Nino Margiotta dopo gli ultimi successi nelle gare invernali, vince su anche la Coppa delle Alpi 2019 a bordo della sua Volvo PV444.
Nino Margiotta su Volvo PV444 firma il suo personalissimo tris nelle gare invernali: dopo aver vinto negli anni scorsi prima la Winter Marathon e poi la Winterace, il siciliano ha vinto anche la Coppa delle Alpi, regalando alla scuderia Volvo un bellissimo successo.Doppietta siciliana. Giovanni Moceri invece, dopo aver dominato la corsa per le prime tre tappe si ritrova sesto al traguardo ma con in tasca il titolo di Campione Italiano Grandi Eventi. Una doppia festa siciliana che di fatto chiude un'edizione della Coppa delle Alpi destinata in un certo senso a dare una svolta nel mondo delle gare invernali. A Ponte Di Legno la manifestazione firmata 1000 Miglia srl è stata accolta da due ali di folla: una testimonianza del fatto che i bresciani, anche se impegnati nelle località sciistiche più glamour della provincia, non sanno resistere al fascino delle auto storiche.
Il podio. Dietro a Margiotta (navigato da Guido Urbini) si sono piazzati a sorpresa Fontanella-Covelli su Porsche 356 del 1955, ritrovatisi secondi dopo la rivoluzione che ha colpito le parti alte della classifica nell'ultima giornata di corsa. Sul terzo gradino del podio invece si sono piazzati i bolognesi Zanasi-Bertini su Volvo Amazon del 1958, forse i più regolari nel corso della manifestazione.
Edizione da record. Per concludere, la Coppa delle Alpi vede le Volvo protagoniste dell' evento 2019, mandando agli annali un'edizione per certi versi monstre: 4 tappe, 1200 chilometri, 15 passi alpini, 119 rilevamenti tra prove classiche e prove di media quasi equamente distribuite. Infine, un dato puramente statistico ma che di fatto la dice lunga sull'affidabilità delle auto storiche anche in condizioni limite: delle 45 auto partite da Brescia nessuna è stata costretta al ritiro nonostante il percorso probante cui sono state costretto. Segno inequivocabile del fatto che il fascino delle auto storiche sia ormai direttamente proporzionale alla loro affidabilità.
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La 850 Special è una versione più brillante e con caratteristiche più sportiveggianti della 850 tradizionale
Sul finire degli anni Sessanta la Fiat presenta un’inedita declinazione della 850, denominata Special. Sotto il profilo estetico non presenta grandi stravolgimenti rispetto al modello convenzionale, bensì sfoggia una serie di particolari evoluti ad hoc: un profilo cromato lungo tutta la fiancata, cerchioni di tipo autoventilante con fori identici a quelli della versione coupé e profili cromati ai finestrini. Nella parte frontale è stato montato un fregio di plastica (anch’esso cromato) di maggiori dimensioni rispetto a quello della 850 normale. Dietro, oltre la scritta dedicata, sistemata sul lato destro della coda, compare una nuova cornice nella guarnizione di gomma del lunotto posteriore.Modifiche mirate. Anche gl’interni presentano la stessa impostazione della 850, con alcune modifiche specifiche. La plancia, per esempio, è ora completamente rivestita in materiale antiriflesso nero, anche nella porzione inferiore. Cambiato pure il disegno dell’imbottitura dei sedili, sia anteriori che posteriori. Nuovo pure il copri tunnel che incorpora una vaschetta porta-oggetti, non molto spaziosa ma comoda. Modificati i pannelli interni delle portiere e i due fianchetti a lato del sedile posteriore. Il volante è in metallo, con corona in finto legno e razze brunite forate. Nel complesso l’interno dà una sensazione di maggiore accuratezza, anche se sostanzialmente, per quanto riguarda il pianale e altri particolari, l’impostazione è quella dei modelli normali. Le principali modifiche tecniche che sono state fatte rispetto al corpo vettura della 850 normale sono costituite dall’adozione di un motore (di 843 cc) maggiormente performante (quello della Coupé): la potenza è infatti salita a 47 cv din. Al suo fianco la trazione posteriore e un cambio a quattro velocità, tutte sincronizzate. A completare l’upgrade il montaggio dei freni a disco all’avantreno.
La prova di Quattroruote. Il giudizio della “nostra” rivista, nel complesso, risulta positivo. Il motore è un motore brillante con caratteristiche sportive di erogazione della potenza. Non molto elastico, rumoroso agli alti regimi, è indubbiamente brioso e sopporta bene le lunghe tirate su autostrada. Lo sterzo, leggero da azionare in manovra, ha un riallineamento un po' scarso, mentre il cambio è ben sincronizzato e manovrabile. Vibra un poco su rilascio e sotto tiro, ma l’imbocco dei vari innesti è preciso. I freni a disco hanno indubbiamente migliorato la frenata, rapportandola bene alle aumentate prestazioni della vettura. Buona la tenuta di strada. Dulcis in fundo, grazie all’aumentata imbottitura dei sedili il confort è migliorato ma, stando alle osservazioni del giornalista, sarebbero opportuni schienali regolabili di serie per ottenere una posizione più confortevole della schiena.
La quotazione attuale. La valutazione attuale della 850 Special ha un range di prezzi che va da un minimo di 1500 euro a un massimo di 4500 euro, per un esemplare in perfette condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della 850 Special? L’avreste comprata oppure avreste optato per un’altra declinazione o, addirittura, vi sareste orientati su un modello di un altro marchio? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
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Rievoca l’atmosfera suggestiva della corsa del ’52, vinta dalla prima Mercedes 300 SL Gullwing. Personalità classica, funzioni tipicamente sportive
L’edizione del’52 della lunga maratona francese spicca soprattutto per l’esordio (con vittoria grazie alla bravura di Hermann Lang e Fritz Riess) della nuova Mercedes W194: la prima 300 SL “Ali di gabbiano” dà il via all’epopea della gloriosa Gullwing, valente auto da corsa ma anche fascinosa Gran Turismo (la successiva serie W198) per lo “struscio” nelle località principi della Dolce Vita.
Pierre Levegh sfiora la vittoria storica. In gara le Ferrari abbandonano i giochi in poche ore, Aston Martin schiera le DB3 S Spider ma viene estromessa dai giochi (l’onore è salvo grazie all’ottimo 7° posto di una DB2 privata), Lancia fa un ottimo 6° e 8° con due esemplari della nuova B20. La corsa è nei libri di storia anche per la prestazione maiuscola di Pierre Levegh. Il pilota francese, a bordo della sua Talbot-Lago T26 Gran Sport, affronta da solo la massacrante maratona e arriva a un passo da una strepitosa vittoria. È costretto al ritiro solo nell’ultima ora per rottura del motore.
Cronografo classico. Il giovane marchio tedesco Vintro dedica alla 24 Ore del ’52 il Le Mans Chronograph, modello sportivo contraddistinto da uno stile volutamente retrò che rievoca quell’affascinante atmosfera. Si presenta con una personalità molto classica e uno stile che guarda all’epoca in cui l’automobilismo sportivo era vissuto ancora con i mocassini ai piedi. E al polso, naturalmente, un classicissimo cronografo sportivo ed elegante, con cui effettuare importanti misurazioni durante la gara.
Tachimetro e telemetro, omaggio al passato. La cassa in acciaio (disponibile anche con finitura in oro giallo o oro rosé) ha un diametro di 40 mm e 15 di spessore. Ha la lunetta molto sottile e lancette alpha per esaltare l’anima retrò. La versione meccanica monta un movimento Seagull ST1940 a carica automatica; ha una frequenza di oscillazione di 21.600 alternanze l’ora e fornisce circa 36 ore di autonomia. Sul quadrante (bianco o nero, con vetro zaffiro lato quadrante e lato fondello) visualizza ore, minuti, secondi continui alle 9 e funzione cronografica: minuti crono alle 3 e secondi crono centrali. La sua destinazione per il polso sportivo è accentuata dalla presenza di scala tachimetrica sulla parte più esterna del quadrante e scala telemetrica sul contatore più interno con indicazione in colore rosso. È corredato da bracciale in acciaio con maglia tipo Oyster, cinturino in tessuto Nato o in pelle. Il prezzo è di 599 euro ma c’è anche con movimento al quarzo (249 euro).
