge il portafogli del consumatore. Quel modello, infatti, decreta il definitivo riscatto del marchio ceco nel limbo delle marche “povere” dell’ex Est europeo e la sua definitiva assunzione nei salotti buoni dell’industria occidentale.L’auto del cambiamento. Sì, perché sotto la pelle, questa vettura è a tutti gli effetti una Volkswagen e lo stemma sulla calandra è l’unica cosa che resta della memoria della tradizione produttiva. Prima Skoda interamente nuova nata dopo l’acquisizione del gruppo Volkswagen, nel 1991. Il pianale e gran parte della meccanica sono modernissimi, tanto da essere condivisi con modelli ben più prestigiosi e costosi, come per esempio l’Audi A3 e la Volkswagen Passat. Della Casa ceca, a questo punto, resta ben poco, eccetto l’ubicazione degli stabilimenti, la manodopera e, appunto, lo stemma sulla calandra. Caratterizzata da linee pulite ed essenziali l’Octavia trasmette, fin dal primo sguardo, una sensazione di robustezza e solidità.

Abitacolo ben rifinito. Gl’interni mostrano uno stile inconfondibile, quello dei prodotti del gruppo Volkswagen. Soltanto un occhio particolarmente attento, e allenato, può rilevare una qualità leggermente meno pregiata di alcuni rivestimenti plastici rispetto a quella standard per le marche “nobili” del gruppo, tanto più che gran parte della componentistica ha disegno ed impostazioni simili. Nel complesso l’abitacolo è arredato in maniera abbastanza semplice, senza inserti in radica o simili, però l’atmosfera è quella di una media di buon livello. L’ambiente è spazioso e può accogliere senza troppi disagi cinque persone. Inizialmente proposta in tre allestimenti (lx, glx e slx) può avere tre differenti “anime”. La serie dei motori – Volkswagen - comprende infatti un 1.6 litri da 75 cv, un 1.8 litri da 125 cv e un 1.9 litri turbodiesel da 90 cv. La trazione è anteriore, mentre il cambio manuale a cinque marce oppure (su richiesta) automatico.

La prova di Quattroruote. Il giudizio emerso dalla prima prova effettuata dalla “nostra” rivista, a bordo della declinazione 1.6, risulta soddisfacente. Il motore “millesei” si fa perdonare la scarsa potenza, perché ha una coppia notevole, disponibile già dai bassi regimi, e perché consuma poco. Nonostante tutto, grazie alla disponibilità a basso numero di giri e alla giusta spaziatura dei rapporti del cambio, la vettura risponde in modo discretamente vivace. Il motore mostra di avere il fiato corto soltanto quando si tirano le marce, perché oltre i 4500 giri il rumore cresce più rapidamente della velocità. Su strada la guida risente solo marginalmente della scarsa potenza, e anche sui lunghi viaggi si possono realizzare medie notevoli. La tenuta e la stabilità sono di livello più che soddisfacente. Il confort è all’altezza della situazione: le sospensioni assorbono correttamente la maggior parte delle imperfezioni del manto stradale. Sono un po' brusche, però, sulle imperfezioni brevi e sullo sconnesso. È soprattutto la rumorosità del motore, non adeguatamente filtrata dall’insonorizzazione, a disturbare i passeggeri.

La quotazione odierna. Indipendentemente dalla versione scelta, una Skoda Octavia prodotta dal 1997 al 2004, ha una valutazione che va da un minimo di 600 a un massimo di 1800 euro.

Diteci la vostra. Ora, la parola passa a voi, perché siamo curiosi di conoscere il vostro parere in merito alla Octavia. Vi piace? Ne avete mai posseduta una? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Dettò ciò, sappiamo bene che non si tratta di un modello particolarmente ambito dai collezionisti di auto storiche, ma ci è sembrato giusto valorizzarla, in quanto ha rappresentato il primo grande cambiamento del marchio, dopo l’acquisizione del gruppo Volkswagen.

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Coppa delle Alpi 2019: oggi la prima tappa

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Da mercoledì a sabato la sfida sui passi italiani, austriaci, tedeschi e svizzeri. Cerimonia finale a Ponte di Legno. Chi vincerà i trofei Bressanone, Sessfeld, St. Moritz si aggiudica la partecipazione alla Mille Miglia. In corsa una cinquantina di auto storiche.