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La nuova versione speciale del diver dedicata a 007 è quella con il più alto coinvolgimento dell’attore principale. Nei negozi il prossimo febbraio 2020
Il prossimo aprile uscirà nelle sale No time to die, 25esimo film della saga di 007, interpretato da Daniel Craig. L’agente segreto più famoso del mondo nato nel ’53 da Ian Fleming indosserà, naturalmente, un Omega Seamaster. Per l’occasione la Casa di Bienne presenta la serie speciale (la 12esima) 007 Edition del suo noto modello da immersione. Mai come in questo caso un Omega Seamaster per l’agente segreto britannico è stato sviluppato in così stretta collaborazione con il suo indossatore: l’attore Daniel Craig e la Casa di produzione Eon Productions, infatti, hanno avuto un ruolo fondamentale nella definizione di questa versione.
Come lo vuole Daniel Craig. Il processo di creazione ha tenuto in attenta considerazione la personale esperienza dell’attore ma anche le possibili condizioni in cui una figura come James Bond potrebbe trovarsi a utilizzare un orologio con queste caratteristiche. Il risultato, perciò, è un modello adeguato per un utilizzo in tutte le condizioni, anche in uno scenario di tipo militare. Daniel Craig, in particolare, chiesto un orologio leggero da indossare e con un design vintage. La cassa in titanio grado 2 ha un diametro di 42 mm. Questa varietà di metallo è stata utilizzata anche per il bracciale in maglia milanese dotato di fibbia regolabile.
Stile “militare che guarda indietro”. La leggerezza complessiva dell’orologio è esaltata dall’utilizzo di alluminio tropicale marrone per la lunetta e il quadrante. Queste due parti hanno uno stile classico per effetto di Super-Luminova su scaletta graduata della ghiera, lancette e indici. Il fondello (con chiusura Naiad Lock) riporta incisi numeri e caratteri tipici dell’ambiente militare: “0552” identifica il personale di Marina, “923 7697” identificano un orologio da immersione, “A” un orologio con corona a vite e “007”, naturalmente, è il codice identificativo di James Bond. “62”, infine, corrisponde all’anno del primo film della saga. Il Seamaster 007 Edition è equipaggiato con il calibro 8806, meccanico-automatico dotato di scappamento coassiale, certificato di cronometro e riserva di marcia di 55 ore. Il quadrante, con vetro zaffiro, riporta ore, minuti e secondi con lancette anticate. È corredato da bracciale con maglia milanese o banda in tessuto Nato. Il Seamaster Diver 300M 007 Edition sarà nelle boutique Omega a partire dal prossimo febbraio e non sarà una serie limitata. Prezzo: 8.800 euro.
Al fine di offrire prestazioni superiori alla 480, verso la fine degli anni Ottanta, la Volvo decide di sovralimentare il modello
Fin dal suo debutto in società la Volvo 480 ha fatto molto discutere, specialmente per la sua linea inconsueta. I motivi del suo gradimento sono da attribuire alla filosofia del progetto e più in generale a quella del marchio che, da sempre, s’ispira a canoni fin troppo tradizionali. In questo modello, che non rappresenta un punto di rottura con il passato, bensì la sua continuazione secondo una nuova immagine la Volvo ha riversato l’esperienza maturata sulle grandi berline e station. Il know-how del modello. Presentata nel 1988, la versione turbo, all’atto pratico, è tale e quale alla versione ES del 1986, ad eccezione dei paraurti verniciati nello stesso colore della carrozzeria. Vista internamente la turbo rivela un abitacolo giudicato considerato all’unisono (dalla stampa specializzata) come uno dei più belli e funzionali realizzati di quel periodo. C’è posto in abbondanza per quattro persone, e anche quelli che siedono dietro hanno a disposizione una vera e propria poltroncina, accogliente e confortevole. Più che buona la dislocazione dei vari comandi. Il quadro strumenti è una vera e propria selva di indicatori, spie e display di vario genere, ma tutti di funzionamento intuitivo e di lettura immediata. Di alto livello le finiture e la dotazione di accessori, decisamente abbondante.
La tecnica. La Casa svedese, che in quell’epoca vantava una sufficiente esperienza dei motori turbo a benzina, al fine di assecondare una serie di spinte commerciali che richiedevano al modello 480 prestazioni più elevate, monta la versione sovralimentata del 1800 Renault. La taratura del turbo, come su altri modelli del marchio, è però piuttosto morbida e quindi l’incremento di potenza risulta limitato rispetto alla versione aspirata: 11 cv in più, per un totale di 120 cv. L’adozione della turbina, in compenso, ha influenzato positivamente l’erogazione della coppia, in grado di raggiunge 176 Nm a 1800 giri e mantenersi costante lungo un ampio arco di utilizzo. Al fianco del motore turbo, la trazione anteriore e il cambio manuale a cinque rapporti.
La prova di Quattroruote. Il test effettuato dalla “nostra” rivista attribuisce una valutazione alta (cinque stelle) all’estetica, alla strumentazione e alle finiture. Votazione buona anche per quel che riguarda il comportamento del cambio, dotato di innesti brevi e piuttosto precisi, e dello sterzo, sensibile e piacevole nell’uso cittadino. Per contro, il motore non eccelle (tre stelle). Rispetto alla versione aspirata la potenza è aumentata di poco, sebbene l’erogazione risulti decisamente migliorata. Il campo ottimale di utilizzo è compreso tra i 2 e i 5mila giri/min.
La quotazione attuale. La valutazione odierna per una Volvo 480 turbo va da un minimo di duemila euro a un massimo di seimila euro, per un modello in perfette condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate di questo modello? L’avreste comprato? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete un’interessante storia sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it
Nel ‘65 debutta la Fulvia 2 C, vettura che differisce dalla versione tradizionale per una serie di accorgimenti tecnici
Al Salone di Torino del 1965 la Lancia presenta la Fulvia 2 C, dove il suffisso “2 C” sta per “due carburatori”. Questa vettura si differenzia dalla versione convenzionale principalmente per una serie di accorgimenti meccanici, volti a migliorare le prestazioni e la guidabilità del modello. A bordo è stato aggiunto il contagiri alla strumentazione, in abbinamento a una maggiore ergonomia dei sedili. Non solo: l’impianto di areazione e riscaldamento è stato migliorato, attraverso l’impiego di condotti maggiorati e un ventilatore potenziato.La tecnica. L’incremento della potenza nel motore, passata da 60 a 71 cv, porta in dote una serie di variazioni meccaniche. Tra queste l’adozione di due carburatori doppio corpo (Solex 32 PHH) con farfalle coassiali, l’aumento del rapporto di compressione e nuovo collettore d’aspirazione e inedito filtro dell’olio a sostituzione rapida integrale. Negli organi di trasmissione è stato modificato il comando della frizione, che qui è di tipo meccanico flessibile anziché a tiranteria rigida. Sono stati variati anche i rapporti di trasmissione al cambio. Per migliorare la silenziosità di marcia e ridurre le vibrazioni sono stati utilizzati attacchi elastici tra il propulsore e il telaio, e tra questo e la scocca. Infine, l’impianto franante sfrutta una nuova pompa, con serbatoi di alimentazione separati.
La prova di Quattroruote. La pagella della Fulvia 2 C, redatta dalla “nostra” rivista in seguito a un approfondito test, vanta giudizi decisamente buoni. Piace il motore, abbastanza potente e brioso, anche se piuttosto rumoroso. Valutazioni elevate anche per la tenuta di strada, ritenuta più che buona, per il cambio, dotato di una soddisfacente manovrabilità, e per lo sterzo, con un diametro di sterzata notevole. Nei “contro” evidenziati dal giornalista, la pedaliera scomoda, perché disassata, e la rumorosità alle alte velocità.
La quotazione attuale. La valutazione odierna di una Fulvia 2 C ha un range di prezzi che va da un minimo di 2800 euro a un massimo di 8300 euro, per un modello in perfette condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate di questa auto? All’epoca era di vostro gradimento oppure preferivate altri modelli? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
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I passanti di Avenue Mitterand a Ivry-sur-Seine (Francia) hanno spesso gli occhi rivolti al cielo. Perchè? Presto detto, per via della Mercedes-Benz W126 Classe S "appesa" alla facciata del parcheggio del Garage Mannes, al civico 36.
Anche il quotidiano francese "Le Parisien" parla dell'installazione di Dimitri Tsykalov, montata il 24 ottobre ed inaugurata lo scorso 9 dicembre: un'auto, una Mercedes-Benz W126 Classe S, ancorata a testa in giù con una sospensione a forma di gruccia appendiabiti. Maniera tanto singolare quanto efficace per pubblicizzare il know-how del Garage Mannes, un'officina specializzata da più di trent'anni in vetture tedesche, in particolare Mercedes-Benz e Smart.L' artista. Dimitri Tsykalov, classe 1963 è un artista russo formatosi all'Istituto Poligrafico di Mosca e residente a Parigi.
Le sue opere spaziano dalle arti visive alla scultura, ciò che caratterizza maggiormente i suoi lavori è la scelta dei materiali. Tsykalov utilizza materie biologiche come legno, frutta, ortaggi e carne animale. Le composizioni, dal forte impatto visivo, mirano a sconvolgere lo spettatore. L'intento è denunciare ciò che maggiormente mette a rischio l'umanità e la natura: l'uomo stesso.
L' opera. Per l' installazione è stata scelta una Mercedes-Benz W126 Classe S in colore Nautic Blau (cod. 929), l'auto priva di interni e meccanica è stata ancorata alla facciata del parcheggio del Garage Mannes in Avenue Mitterand 36 a Ivry.
"Ha svolto bene il suo lavoro ma ha fatto il suo tempo. E poi, non è meglio lei di un normale manifesto pubblicitario?" raccontano dall'officina. I proprietari avevano pensato a questa trovata nel 2013 ma erano necessari dei tempi tecnici per progettare una sospensione che garantisse la tenuta dell' auto (che priva di interni e meccanica pesa circa una tonnellata) oltre a tutti i permessi necessari per l'installazione su una via pubblica. E' valsa la pena aspettare, considerando tutti i curiosi che la fotografano e la notorietà mediatica che ne è scaturita.
I precedenti. Quella della Mercedes-Benz "appesa" a quanto pare è proprio una mania della Mannes, all'interno del salone è infatti presente un altro esemplare di W126, rosa, ancorato a una parete e utilizzato come "tela" da dipingere.
In Francia sembra quasi una tradizione consolidata, infatti anche altri artisti hanno scelto il tema automobili in sospensione: Royal de Luxe (Jean-Luc Courcoult) a Nantes, ha inserito una Fiat 500 vermiglia tra le installazioni sulle pareti verticali degli edifici nel quartiere Bellevue durante la rassegna intitolata "Monsieur Bourgogne"; mentre Benedetto Bufalino è noto per utilizzare automobili come base di partenza per le sue opere, tra le quali ricordiamo l'Audi 80 e la Peugeot 406 usate come lampioni urbani.
Il modello. Ricorrono quest' anno i 40 anni della Mercedes-Benz W126 Classe S, presentata all'IAA di Francoforte nel settembre 1979, è un modello molto importante per Mercedes-Benz e per l'intera produzione automobilistica, essendo la prima auto europea ad offrire l'airbag. Su questo tema è necessario aprire una piccola parentesi, infatti sebbene Mercedes-Benz lavorasse al progetto già dalla fine anni '60, altri costruttori proposero ufficialmente dei dispositivi analoghi: un primo cuscino d' aria venne presentato sulla showcar di Pietro Giacobbi Synthesis 2000 , disegnata da Tom Tjaarda su base Lancia Flavia (1970) e nel 1973 sulla Oldsmobile Toronado comparve (a richiesta) un primordiale airbag, introdotto successivamente anche sulle Buick e Cadillac di alta gamma. La scarsa affidabilità del dispositivo sui modelli GM determinò un ritiro prematuro lasciando alla Stella a tre punte il "primato"per questa dotazione di sicurezza che a distanza di quarant'anni è divenuta standard su tutte le automobili stradali.
Stile italiano, DNA teutonico. Lo stile della W126, ammiraglia Mercedes-Benz, venne affidato a Bruno Sacco. Il designer friulano disegnò una vettura molto slanciata per l'epoca, scevra dei"barocchismi" della precedente W116: i paraurti avvolgenti in poliuretano e i montanti posteriori molto inclinati contribuirono ad ottenere un'aerodinamica da record, con un Cx pari a 0,36, segnava il valore più basso tra quello delle berline coeve. Anche dal punto di vista dinamico la Classe S si confermava leader del segmento superiore, potendo contare anche sull'ABS, offerto di serie.
Presidenziale per vocazione. La W126 è stata inoltre tra le primissime auto progettate al CAM/CAD, segnando l'avvento dell' informatica nella progettazione automobilistica. Una speciale 500SEL Guard dotata di tetto apribile e poltrona singola venne donata a Papa Woijtyla nell' estate del 1985. Altri illustri personaggi che hanno viaggiato su una W126 sono: Nelson Mandela, Presidente della Repubblica Sudafricana e Premio Nobel per la Pace, alla sua liberazione viaggiava su una 500SE rossa (cod. 566 Signal Red) così come il Presidente della Repubblica Federale di Germania, Helmut Kohl, tra i protagonisti della Riunificazione della Germania. La sua 500 SEL, in dotazione alla Cancelleria della Repubblica Federale di Germania (oggi custodita al Museo Mercedes-Benz di Stoccarda) ha all' attivo ben 650.000 km, un chilometraggio notevolissimo per qualsiasi auto ma a dir poco impressionante nel caso di un' auto di rappresentanza.
"S" come sicura. Citare la lunghissima lista di tutti personaggi correlati a questo modello e le apparizioni cinematografiche della Mercedes-Benz W126 è quasi impossibile. Però è importante ricordare un aneddoto drammatico della cronaca nostrana, accaduto a Roma nel 1993 durante la tragica stagione delle stragi di Mafia e noto come "attentato di Via Fauro": al passaggio della vettura su cui viaggiavano il conduttore Maurizio Costanzo e l' attuale moglie Maria De Filippi venne fatta esplodere una Fiat Uno che distrusse una 60ina di vetture parcheggiate, danneggiando i palazzi e persino una scuola adiacente. Fortunatamente non ci furono vittime e tutti gli occupanti uscirono incolumi dalla vettura, una Mercedes-Benz W126 280SE (anche questa di colore blu scuro) che tra l' altro era sprovvista di blindatura...
Numeri. Le poche critiche iniziali mosse all' eccessiva sobrietà del modello svanirono presto: tra il 1979 ed il 1991 la vettura venne prodotta in 818.000 esemplari, numeri che la rendono la Classe S più venduta di sempre. Dato significativo se consideriamo il costo non indifferente che avevano questi modelli. Non tutti sanno che la Mercedes-Benz W126 Classe S venne prodotta anche a East London (Sudafrica) dove la produzione è continuata per altri 3 anni, fino al 1994, parallelamente alla successiva W140. Proprio da questo stabilimento uscì, nel luglio del 1990 la 500SE per Nelson Mandela. Dalla berlina derivò la bellissima coupè "SEC" (1981), opera di Sacco anche questa e considerata una delle icone indiscusse degli anni '80.
Verso la metà degli anni Sessanta la Peugeot presenta la 204, una vettura che propone i moderni schemi costruttivi dei modelli più avanzati, ovvero motore anteriore trasversale e trazione anteriore. Il disegno della carrozzeria, invece, è affidato alla sapiente matita di Pininfarina
Sotto il profilo estetico la 204 si discosta dalla tendenza stilistica delle vetture di questo tipo. Confrontata con la Primula o la Mini Minor, l’aspetto della Peugeot 204 richiama decisamente quello di una berlina e ricorda, seppur vagamente, anche quello della BMC 1800, altra trazione anteriore disegnata da Pininfarina. Nel complesso, le sue linee risultano, indubbiamente, gradevoli e riuscite. Il frontale, caratterizzato da un cofano “piatto” e dall’ampia calandra a maglia rettangolare, che incorpora i due fari rettangolari e le luci di direzione e posizione, emana una personalità di carattere. Le fiancate, dalle linee pulite ed essenziali, conducono l’attenzione dell’osservatore al posteriore. Da tale angolazione, gli elementi stilistici di maggior rilievo sono rappresentati dai gruppi ottici di forma ovale, abbinati a un vistoso paraurti a lama.Interni essenziali. Il razionale disegno di questa vettura ha permesso un funzionale sfruttamento dell’abitacolo. Lo spazio per gli occupanti non manca, così come il confort, decisamente soddisfacente. Trattandosi di un’utilitaria, però, lo standard delle finiture logicamente non eccelle come sulle “sorelle” maggiori. Stonano, in particolar modo, l’utilizzo di un ordinario tappeto in gomma per ricoprire il pavimento e il rivestimento del soffitto e della plancia. Quest’ultimi trasmettono una sensazione di provvisorietà. In compenso è ben rivestito, in moquette, il vano bagagli. La strumentazione è semplice ed essenziale, ma ben raccolta e visibile. La dotazione non particolarmente corposa.