Al via  stamattina, mercoledì 4 dicembre, alle 9 da piazza della Vittoria a Brescia la Coppa delle Alpi 2019, la gara di regolarità inserita nel Campionato Italiano Grandi Eventi e prima invernale organizzata da 1000 Miglia Srl, la società in house dell’Aci di Brescia che organizza anche la mitica Freccia rossa.  In corsa una cinquantina di vetture costruite fino al 1976, che impegneranno quattro tappe su un percorso che attraversa ripetutamente  le alpi italiane, austriache, tedesche e svizzere. La corsa si compone di quattro tappe  per 1.200 chilometri di gara  lungo 15 passi alpini con 12 controlli orari, 60 prove cronometrate, 10 prove di media  e ben quattro nazioni attraversate.Posta in gioco alta. I concorrenti primi classificati assoluti e i vincitori dei tre Trofei delle città di tappa Bressanone, Seefeld e St. Moritz riceveranno la garanzia di accettazione alla 1000 Miglia 2020. Dopo  la partenza gli equipaggi percorrendo il tratto panoramico della Gardesana con il percorso che si snoda lungo la strada della forra di Tremosine, quindi la concluderanno la prima tappa con le prove speciali e la premiazione del Trofeo Bressanone: al primo trofeo legato alle città di tappa faranno seguito il Trofeo Seefeld per la seconda giornata e il Trofeo St. Moritz per la terza.

Oltreconfine. Alla partenza della seconda giornata di gara, giovedì, le vetture faranno rotta verso Cortina d’Ampezzo dove sfileranno prima di dirigersi al cospetto delle Tre Cime di Lavaredo per poi puntare il confine austriaco e arrivare a Seefeld nel pomeriggio. Durante la tappa le auto affronteranno tre passi alpini: Sella, Pordoi e Falzarego.

Vista mozzafiato. I passaggi più suggestivi della terza tappa (venerdì) da Seefeld a St. Moritz saranno i tratti iniziali verso la Germania, la zona dei laghi Schwangau e il romantico Castello di Neuschwanstein, fino a raggiungere il lago di Resia.

In salita. Sabato, ultima giornata, le auto rientreranno in Italia passando dal lago di Livigno e dalla Cava di Montebello a Pontresina per concludere la gara nel centro di Ponte di Legno. In serata, suggestiva salita a oltre 2.500 metri per la cerimonia di premiazione nello scenario unico del ghiacciaio Presena.

Alto lignaggio. Tra le vetture partecipanti alla gara vi sono alcuni modelli di grande valore storico come l’Alfa Romeo 8C 2300 del 1932 condotta dall’equipaggio olandese van Haren-Hendriks e la FIAT 514 Coppa delle Alpi, sempre del 1932, guidata dai bresciani Pietta – Lazzarini. In corsa anche l’inglese Lagonda M45 Rapide del 1935 condotta dai tedeschi Siegried Gronkowski e Sascha Haarbach e l’Alfa Romeo 1750 GT Zagato del 1931 degli olandesi Van Gerwen - Van Ingen. Grazie alla vittoria ottenuta nel “Trofeo Franciacorta Outlet Village 1000 Miglia Preview” che ha messo in palio la partecipazione alla Coppa delle Alpi 2019, Andrea Belometti e Doriano Vavassori saranno al via con la vettura numero 1, una Fiat 508 C del 1937. In conformazione rally parteciperà la Ford Escort MK1 del 1973 degli svizzeri Hug e Frye-Hammel-mann.

Pronti per la 1000 Miglia. I concorrenti primi classificati assoluti e i vincitori dei tre Trofei delle città di tappa Bressanone, Seefeld e St. Moritz riceveranno la garanzia di accettazione alla 1000 Miglia 2020.