La tecnica. La 204 presenta interessanti soluzioni per quanto riguarda il propulsore e la disposizione degli organi meccanici. Il motore, un 1130 cc “superquadro” completamente in alluminio eroga 53 cv din, è disposto trasversalmente, secondo la formula BMC-Issigonis (soluizione inedita in Francia), ed è inclinato di 20° in avanti. Al suo fianco un cambio manuale a quattro rapporti, tutti sincronizzati, e la trazione anteriore. Le sospensioni all’avantreno ricordano lo schema McPherson: bracci triangolari inferiori, molle elicoidali ed ammortizzatori idraulici telescopici. Sospensione posteriori anch’esse a ruote indipendenti. L’impianto frenante è di tipo misto (a disco davanti, a taburo dietro) e per evitare il bloccaggio delle ruote posteriori è stato installato un compensatore di frenata.
La prova di Quattroruote. La 204, sottoposta a un’attenta esamina da parte della “nostra” rivista, ha ottenuto una serie di appunti sull’abitacolo e le sue componenti. In compenso, il giudizio del suo comportamento su strada è risultato di prim’ordine, a partire dal motore. Le qualità più apprezzate di questa unità sono l’elasticità, la silenziosità e la prontezza nel salire di giri. Solo la ripresa è un po' brusca, specie alle basse e medie velocità. Sterzo troppo leggero, cambio ben sincronizzato e freni poco progressivi ma resistenti.
La quotazione attuale. La valutazione odierna di una Peugeot 204 berlina, prodotta dal 1965 al 1976, ha un range di prezzi compreso tra un minimo di 2500 a un massimo di 7500 euro, per un esemplare in perfette condizioni.
Diteci la vostra. A questo punto, come di consueto, la parola passa a voi. Siamo curiosi di conoscere la vostra opinione in merito a questo modello. L’avreste comprato oppure vi sareste orientati su vetture di altri marchi? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
Prototipi, one-off, veicoli poco conosciuti e spesso al centro di storie uniche. Sono 12 le chicche di solito conservate “dietro le quinte” ed esposte durante la mostra "Backstage" al Museo Storico Alfa Romeo fino a gennaio 2020.
Quando è stata presentata a Monza nel 1962, la Giulia rappresentava un concentrato di novità per la meccanica ma soprattutto per la scocca, per la prima volta aerodinamica (lo slogan era “Disegnata dal vento”). Non solo, era anche a deformazione progressiva, capace di superare i crash test introdotti molti anni dopo. Queste novità hanno richiesto un lungo sviluppo e un collaudo complesso, a volte fatto di nascosto e a volte su strade aperte. Il museo di Arese conserva uno dei primi prototipi – chiamato “prototipo Jugoslavia” perché i collaudi venivano fatti all’estero, dove erano meno fotografati – nel quale vive già la meccanica completa della Giulia e con un pennarello sul radiatore è anche annotata la data: 1959, tre anni prima della presentazione. Per vedere da vicino questa creazione, invece, la data da ricordare è il 17 gennaio 2020, quando la mostra al Museo Storico Alfa Romeo di Arese “Backstage”, di cui il pezzo fa parte, si concluderà dando il via ai nuovi incontri della serie dedicata ai tesori inediti della collezione.I gioielli svelati. Ancora prima che una rassegna, “Backstage” è infatti il nome di un ciclo di eventi che, al ritmo di un weekend al mese, nel corso del 2019 ha riscoperto, rimesso in pista e presentato al pubblico 12 rarità assolute di solito non esposte. Sempre con conferenze di approfondimento, materiali del Centro Documentazione del museo e, quando possibile, con testimonianze dirette di ex dipendenti Alfa Romeo e di appassionati. In tutto, dodici capitoli della storia Alfa, riuniti ora nella mostra visitabile da sabato 7 dicembre.
Dall'Alfa 6 di Woytila alla “Matta” della pace. Tra gli oggetti esposti in “Backstage” si può trovare persino una Darracq 8/10 HP con la quale, nel 1910, è partita la produzione dello stabilimento del Portello che ha dato origine alle officine A.L.F.A. C’è poi la 164 Q4 trasformata in pick-up in dotazione ai Vigili del Fuoco e di stanza a Balocco, il centro sperimentale prove di Alfa Romeo; oppure la 1900 M “Matta” che nel 1967 partì, insieme a una spedizione di quattro Giulia Super, per un viaggio di 27mila chilometri attraverso 24 Paesi portando un messaggio di pace con il Raid della Fratellanza e della Pace. Ancora, l'Alfa 6 bianca dalla speciale blindatura allestita per la visita di papa Giovanni Paolo II a Milano.
Anticipatori di tendenze. E’ stato esposto al Mo.Ma. di New York e ha anticipato molte tendenze dell’automobilismo, il New York Taxi proiettato da Giorgetto Giugiaro su pianale dell’Alfa Romeo F12. C’è poi il prototipo della Tipo 103, avveniristico progetto di vetturetta degli anni Cinquanta. Sotto i riflettori anche il motore Wankel e il C.E.M., Controllo Elettronico Motore, eccellenza tecnologica di inizio anni Ottanta che ha visto Alfa Romeo in prima linea nell’applicazione dell’elettronica all’automobile. Ancora, lo “spaccato” dell’Alfetta che permette di capire il funzionamento di tutti i componenti, dalla scocca alle sospensioni, dal motore “bialbero” al cambio all’intera trasmissione e impianto frenante.
Non solo ruote. Chiudono l’esposizione alcuni oggetti che testimoniano l’impegno del Biscione non solo in campo strettamente automobilistico: l’avveniristico prototipo di cucina progettato durante la Seconda Guerra mondiale e mai entrato in produzione, e la serie di sculture d’autore “Alfa Romeo ai suoi piloti”, venti trofei realizzati dal 1963 al 1982 dai più grandi artisti italiani.
Il calendario 2020. Chiusa l'esposizione, si riaccendono le luci di “Backstage” con gli appuntamenti del nuovo anno. Stesse modalità e stessa capacità di sorprendere degli appuntamenti precedenti. Sempre per un weekend al mese. Gli oggetti saranno esposti nel Museo la domenica pomeriggio e verranno presentati al pubblico insieme a documenti e immagini che ne raccontano la storia e gli aspetti più curiosi. Ecco il programma:
19 gennaio
Popoli-Alfa Romeo
Campione anche sull’acqua: la motonautica Alfa Romeo
16 febbraio
Alfa Romeo Diva
Dall’Elasis a Villa d’Este per un concept da sogno
15 marzo
Spider Monoposto concept
La curiosa versione estrema della Spider 916
19 aprile
164 Q4
Il sezionato dell’ammiraglia a trazione integrale
17 maggio
F3
L’epopea del Bialbero Alfa Romeo fra le “piccole” monoposto
21 giugno
20/30 ES
La prima vettura con marchio Alfa Romeo
19 luglio
Pit Stop in 22 secondi
I retroscena dell’Alfetta che domina l’esordio della F1
30 agosto
415 T
La controversa storia del 4 cilindri turbo F1
20 settembre
Boxer Ibrido
In anticipo sui tempi, l’Alfa Romeo “elettrifica” la 33
18 ottobre
Compressore A.L.F.A.
Le originali soluzioni sviluppate durante la Prima guerra mondiale
15 novembre
Arna
La storia della piccola Alfa che parla giapponese
13 dicembre
Formelle di San Martino
Le terracotte che raccontano la vita di una fabbrica-modello
L'inizio è alle ore 15, ad eccezione dei mesi di luglio, agosto e settembre, quando seguiranno la conclusione dei GP, trasmessi in diretta dalla sala Giulia.
Per maggiori informazioni vi invitiamo a visitare il sito del Museo Alfa Romeo.
Si ispira ai modelli sportivi da immersione prodotti negli Anni 70. Ha uno stile retrò e dimensioni che strizzano l’occhio al passato. Solo 1.975 esemplari
Alsta conobbe un buon successo fino alla fine degli Anni 70. I suoi orologi sportivi erano indirizzati a polsi dinamici e che richiedevano un’armonica amalgama di stile e robustezza. La Casa, però, non riuscì a sostenere il grande sviluppo del mercato del quarzo e nel 1982 fu costretta alla chiusura. Nel 2014 l’attore scozzese Angus MacFadyden ha fatto riaccendere i riflettori sul brand e nel 2017 è nato l’Autoscaph II, riedizione dello storico modello nato nel 1970 e reso famoso dal suo “cammeo” nell’universo cinematografico. Fu infatti indossato da Richard Dreyfuss nel film Lo squalo (1975). L’attore, oscar nel ’78 per Goodbye amore mio, impersonava l’oceanografo Matt Hooper. Dopo l’Autoscaph III del 2018, l’ultimo modello del marchio inglese è il Superautomatic. È limitato a una produzione limitata di 1.975 esemplari. Viene interamente assemblato in svizzera ad eccezione del movimento, fabbricato in Giappone.
Informazioni utili. La sua personalità si rende subito evidente dallo stile, una sapiente unione di forme sportive e proporzioni classicheggianti senza essere esagerato nelle dimensioni. La cassa in acciaio 316 L con finitura spazzolata ha un diametro di 38 mm ed è provvisto di corona a vite. La lunetta è equipaggiata con ghiera girevole unidirezionale integrata con contaminuti dalle 12 alle 3 e conta-ore per un giro completo. Il quadrante opaco presenta indici applicati di stile anticato e rivestiti con Super-Luminova C3. Visualizza ore, minuti, secondi centrali e datario nella piccola finestrella alle 3. Il Superautomatic monta un movimento Seiko NH35 con 21.600 alternanze l’ora e 42 ore di autonomia. È protetto da vetro zaffiro anti riflesso ed è impermeabile fino a 300 metri. Il fondello serrato riporta il numero dell’esemplare. È Corredato da cinturino in gomma. Prezzo: 950 euro.
Verso la metà degli anni Sessanta l’Alfa Romeo presenta la Giulia Super, una vettura pensata per accentuare il piacere di guida e, al tempo stesso, offrire un buon confort di marcia
La Super mantiene invariate le caratteristiche estetiche della TI. In alcuni particolari, però, si differenzia dalle altre versioni. La parte superiore della calandra, per esempio, fa parte del coperchio del cofano: alzando questo, lo scudetto Alfa rimane diviso in due elementi. Sotto alla battuta inferiore delle portiere spiccano dei profili cromati, mentre a lato dei due montanti del padiglione sono stati applicati due stemmi dell’Alfa su fondo dorato. Spariti i profili (cromati) che incorniciavano le luci di coda, variata la grafica delle scritte: ora riportata in corsivo. Queste le principali differenze esterne con la TI. Poche, e tali da lasciare sostanzialmente invariata la linea caratteristica della vettura.Interni aggiornati. I cambiamenti di maggior rilievo riguardano l’abitacolo, rivisitato in alcuni suoi componenti. Sedili più comodi e imbottiti si combinano con un rivestimento del padiglione in finta pelle traforata. Il volante, di tipo sportivo, è a tre razze metalliche, con corona in plastica. Ridisegnata la plancia rivestita in legno, per assecondare al meglio i gusti e le tendenze dell’epoca. La strumentazione, non più a sviluppo orizzontale, è composta da due quadranti circolari e varie spie luminose. Inoltre, tra i due quadranti sono alloggiati un orologio e la spia degli indicatori di direzione. La strumentazione è soddisfacente, così come le finiture.
La tecnica. La struttura della Giulia Super è pressoché identica a quella della TI. Mutati i dati di erogazione del motore e, di conseguenza, le prestazioni. La Super monta l’ormai collaudato 4 cilindri in linea di 1570 cc, doppio albero a camme in testa. A differenza del propulsore della TI, che monta un carburatore doppio corpo Solex (32 PAIA 5), la Super adotta due carburatori doppio corpo orizzontali Webwer 40 DCOE4 oppure due Solex 40 PHH/2. La potenza è di 112 cv sae a 5500 giri/min contro i 106 della TI. In termini di performance, la vettura effettua lo sprint da 0 a 100 km/h in circa 11 secondi (11,2 per l’esattezza) e raggiunge una velocità massima di 177 km/h.
La prova di Quattroruote. La pagella stilata dalla “nostra” rivista mette in evidenza un motore brioso e potente, abbinato a un cambio dalla manovrabilità discreta e uno sterzo pronto, con caratteristiche sportive. Freni potenti e resistenti, tenuta di strada soddisfacente e confort di marcia discreto, leggermente limitato dalla rigidità del molleggio e dalla rumorosità.
La quotazione attuale. La valutazione odierna per una Giulia Super prodotta dal 1965 al 1972 ha un range di prezzi che va da un minimo di 10500 euro a un massimo di 24000 euro, per un modello in perfette condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Giulia Super? Che ricordi vi suggerisce? Ne avete una oggi? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, come da consuetudine, se avete un racconto particolarmente interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
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Verso la metà degli anni Settanta la Leyland-Innocenti compie un’impresa davvero ardua: realizza una nuova Mini, riuscita quanto la precedente, utilizzando la stessa meccanica della versione uscente
La Mini, nata nel 1959, rappresenta fin da subito un’auto fondamentale nell’evoluzione delle utilitarie. La sua impostazione meccanica, assolutamente originale per l’epoca, mette in atto una grande rivoluzione. Cambiare la filosofia e l’impostazione di un modello di successo non è mai semplice, perché si rischia di non eguagliare i consensi ottenuti in precedenza. Un’asserzione valida tanto per la meccanica quanto per l’estetica, che L’innocenti e Bertone decidono di rivisitare. Presentata ufficialmente al Salone di Torino, nel 1975, la nuova Mini è prodotta in due versioni, 90 e 120, rispettivamente con cilindrate di 1 e 1,3 litri.Look aggiornato. Le sue linee vengono così reinterpretate, però, senza intaccare la tradizionale disposizione dei principali organi meccanici e le misure fondamentai d’ingombro. Si passa da linee tondeggianti a forme maggiormente decise e squadrate: cofano motore molto inclinato verso il basso, fiancate sono quasi dritte e coda tronca, con sbalzo minimo e portellone. Nel frontale, indubbiamente personale, svetta la calandra in plastica nera, nella quale sono incorporati anche proiettori quadrati e indicatori di direzione dalle dimensioni generose. L’elemento caratteristico del posteriore, invece, è il piccolo spoiler sul tetto.
Interni migliorati in alcuni dettagli. Nella nuova versione lo spazio a disposizione in larghezza è migliorato. Tre passeggeri dietro, comunque, ci stanno a fatica. La plancia è caratterizzata da due cavità, nelle quali si trovano la strumentazione e il vano portaoggetti. Al centro, in rilievo, i comandi per la climatizzazione. Il grado di finitura, nel complesso, si addice al tipo di vettura. Finta pelle sui sedili, sul rivestimento delle portiere e sulle fiancate. Buona la dotazione di serie, accettabile lo spazio del bagagliaio con lo schienale ribaltato.
La tecnica. L’impostazione meccanica è ancora quella che ha reso famosa la Mini sin dal ‘59: confermate, pertanto, la trazione anteriore con il motore trasversale e le sospensioni a quattro ruote indipendenti con elementi elastici in gomma. Attorno a tale schema, però, l’Innocenti ha introdotto una serie di modifiche: i freni, per esempio, ora sono a disco all’avantreno (senza servofreno) e le ruote hanno un diametro maggiore, 12 pollici invece di 10. Il motore è il noto quattro cilindri in linea di 998 cc a corsa lunga. In pratica è un “mille” con potenza inalterata (49 cv dgm) rispetto alla vecchia versione. Al suo fianco, un cambio manuale a quattro velocità, tutte sincronizzate.
La prova di Quattroruote. Il test effettuato dalla “nostra” rivista, a bordo della versione 90, evidenzia un motore molto vivace e meno rumoroso, affiancato da un cambio con innesti precisi ma un po' duri. Pronti e preciso lo sterzo, potenti ed efficienti i freni, sebbene lo sforzo al pedale risulti leggermente elevato.
La quotazione attuale. Indipendentemente dalla versione scelta, la valutazione odierna per una Innocenti Mini 90/120 (1974-1982) ha un range compreso tra un minimo di mille a un massimo di tremila euro, per una versione in perfette condizioni.