Tradizione. Soddisfazione è stata espressa dal presidente di Aci Brescia, Aldo Bonomi  che ha dichiarato anche che “evento migliore della Coppa delle Alpi non poteva esserci  per chiudere la stagione agonistica dell’automobilismo bresciano in cui l'Automobile Club di Brescia, a conclusione del 2019, ha visto riconosciuto anche il valore tecnico sia del Rally 1000 Miglia che del Trofeo Valle Camonica, rientrati a pieno titolo tra le prove di campionato italiano. E questo è per noi motivo di soddisfazione oltre che un riconoscimento della qualità del nostro lavoro”. Concorde il presidente di 1000 Miglia srl, Franco Gussalli Beretta che ha sottolineato come “la Coppa delle Alpi è per noi una grande emozione sia per l’aspetto sportivo sia perché rappresenta un banco di prova organizzativo di notevole impegno e difficoltà: per la prima volta mettiamo a disposizione il nostro know-how in una gara invernale sulle strade di quattro diversi paesi. Vogliamo che sia un grande successo e siamo orgogliosi di far rivivere agli equipaggi le sensazioni uniche di una delle gare di più antica tradizione”.

Fascino alpino. Per Alberto Piantoni, Ad di 1000 Miglia Srl  “la Coppa delle Alpi rappresenta un importante pezzo di storia e tradizione dell’automobilismo, una competizione impegnativa e selettiva ma, nello stesso tempo, di grande fascino grazie alla bellezza dei luoghi. Attraverseremo gli scenari unici offerti dalle nostre Dolomiti e omaggeremo le zone devastate dalla tempesta Vaia nel 2018: le basi dei trofei consegnati ai vincitori saranno realizzate con il legno recuperato dalle foreste travolte e abbattute lo scorso anno”.

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Corrado Lopresto: “I miei primi 40 anni (da collezionista)”

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Il noto collezionista Corrado Lopresto annuncia una traversata a bordo della sua Fiat 508 Balilla, da Palermo a Milano, per festeggiare i 40 anni del suo recupero.

Tutto è iniziato con un salvataggio. Quello di una Fiat 508 Balilla Lusso, abbandonata in un cantiere di una palazzina in costruzione a Reggio Calabria. La macchina è un modello molto significativo per Corrado Lopresto: è la prima auto che il noto collezionista ha restaurato con metodo filologico, aiutato dai fratelli Giordano: Don Totò e Don Mimì. Tramite il Registro Storico Fiat, il giovane Corrado Lopresto inizia a ricostruire la storia di questa Balilla 3 marce, modello “Lusso”, scoprendo che venne consegnata come autotelaio presso la filiale Fiat di Roma nel 1934 e, successivamente, reimmatricolata a Reggio Calabria con targa RC2139. Il resto della storia lo potete leggere su Ruoteclassiche di dicembre, in edicola in questi giorni.Viaggio celebrativo. A distanza di 40 anni dal ritrovamento della Balilla, Corrado Lopresto festeggia i suoi quarant'anni da collezionista con un tour che lo vedrà partire da Palermo alla volta di Milano. Il percorso prevede tappe nelle città italiane in cui si sono svolti gran premi più importanti, per un totale di 2255 km.Il tour. La partenza è prevista per il 14 dicembre, con la Ballilla impegnata sulla tratta siciliana, Palermo – Cefalù – Nicosia – Leonforte – Catania (270 km); il 15 dicembre inizia la risalita da Catania verso la Calabria Reggio Calabria, passando per Mascali, Milazzo e Messina (180 km); il 16 dicembre Reggio Calabria – Lamezia Terme – Castrovillari (270 km); il 17 dicembre si parte per la Campania, da Castrovillari a Napoli passando per Salerno, sosta a Pietrarsa  presso il suggestivo Museo dei Treni; il 18 dicembre si passa dal Lazio toccando San Felice Circeo, Latina e Civitavecchia; il 19 dicembre da Civitavecchia via verso la Toscana Follonica-Livorno e arrivo a Pisa; il 20 dicembre da Pisa si riparte per Bologna con tappa a Firenze; il 21 dicembre da Bologna si giunge a Piacenza prima dell’arrivo a Milano il 22 dicembre.