Diteci la vostra. A questo punto la parola passa a voi, perché siamo curiosi di conoscere la vostra opinione in merito a questa vettura, “piccola” ma di grande carattere. L’avete mai guidata o posseduta? Rientrava/rientra in una tipologia di vetture a voi cara? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
Leyland Innocenti Mini - 1RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 2RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 3RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 4RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 5RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 6RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 7RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 8RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 9RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 10RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 11RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 12RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 13RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 14RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 15RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 16RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 17RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 18RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 19RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 20RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 21RuoteclassicheLeyland Innocenti Mini - 22Ruoteclassiche
A metà anni Sessanta, in occasione del Salone dell’auto di Torino del ‘65, l’Autobianchi presenta la Primula. Una berlina-giardinetta (break) equipaggiata con il noto e collaudato motore 1200 cc Fiat
La Primula si può considerare la prima autentica Autobianchi: infatti, sebbene il progetto sia della Casa torinese, rappresenta il primo modello prodotto dalla giovane realtà di Desio con meccanica – ad eccezione del propulsore, appunto- totalmente nuova e non adottata da altre vetture.Aspetto gradevole. La Primula sfrutta l’interessante modulo costruttivo fondamentalmente impiegato anche dagli inglesi con la Mini Minor e da Pininfarina con la Austin A40. La carrozzeria, infatti, è di tipo break, un riuscito compromesso stilistico fra station-wagon e berlina, ed è forse più vicina alla prima, in quanto adotta la portiera posteriore in coda. Nel frontale ricorda vagamente la 1100 D Fiat e nella coda la versione familiare della Fiat 1300-1500. Proprio per questo motivo non si può parlare di una linea inedita, ma si deve riconoscere che il suo aspetto, nell’insieme, è ben riuscito. Nonostante l’accessibilità mediocre al posteriore, il modello garantisce un sufficiente livello di comodità per tutti e quattro gli occupanti. Il grado di finitura non eccelle particolarmente, ma risulta comunque proporzionato alla classe di appartenenza. Strumentazione dal disegno semplice e ben leggibile, dotazione limitata.
La tecnica. Le caratteristiche tecniche di rilievo nella Primula sono, senza dubbio, la sistemazione trasversale del motore e la trazione anteriore. Degno di nota pure l’originale impianto di raffreddamento a doppio radiatore (uno serve anche da riscaldamento per l’abitacolo), con ventilatore ad azionamento elettrico ed automatico. Il motore, invece, è il 1221 cc Fiat, che per l’occasione arriva ad erogare 59 cv sae.
La prova di Quattroruote. Il test effettuato dalla “nostra” rivista evidenzia un motore leggermente rumoroso, ma potente, brioso e discretamente elastico. Al suo fianco uno sterzo leggero, sufficientemente preciso e diretto, affiancato da un cambio con marce ben sincronizzate ma anch’esso troppo rumoroso nel funzionamento. Impianto frenante efficiente. La principale osservazione riguarda lo scarso confort di marcia.
La quotazione attuale. La valutazione odierna per un’Autobianchi Primula, prima serie, ha un range di prezzi che varia da un minimo di duemila a un massimo di seimila euro, per un esemplare in condizioni ottimali.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate di questa vettura? Ne avete mai posseduta una? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia particolarmente interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
La Mitteleuropean Race 2020, gara di regolarità internazionale, giunge alla quinta edizione e si svolgerà dal 29 al 31 maggio prossimi. La direzione è affidata anche questa volta alla A.S.D Adrenalinika: realtà nata dalla passione di Maurizio De Marco, Riccardo Novacco e Susanna Serri. All'evento parteciperanno vetture a calendario ACI Sport costruite fino al 1976.
Il programma ufficiale della Mitteleuropean Race 2020 è in fase di definizione, in linea di massima gli organizzatori confermano che sono previste due tappe, con partenza venerdì 29 maggio. Sabato 30, in serata è previsto un Galà Dinner Total White con le premiazione a conclusione dell' vento. La location scelta è la splendida Piazza Unità d'Italia a Trieste, un evento aperto al pubblico per coinvolgere la cittadinanza e i turisti. Per domenica 31 è previsto il rientro in tutta calma.
Mitteleuropei e non. La Mitteleuropean Race 2020, è sponsorizzata dalla Regione Friuli Venezia Giulia, da Promoturismo Fvg e da Aci Sport, come avviene già dalla prima edizione.
La gara di regolarità che sta avendo una grande risonanza all'estero, lo testimonia la presenza di molti piloti regolaristi stranieri: persino argentini e giapponesi, desiderosi di partire alla scoperta delle bellezze del Friuli Venezia Giulia e della Slovenia.
Scienza e motori. Altra novità introdotta con la Mitteleuropean Race 2020, è la componente culturale. Il team di Adrenalinika, accompagnerà i concorrenti tra i luoghi dell' ESOF 2020 (EuroScience Open Forum), alla scoperta di contenuti esclusivi, che dal 5 al 9 luglio trasformeranno Trieste in capitale europea della scienza. Viene disputata così la "Coppa Trieste Città della Scienza", a testimonianza della volontà, da parte di Adrenalinika, di creare un forte legame con il territorio e con le altre realtà relative alle iniziative culturali.
Questa versione “total bronze” ha una particolare laccatura del quadrante e una patina specifica che muta poco nel tempo
Risale al 1938 l’inizio della produzione del Big Crown pointer Date, modello del marchio Oris diventato un classico del suo catalogo. Questo orologio da aviatore emergeva innanzitutto per la presenza di una grande corona sulla carrure. Questa era facilmente estraibile anche con i guanti e, dunque, indossabile da un pilota a tutto vantaggio della praticità e dell’efficienza. Tra le sue particolarità c’era anche il quadrante con numeri arabi di grandi dimensioni, ideali per una facile lettura in condizioni non agevoli come durante un volo.Patina unica e “quasi” immutabile. Infine il Pointer Date aveva una lancetta periferica che indicava la data sul lato più esterno del quadrante. La versione moderna in bronzo con quadrante in Forest Green ha celebrato, l’anno scorso, gli 80 anni di questo modello. Oris presenta ora una nuova caratterizzazione del Pointer Date realizzata in questo affascinante metallo “vivo” e contraddistinta dallo stesso quadrante in colore marrone. La sua particolarità è il trattamento che è stato riservato per renderlo ancora più speciale. Il quadrante, innanzitutto, è in un particolare colore marrone laccato. Tutta la cassa, inoltre, ha ricevuto una speciale patina, risultato di un trattamento chimico ad hoc che rende ogni esemplare unico per il risultato cromatico. Rispetto, perciò, al normale effetto che ogni orologio in bronzo produce nel tempo sulla cassa, quella del Pointer Date, resta sostanzialmente immutata.
Data periferica. La cassa ha un diametro di 40 mm ed è equipaggiata con corona a vite (con meccanismo di stop dei secondi). Naturalmente è realizzata in bronzo come anche la sottile lunetta zigrinata. All’interno è equipaggiato con il calibro 754, meccanico-automatico con 38 ore di riserva di marcia. Sul quadrante visualizza ore, minuti e secondi centrali. Esternamente, lungo l’anello indicatore della minuteria in stile chemin de fer è riportato il datario; questo è provvisto di un indicatore di colore rosso. L’orologio, dotato di vetro in zaffiro sul lato quadrante e lato fondello, è corredato di cinturino in pelle con fibbia in bronzo. È impermeabile fino a 50 metri di profondità. Prezzo: 1.900 CHF.
Oris Pointer Date Bronze - 1RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 2RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 3RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 4RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 5RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 6RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 7RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 8RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 9RuoteclassicheOris Pointer Date Bronze - 10Ruoteclassiche
Design elegante, finiture curate e un motore degno di nota. La 230 SL, presentata negli anni Sessanta, rappresenta un modello dalla personalità marcata
La 230 SL viene presentata ufficialmente al pubblico nel 1963, in occasione del Salone di Ginevra. L’auto, una delle più belle della sua classe, ha il compito di sostituire le ormai anziane 190 SL e 300 SL. Le sue peculiarità principali sono rappresentate da un design elegante, interni curati e un motore dalle prestazioni soddisfacenti. In altre parole, è una gran turismo capace di fornire un adeguato mix di comodità e piacere di guida. Prima di proseguire con la sua descrizione, però, è opportuno spiegare che cosa intende(va) la Mercedes per roadster, coupé e roadster-coupé: le tre definizioni identificano una sola vettura, improntata in tre declinazioni. La roadster è provvista solo di capote in tela, la coupé di tetto rigido (hard-top) e la roadster-coupé di entrambe le coperture.Linea personale. La 230 SL è indubbiamente originale nel taglio a “pagoda” dell’hard top che trasforma la vettura in un elegante coupé per la stagione fredda. L’andamento particolarmente orizzontale del frontale è accentuato dalla presa d’aria con la Stella, che ricorda quella delle vetture da corsa del 1954-1955. Alle estremità svettano fari dalle dimensioni generose, incorporati nella carenatura in vetro, simile a quella delle berline 220 e 300. Andamento orizzontale anche nella coda, molto riuscita. Piatta la sagoma del bagagliaio. Originali i due piccoli ma solidi paraurti, sotto le luci di coda. Le fiancate mettono invece in evidenza un’ampia superficie vetrata e una linea di cintura piuttosto bassa. Gl’interni sono curati. Comodi e spaziosi i sedili. L’accesso ai posti è agevole anche con l’hard top, grazie all’ampiezza delle portiere, sulla cui parete interna sono ricavate due comode tasche rigide. Comandi nel complesso pratici. Abbastanza completa la strumentazione.
La tecnica. Il “cuore” della 230 SL è un sei cilindri in linea di 2306 cc, monoalbero a camme in testa, in grado di erogare una potenza massima di 170 cv sae. Il motore è anteriore e la trazione sulle ruote posteriori, tramite un cambio di velocità a quattro rapporti tutti sincronizzati e un albero di trasmissione in due tronchi. A richiesta, con sovrapprezzo, è possibile montare un cambio automatico Daimler-Benz a quattro rapporti. L’impianto frenante è di tipo misto: a disco all’avantreno (con servofreno a richiesta) e a tamburo al retrotreno.
La prova di Quattroruote. Il test effettuato dalla “nostra” rivista evidenzia un motore potente, pronto ed elastico, affiancato da un cambio dalla buona manovrabilità e ottima sincronizzazione. Positiva anche la valutazione inerente la tenuta di strada, il confort di marcia e il comportamento della frizione. Per contro, punteggio solamente sufficiente per lo sterzo, giudicato troppo leggero, e per i freni, poco resistenti e non sempre immediati nelle reazioni.
La quotazione attuale. La valutazione odierna per una 230 SL “Pagoda”, prodotta dal 1963 al 1966, ha un range di prezzi compreso tra un minimo di 40mila e un massimo di 120mila euro, per un esemplare in perfette condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate di questa interessante vettura? Che ricordi vi suggerisce? Vi piace? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, come da consuetudine, se avete un racconto particolarmente interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
A metà anni Settanta il celebre Maggiolino non è più la “regina” delle catene di produzione del marchio. In compenso un nuovo modello è pronto a intraprendere una carriera che il tempo sancirà come longeva e di successo, la Polo.
Il cammino di rinnovamento, dopo il Maggiolino, è stato lungo. Nel 1972 il primo energico colpo di timone, con la presentazione dell’Audi 80. Nel giro di soli due anni, poi, si susseguiranno una serie di novità: le Passat, Scirocco Golf, Audi 50 e, infine, la Polo. Quest’ultima, pertanto, non rappresenta una vettura profondamente rivoluzionaria, bensì incarna il completamento di un’evoluzione tecnica iniziata con l’Audi 80. Alla Polo spetta l’arduo compito di replicare il grande successo che ebbe il Maggiolino.Look gradevole. All’esterno, sostanzialmente, non ci sono grosse differenze tra la già citata Audi 50 e la Polo. Si tratta quindi di una tra le auto più moderne presenti sul mercato all’epoca, che tiene conto di tutte le recenti esperienze compiute nel settore. Tra le sue caratteristiche principali l’ampiezza delle superfici vetrate, i cristalli laterali curvi e il passo, rilevante rispetto alla lunghezza complessiva. Particolarmente riuscita la coda, nella quale si combinano in maniera ottimale la praticità e l’elasticità, tenendo conto dell’ampio portellone.
Abitacolo razionale. Omologata per cinque persone, la Polo può in realtà disporre di quattro posti comodi, perché tre persone sul divano posteriore stanno un po' strette. La plancia ha sviluppo orizzontale ed è caratterizzata da un cruscotto portastrumenti e da un rivestimento centrale in finto legno. Razionale la disposizione dei comandi accessori. Nella strumentazione della Polo troviamo il minimo indispensabile. Sul cruscotto, davanti al pilota, due strumenti circolari: uno con tachimetro e contachilometri solo complessivo, l’altro comprendente sette spie di segnalazione. Manca la spia della riserva, così come il manometro dell’olio e il contachilometri parziale. Il grado di finitura è di buon livello e riconferma nelle parti fondamentali l’accuratezza e la bontà della produzione Volkswagen. La dotazione di serie, nel complesso, risulta buona.
La tecnica. Lo schema generale della Polo è identico a quello della Audi 50: si tratta quindi di una trazione anteriore con motore trasversale e ponte posteriore a bracci accoppiati. C’è però qualche differenza dalla Audi 50 ed è soprattutto nel motore: invece del 1100 cc è stato adottato un 895 cc, in grado di raggiungere i 40 cv din. La distribuzione è come nelle Volkswagen più recenti, cioè con albero a camme in testa comandato da cinghia dentata e valvole allineate con bilanceri. Il cambio ha la quarta surmoltiplicata come nella Audi 50, il rapporto al ponte, però, è più corto. Nelle sospensioni nessuna variazione: davanti ci sono le McPherson, composte da un braccio trasversale e da una barra antirollio che lavora anche come braccio obliquo. Posteriormente il più recente dei ponti della Casa: si tratta in pratica di due bracci longitudinali oscillanti collegati tra loro da una barra trasversale. Le sospensioni sono completate da lunghi gruppi elastici comprendenti ammortizzatori telescopici e molle elicoidali.
La prova di Quattroruote. La prova effettuata dalla “nostra” rivista evidenzia un motore con molte qualità, pur senza una potenza eccezionale. Si tratta di un propulsore brillante, elastico e poco rumoroso. Lo sterzo è adeguato alle necessità e alle caratteristiche della vettura: è molto leggero in tutte le condizioni e sufficientemente preciso. Il cambio, invece, vanta un’ottima sincronizzazione ma una manovrabilità non particolarmente entusiasmante.
La quotazione attuale. Indipendentemente dalla versione scelta, la valutazione odierna per una Polo prima serie (1975-1981) ha un range di prezzi compreso tra un minimo di 800 euro e un massimo di 2300 euro, per un modello in condizioni perfette.
Diteci la vostra. A questo punto la parola passa a voi, perché siamo curiosi di conoscere la vostra opinione in merito a questa vettura. L’avete mai guidata o posseduta? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it.
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Il presidente dell'Automotoclub Storico Italiano, Alberto Scuro, ha inviato al nostro direttore, David Giudici, una lettera aperta, che contiene precisazioni e commenti su alcuni articoli che sono stati pubblicati sul sito e sulla rivista e che condividiamo volentieri con i nostri lettori.
LETTERA APERTA A DAVID GIUDICI, DIRETTORE DI RUOTECLASSICHE
Egregio Direttore,
Le scrivo questa lettera aperta perché, visto quanto da Lei riportato prima sul sito, nella news del 29 novembre, e poi nell’editoriale di dicembre della rivista Ruoteclassiche, ritengo necessario fare qualche precisazione. Le chiederei, cortesemente, di voler pubblicare questa mia come diritto di replica alle informazioni che Lei ha dato.
Due precisazioni.