 

La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 1Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 2Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 3Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 4Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 5Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 6Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 7Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 8Ruoteclassiche
La Fiat 508 Balilla Lusso di Corrado Lopresto - 9Ruoteclassiche

Hysek Furtif 44 Squelette: quadrato perfetto

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Un classico della produzione Hysek, famoso per la cassa quadrata e il movimento squelette, si aggiorna a un nuovo modello con calibro di manifattura

A prima vista tutti gli appassionati di orologi lo riconoscono come un Furtif, modello famoso nel catalogo Hysek e subito riconoscibile per la sua cassa di forma geometrica. In realtà il nuovo modello condivide con il suo predecessore sì e no il nome. Il nuovo Hysek Furtif 44 Squelette si presenta con un nuovo calibro di manifattura. Il marchio svizzero dichiara di essere una delle poche aziende indipendenti rimaste che sviluppa e assembla “calibri di forma”. Questi, infatti, sono alloggiati in una cassa con lo stesso design del movimento.

Caratteristiche. Nel nuovo Furtif 44 mm Squelette il movimento è un quadrato perfetto (ne è autore il designer Laurent Basse, collaboratore del brand dal 2018). Il calibro HW34 è stato disegnato e sviluppato per adattarsi perfettamente alle sue massicce proporzioni e per ottenere un risultato ben preciso: cassa di grande dimensioni ma trasparenza perfetta, con la luce studiata per attraversare con precisione la fine meccanica. Questo movimento è composto da 172 componenti, ognuno dei quali è stato lavorato finemente per raggiungere il più elevato livello di sottigliezza senza comprometterne la rigidità.

Info utili. Altri elementi del nuovo Furtif contribuiscono a plasmare la brand identity: gli indici, all’1, alle 5, alle 7 e alle 11 definiscono il perimetro lungo cui si sviluppa il movimento e pongono l’attenzione sui ponti; questi sono stati disegnati per creare un senso di profondità a tutto lo sviluppo dimensionale del movimento. Nessuno dei cinque ponti ha una funzione decorativa: tutti sono stati progettati per ottenere un calibro che coniugasse forma e funzione. Alle 5 si può ammirare il bariletto che assicura un’autonomia di 45 ore. Alle 11, infine, è posizionato lo scappamento, che pulsa a 28.800 alternanze l’ora. Si è ottenuta una cassa multi livello che crea l’impressione di più piani: dal piano più profondo, invisibile dal quadrante, al piano più elevato in corrispondenza di uno dei ponti dove si può apprezzare un’impressione di grande rigidità del calibro. Grande importanza ha avuto la finitura: satinata in orizzontale per la parte più interna della cassa, verticale nell’area sui ponti del movimento. Il nuovo Furtif 44 Squelette è disponibile in quattro versioni: antracite, rodio, blu o viola. La cassa è disponibile in titanio, titanio e oro, titanio e PVD. È corredato da bracciale in alligatore con fibbia nello stesso metallo. Prezzo: 23.600 CHF.

Hysek Furtif 44 Squelette - 1Ruoteclassiche
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Coppa delle Alpi 2019: Moceri in testa alla fine della prima tappa

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È andata in archivio con Giovanni Moceri e Daniele Bonetti al comando della gara la prima tappa della Coppa delle Alpi 2019.

La manifestazione, organizzata da Aci Brescia, ha visto la carovana formata da una cinquantina di equipaggi provenienti da tutto il mondo lasciare la città lombarda per dirigersi verso le montagne del Trentino Alto Adige. Dietro all'equipaggio siculo-bresciano (a bordo di un'Alfa Romeo Gt 1.6 del 1964) si è piazzato il duo bolognese Zanasi-Bertini su una Volvo Amazon del 1958. Terzo posto del podio provvisorio per Mario Passanante e Anna Pisciotta con una Fiat 1100/103 del 1955.Il tracciato del primo giorno. La prima tappa ha visto i concorrenti lasciare Brescia per raggiungere Bressanone: da piazza Vittoria, storica sede della punzonatura della 1000 Miglia, la corsa ha toccato il lago di Garda, quindi l'altopiano della Paganella, ha sfiorato Cles e la Val di Non prima di scalare il passo della Mendola, teatro della prova di media disputata tutta in discesa. Il gran finale ha visto i concorrenti arrivare in una Bressanone addobbata a festa per l'imminente periodo natalizio. La corsa, che può contare su nove vetture anteguerra, entrerà definitivamente nel vivo con la seconda tappa che da Bressanone condurrà gli equipaggi verso Seefeld, cittadina del Tirolo. Una grande attraversata alpina che metterà a dura prova la meccanica di vetture non certamente abituate a certe pendenze.

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Simca 1100 GLS, un’auto che guardava “avanti”

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Verso la fine degli anni Sessanta la Simca, con la 1100, raggiunge le altre prestigiose marche francesi (Citroën, Peugeot e Renault) nell’impostazione tecnica del “tutto avanti”

Sebbene risulti ispirata a soluzioni già utilizzate in passato, la nuova 1100 rappresenta sicuramente un’auto moderna, venduta in differenti varianti di carrozzeria e allestimenti, tra cui la GLS a due/quattro porte. Il design della vettura si caratterizza per l’impiego di poche linee, pulite ed essenziali. Il frontale mette in evidenza grandi gruppi ottici circolari, inglobati in una calandra semplice ma di carattere. La forma del posteriore, invece, non appare particolarmente in armonia rispetto al resto della carrozzeria.Semplice ma funzionale. A bordo, l’abitabilità è stata studiata scrupolosamente in relazione alle dimensioni esterne: comodi i due sedili anteriori, ampio il posteriore del tipo a panchina, dove può sedersi tranquillamente anche un terzo passeggero. La strumentazione è raggruppata in un unico blocco di forma rettangolare inserito in una plancia dall’impostazione gradevole che comprende la scala tachimetro al centro e, ai lati, l’indicatore di livello del carburante e il termometro dell’acqua. Il tutto è integrato da una serie di spie (tra cui quelle dedicate ai fari abbaglianti, agli indicatori di direzione e al manometro dell’olio). C’è anche il contachilometri totalizzatore. La strumentazione è poi completata dall’orologio, alloggiato quasi centralmente sulla plancia. Migliorabile il grado di finitura.

Caratteristiche tecniche. La 1100 monta un motore a quattro cilindri di 1118 cc, capace di sviluppare una potenza di 56 cv a 5800 giri/min nelle versioni GL e GLS. I modelli LS hanno invece una potenza di 53 cv. La trazione è sulle ruote anteriori mentre il cambio, a quattro velocità tutte sincronizzate, è montato lateralmente secondo uno schema già impiegato dall’Autobianchi per la Primula. Ancora: scatola dello sterzo del tipo a cremagliera, freni a disco all’avantreno, a tamburo al retrotreno con limitatore di frenata in funzione del carico. 

La prova di Quattroruote. La prova effettuata dalla “nostra” rivisita ha messo in luce un motore dal funzionamento piuttosto regolare e brillante. Al suo fianco un cambio caratterizzato da una manovrabilità non particolarmente entusiasmante in quanto, stando alle impressioni riportate dal collega giornalista, l’innesto dei rapporti non può contare su un imbocco deciso. Positive anche le impressioni sullo sterzo, preciso e leggero da azionare nelle manovre, e sulla frenata, efficiente e ben ripartita. Unico neo: la frizione manifesta qualche sintomo di debolezza, di ruvidezza, nell’innesto. Molto maneggevole la 1100 vanta una notevole tenuta si strada, anche su terreni con scarso coefficiente di aderenza.

La quotazione attuale. Indipendentemente dalla versione, attualmente la Simca 1100 ha una valutazione compresa tra un minimo di mille e un massimo di tremila euro, per un modello in perfette condizioni.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Simca 1100? Siamo curiosi di sapere se in quel periodo avreste optato per lei oppure per una concorrente. Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete dei ricordi particolari legati a questo modello, potete scriverci una e-mail con la vostra storia all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it.

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Alfa Romeo abbandonate: un ritrovamento incredibile

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In cerca di vecchie auto dalle parti di Ferrara, passando davanti a un fienile, il mio “scout” si è accorto di un’Alfetta prima serie. È ridotta quasi a uno scheletro, buttata fra le bestie della fattoria e altre carcasse in stato di degrado... ma è solo una delle tante Alfa Romeo abbandonate.

Raggiungere Ferrara da Milano non è per niente complicato, qualche ora di macchina e gioco il fatto. Invece riuscire ad avere una segnalazione come questa è davvero qualcosa di speciale. È arrivata da un amico i cui nonni abitano in un piccolo paese a una ventina di chilometri dal capoluogo. Passando davanti a un fienile, il mio “scout” si è accorto di un’ Alfetta prima serie. È ridotta quasi a uno scheletro, buttata fra le bestie della fattoria e altre carcasse in stato di degrado e abbandono. Due giorni dopo la sua telefonata, con un altro amico, Riccardo, partiamo a bordo del suo fuoristrada. A marzo la primavera è alle porte, ma a metà strada siamo inghiottiti da una bufera di neve da non vederci nulla. L'atmosfera del viaggio diventa ancora più surreale... soprattutto se stai per scoprire un cimitero di vecchie Alfa Romeo abbandonate.Dulcis in fundo. Fortunatamente un’ora più tardi raggiungiamo il paese in questione e cominciamo a chiedere ai locali e nel bar. I primi tentativi sono fallimentari, ormai stiamo per demoralizzarci quando finalmente un contadino che passa di lì con il trattore ci indica una casa fornendoci anche un cognome e un indirizzo. La caccia alle Alfa Romeo abbandonate è ufficialmente aperta!

Obiettivo agganciato. Dopo qualche ora di perlustrazioni troviamo il proprietario, che esordisce con un “hai visto l'Alfetta?!”. Sì, l’ho vista: è una prima serie, grigia. “Venite a fare un giro con me, però prima andiamo a mangiarci qualcosa”. Si vede che da queste parti va così. A pranzo ci scambiamo i racconti sulle reciproche passioni e nel pomeriggio, finalmente, l’uomo ci accompagna in visita ai suoi cimiterini di auto sparsi fra tre località della zona: “Vedi, ho tanti terreni e cascine da queste parti, vedrai cose che ti faranno venire la pelle d’oca”.

A perdita d'occhio. La prima tappa è anche la più vicina, visto da fuori è una sorta di silo. Come apre il portone, mi si parano davanti una decina di Alfa Romeo GT Junior 1300 scalino e 1600 impilate l’una sull’altra, su grandi strutture di ferro simili a quelle degli autodemolitori. In un angolo, mi sembra di vedere… Sì! Quella è una GTA. Nel secondo capannone si agganciano all’amo una Volkswagen tipo 181, la “Pescaccia”, alcune Lancia Fulvia e qualche Fiat 500. Ed era solo l'inizio! A metà pomeriggio torniamo al centro del paese per alzare altre serrande. Ed ecco, dormienti sullo stesso tipo di strutture a castello, un’Alfa Romeo 1750, una Giulietta SS, una Giulia Super e una Fiat 124 Spider…  

Una morbosa passione per le GT. È chiaro: il signore in questione è uno dei più grandi accumulatori di Alfa Romeo abbandonate, soprattutto GT, che abbia mai incontrato. Ne ha veramente tantissime, alcune in ottime condizioni, altre da restaurare. Più quelle rinvenute in un boschetto lì vicino, ormai in condizioni irrecuperabili, perché giacciono lì da anni ricoperte dai rovi e dalle sterpaglie.

Non solo Alfa Romeo. Ma non è ancora finita: dopo un po' di strada arriviamo in un altro granaio, isolato in mezzo al niente, sperduto nella campagna ferrarese. Nel darci le chiavi spiega: " Io sono stanco, ho più di 80 anni, aprite e guardate tutto quello che volete". Tutto quello che guardiamo e che vogliamo sono una Iso-Rivolta Fidia accanto a una Spider Duetto “osso di seppia”,  un’altra Giulietta Sprint, una Giulietta Berlina e una Fiat 500 D prima serie, quella con le porte "a vento". Continuiamo ad aggirarci nel tesoro segreto di quel vecchio maniaco e saltano fuori altre Alfa Romeo abbandonate: un altro paio di Spider “osso di seppia”, una Giulietta Berlina e una serie di GT ferme da decenni, coperte di guano e di polvere.

Non in vendita. Cominciamo a fare i conti, ma giunta la sera l’anziano accumulatore seriale spiega di avere altre case e altre macchine sparse un po’ in tutta la zona. Almeno duecento, dice. Riccardo e io ci guardiamo, ma lui taglia corto: non è ancora il momento di vendere nulla. Forse lo farà un giorno, ma come per ogni collezionista o accumulatore morboso, quelle auto lo lasceranno solo dopo la sua morte. Chissà per dove, chissà per chi, oggi non per noi. Lo ringraziamo per aver potuto guardare macchine del genere, è stata comunque un’emozione grandissima. Il primo passo è sempre quello più importante e voglio tornarci per il secondo.

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Quando l’Opel Ascona diventò (anche) diesel

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Sul finire degli anni Settanta, in seguito al consenso ottenuto dalla Rekord a gasolio, la Opel introduce sul mercato l’Ascona diesel

Negli anni Settanta la Opel rappresenta una delle principali case automobilistiche impegnate nello sviluppo di motorizzazioni diesel. In quel periodo l’incremento progressivo della richiesta di modelli equipaggiati con propulsori a gasolio viene colta dalla Casa come un’interessante opportunità, per ampliare una gamma dedicata. Così, dopo un buon consenso iniziale la Rekord D aumentata di cilindrata (passando a 2.3 litri) e si colloca in una fascia di mercato superiore. Lo “spazio” lasciato vuoto viene invece colmato dalla più piccola Ascona diesel, che adotta il precedente motore Rekord 2 litri da 58 cv, abbinato a un cambio manuale a quattro marce e alla trazione posteriore.Basata sul know-how del modello. Nata nel 1970, cinque anni più tardi l’Ascona viene sottoposta a un importante aggiornamento. Il modello diesel (del 1978) rimane pressoché identico alla versione del ‘75. A otto anni dal debutto in società, la carrozzeria della vettura tedesca incomincia ad accusare l’avanzare dell’età. La sua linea non è ancora sorpassata, ma certi particolari incominciano ad apparire datati. L’abitacolo è sufficientemente capace. Posteriormente, però, il tunnel di trasmissione e le dimensioni del divano non consentono il comodo alloggiamento di una terza persona. Per quanto concerne l’impostazione generale dei comandi, l’impiego del motore diesel non cambia nulla. Del tutto normale la dotazione. Rispetto alla versione benzina sono state aggiunte la spia della riserva e quella del pre-riscaldamento. Anche in questo caso si ritrova la tipica finitura Opel, decisamente di buon livello, soprattutto considerando la classe di appartenenza. È una finitura corretta, magari poco appariscente ma indubbiamente robusta e ben curata nelle varie componenti.

La prova di Quattroruote. In seguito a una prova approfondita, la “nostra” rivista nel complesso promuove l’Ascona diesel. Le qualità del motore a gasolio della Opel sono ormai note da tempo, soprattutto per quel che riguarda le prestazioni. Si tratta di un’unità brillante, rapida a salire di giri e sufficientemente elastica. Pur non essendo molto potente risulta adatta al peso dell’Ascona, che mantiene anche il riuscito cambio della versione a benzina. Esso ha discrete precisione e velocità degli innesti e una corretta escursione della leva. Buona sia la posizione delle marce, vicine tra loro, che la scelta dei rapporti, caratterizzati da una terza lunga. Per ovviare al maggior carico sull’avantreno dovuto alla motorizzazione diesel, la Opel ha aumentato il rapporto di demoltiplicazione dello sterzo. All’atto pratico, le manovre in parcheggio sono quindi facili e leggere. In compenso, ci si deve dimenticare dell’ottimo confort offerto dalla Rekord. Innanzi tutto la rumorosità meccanica appare più elevata, perché l’insonorizzazione non è molto efficace. Inoltre, i limiti delle ormai anziane sospensioni posteriori si avvertono già su fondi stradali regolari. Sullo sconnesso poi la limitata escursione e la rigidità delle sospensioni diventano fastidiose soprattutto per i passeggeri posteriori, sottoposti (su tale fondo) a continui sussulti. In altre parole, anche sulla diesel le sospensioni costituiscono il punto debole del modello.

La quotazione attuale. Allo stato attuale il range di prezzi varia da un minimo di ottocento euro a un massimo di 2300 euro, per un modello in perfette condizioni.

Diteci la vostra. A questo punto, come di consueto, la parola passa a voi, perché siamo curiosi di conoscere il vostro parere in merito. In quel periodo, avreste scelto la diesel oppure vi sareste orientati su motori a benzina? Più in generale, l’Ascona vi convinceva? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.

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Fiat Panda 4×4: V.I.P. a St. Moritz

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Una ventina di "Very Important Panda", tutte rigorosamente 4x4, hanno aperto la stagione invernale in una delle località di montagna più esclusive: St. Moritz.

E chi l'avrebbe mai detto che una umile Fiat Panda 4x4 ci avrebbe fatto trascorrere un lussuoso weekend a St. Moritz! E invece, alla vigilia dei suoi primi quarant'anni, il capolavoro di Giorgetto Giugiaro o, se preferite, l'utilitaria minimalista per eccellenza, è stata la protagonista assoluta del fine settimana del 7 e 8 dicembre. A rispondere alla chiamata di ClassicDriver e del marchio italiano di moda maschile Larusmiani, una ventina di illustri e, soprattutto, orgogliosi proprietari di Panda 4x4.Icona del jet set. L'idea di partenza era quella di celebrare una delle vetture simbolo della cittadina alpina dell'Engadina, in Svizzera, l'automobile utilizzata sia dai locali, che apprezzavano (e apprezzano tuttora) le leggendarie doti di mobilità della Fiat panda 4x4 praticamente su ogni tipo di terreno, sia dagli "happy few" che a St. Moritz venivano (e vengono tuttora) a trascorrere le vacanze invernali. Uno su tutti, Gianni Agnelli, che ne possedeva addirittura una dozzina (una di queste è appena stata venduta all'asta, spuntando una quotazione record).

Pezzi rari. Al di là degli aspetti puramente mondani - il programma comunque prevedeva ospitalità e momenti adeguati al lifestyle dei visitatori abituali, dunque di altissimo livello: Kulm Country Club, Larusmiani Boutique, ristorante Chasellas, Suvretta House e, l'indomani, passo del Bernina - l'evento ha confermato quello che ormai non è più solo un'impressione e cioè che la Fiat Panda 4x4 è entrata dalla porta principale nel mirino dei collezionisti e dei cultori dell'automobile. Prova ne sia il fatto che a St. Moritz c'erano addirittura tre Panda 4x4 Edizione Limitata del 1985, una per ogni colore disponibile. E pure una rara Val d'Isère del 1987, quella di Duccio Lopresto, che i lettori di Youngtimer conoscono bene. E a St. Moritz c'era anche chi con la Fiat Panda 4x4 ha girato mezzo mondo, nel vero senso della parola. Come Ottavio Missoni, che ha raggiunto la "Panda society" in Engadina con la 4x4 con la quale nel 2018 ha partecipato al Mongol Rally, 15 mila chilometri in luna di miele.

Tutti giovani. L'altra evidenza emersa nel fine settimana svizzero è che il "pandismo" è un fenomeno che colpisce soprattutto i giovani: l'età media dei collezionisti di Panda è bassissima, se paragonata a quella che normalmente si riscontra negli altri raduni di marca o modello. E molti si sono avvicinati già in tempi non sospetti, quando la tuttofare torinese non era altro che una macchina vecchia. In ogni caso, gusti e preferenze sono già ben delineati e, se da un lato ci sono i puristi dell'originalità, dall'altro ci sono quelli che cedono alla tentazione di personalizzare la propria Panda. Come il giovane sindaco di St. Moritz, Christian "Jott" Jenny, che di Fiat Panda 4x4 ne possiede due, entrambe grigio metallizzato con un elegantissimo portapacchi di vimini, probabilmente un omaggio all'illustre Avvocato...

Fiat Panda 4x4 Meet - St. Moritz [foto di Carlo Di Giusto] - 1Ruoteclassiche
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