1. Lei ha scritto che non corrisponde al vero quanto da me affermato e cioè che quattro Enti certificatori su cinque sono contrari a compilare una “Lista” di veicoli certificabili come storici. Le confermo invece che è così. L’unico a favore è il RIAR (Registro Italiano Alfa Romeo). Il documento sottoscritto durante la riunione dell’Heritage Day del 12 giugno era solo una “bozza” e la firma era stata chiesta come segno di disponibilità a continuare il dialogo sulla stessa e su altri argomenti. Essendo persona che tenta sempre di dialogare ero quasi tentato di metterla anch’io… Allego il frontespizio del documento firmato il 12 giugno - di cui Lei aveva pubblicato solo l’ultima pagina con le firme - sul quale si legge chiaramente il termine “bozza”. Sostenere che quelle firme corrispondessero ad una presa di posizione dei singoli Enti non è una fotografia di quanto successo. Allego anche le dichiarazioni scritte che ho chiesto a Registro Fiat Italiano e Lancia Club per chiarire le loro posizioni. Mi hanno entrambi dato l’autorizzazione a renderle pubbliche. E’ da tempo nota la posizione dell’FMI (Federazione Motociclistica Italiana) che, tramite delibera dell’organo direttivo, si è dichiarato contrario alla “Lista”.2. Alla riunione dell’Heritage Day del 12 giugno avevo partecipato, per la prima volta, come presidente ASI. Dopo aver ascoltato Roberto Giolito e Angelo Sticchi Damiani ho fatto presente che mi sembrava alquanto strano che si parlasse di quanti autoveicoli circolano in Italia, di quanti fossero quelli vecchi, di quanti fossero quelli ventennali, di come fossero distribuiti per regione, di quanti e quali sarebbe stato giusto ritenere degni di poter diventare storici, ecc... Nessun dato, invece, su quanti e quali fossero gli autoveicoli storici in Italia. Nessun dato sulla reale entità del fenomeno che dal 2018 l’Heritage Day si era posto l’obiettivo studiare. Se si vuole studiare una qualsiasi cosa ed arrivare a conclusioni oggettive, prima di tutto si valutano le reali dimensione del fenomeno e, solo dopo, le si confrontano con altri parametri. I numeri reali da analizzare nel dettaglio, riportati ad oggi, sarebbero i seguenti: i veicoli che alla Motorizzazione risultano circolanti in Italia sono 56 milioni, quelli ultraventennali 12 milioni; quelli a cui ASI ha rilasciato un CRS (emessi dal 2009, anno di entrata in vigore di questi certificati), quindi storici, meno di 400.000 (di questi non si sa quanti siano ancora in Italia e quanti circolanti). Parlando di autoveicoli, 7 milioni gli ultraventennali circolanti e meno di 300.000 le certificazioni rilasciate da ASI in 10 anni (da quando tale documento è nato); non sappiamo però quanti di questi veicoli ancora circolano e quanti siano in Italia. Parlando solo di autoveicoli “ventennali” sui 4,6 milioni di circolanti sono 38.000 quelli certificati e registrati alla Motorizzazione come “storici” (al 2 dicembre 2019): meno dell’1%. Questo nonostante il fatto che da gennaio sia nuovamente in vigore una tutela fiscale per gli stessi. Numeri che rappresentano percentuali minime del parco circolante, sia totale che anziano. Avevo fatto presente tale anomalia e mi ero reso disponibile a organizzare una riunione presso la sede ASI di Torino per rivalutare il fenomeno dalla giusta angolazione. Ho successivamente soprasseduto perché mi è stato riferito che non era ritenuta opportuna. Per me non aveva alcun senso forzare la mano in quanto mi ero già riunito, sempre in giugno, con i rappresentanti degli Enti certificatori (tutti presenti tranne il RIAR) e avevo le idee chiare sulle rispettive posizioni e sulle motivazioni.Un commento.
Nel mondo delle auto storiche c’è “acqua alta” come dice Lei? Non ne sono così sicuro. Vedo il mondo dell’associazionismo, che è quello in cui vivo, sempre più forte, convinto e orgoglioso del percorso che ASI sta facendo. Vedo che l’interesse generale della gente verso il nostro mondo continuare a salire e il numero e degli appassionati, anche giovani, crescere. Quello che so con assoluta certezza è che non sarà certo la “Lista” - che mi sembra stia diventando un tormentone tutto italiano - a risolvere i problemi del motorismo storico, del ricambio del parco veicolare anziano nazionale, dell’impatto ambientale dei veicoli e della sicurezza stradale. Sono cose che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Lo dicono i numeri: basta voler analizzare quelli veri. Sono altresì convinto che il nostro mondo, come tanti altri, pur essendo un magnifico volano di passione e valori positivi non sia certo perfetto; molte cose possono essere migliorate e altre corrette: su queste stiamo seriamente lavorando. La maggioranza degli Enti certificatori non condividono la “Lista” perché non la ritengono giusta, non la ritengono costituzionalmente corretta, perché saremmo l’unico Paese europeo ad applicarla, perché non è condivisa dalla FIVA (Federazione Internazionale dei Veicoli Storici) e non è prevista dalle direttive europee che riguardano i veicoli storici. Sinceramente mi sembra che i motivi per non condividerla ci siano. Siamo dell’idea che dell’elenco di veicoli storici registrati alla Motorizzazione è giusto facciano parte tutti i singoli esemplari che hanno le caratteristiche di originalità che ci permettano di individuarli quali testimoni della loro epoca.
Certificare in base alla “Lista” sarebbe sicuramente una strada tecnicamente semplice perché un grosso filtro verrebbe fatto già a monte. La strada di certificare correttamente ogni singolo veicolo è sicuramente più complessa ma riteniamo più giusta, ed è quella che abbiamo deciso di continuare a percorrere attraverso le procedure che il nuovo governo ASI ha previsto in accordo con la Motorizzazione. Tutto questo ci è consentito grazie alla rete di passione rappresentata dai Club federati sparsi su tutto il territorio nazionale e da tutti i volontari che operano nel nostro ambito. Il mondo di associazionismo che noi rappresentiamo insieme ad FMI e Registri Storici è un insostituibile volano di passione, cultura, promozione territoriale e indotto; migliaia sono le iniziative di ogni tipo che annualmente vengono messe a disposizione degli appassionati per vivere il motorismo storico. E’ un mondo in cui le guerre sarebbe bene non trovassero spazio.
Sperando che al più presto le turbolenze potranno essere considerate acqua passata, colgo l’occasione per porgerLe i miei più Cordiali saluti e gli auguri per le prossime festività.
All’avanguardia nella ricerca di soluzioni innovative, a metà anni Novanta, l’Audi si conferma una marca chiave nel processo evolutivo del settore. Dopo esser stata una delle prime a credere alla trazione integrale, presenta una vettura di grande serie con carrozzeria d’alluminio, l’A8
Una speciale cura dimagrante a base d’alluminio denominata ASF (Audi Space Frame) ha permesso all’Audi di risolvere i classici problemi di sovrappeso tipici delle ammiraglie, che avrebbero potuto affliggere anche la neonata A8. L’impiego di questo nuovo materiale ha comportato un ripensamento globale del modo di costruire automobili. Almeno quelle di categoria superiore. L’A8 esibisce con una certa discrezione il suo status. Lo fa proponendo una carrozzeria senza eccessi, dalle linee morbide ed eleganti. Una filosofia che trova riscontro anche nell’abitacolo: un accogliente salotto con tanto spazio a disposizione, decisamente sufficiente per cinque persone.La tecnica. La nuova tecnologia ASF messa a punto dall’Audi per la carrozzeria dell’A8 è senz’altro l’aspetto tecnico più interessante proposto dall’inedita ammiraglia della Casa di Ingolstadt. La tradizionale scocca d’acciaio lascia il posto a una struttura a traliccio di profilati estrusi d’alluminio, alla quale vengono fissati con tecniche diverse tutti gli altri elementi della carrozzeria. Parafanghi, cofano motore, baule e frontale, ad esempio, sono uniti al telaio tubolare, mentre tetto e fiancata sono incollati e rivettati alla gabbia principale. L’abbondante impiego di questo metallo leggero al posto dell’acciaio comporta una riduzione del peso (oltre 150 kg) che influenza positivamente consumi e prestazioni del motore V8, in grado di erogare una potenza di 299 cv. Allo sfruttamento ottimale del motore contribuiscono anche il cambio Tiptronic a quattro rapporti e la trazione integrale permanente.
La prova di Quattroruote. Il test effettuato dalla “nostra” rivista evidenzia un motore potente e con tanta coppia, che risponde in maniera generosa alle sollecitazioni del conducente. Al suo fianco uno sterzo piacevole a bassa velocità, che richiederebbe però una maggiore prontezza nelle piccole correzioni, assecondato da un cambio dal funzionamento piacevole. L’unico appunto mosso alla A8 riguarda il bagaglio (solo tre stelle su cinque): penalizzato dalla presenza degli organi della trazione integrale, ha una capacità solo discreta.
La quotazione attuale. La valutazione odierna per un’Audi A8 4.2 V8 Quattro (1994-1998) ha un range di prezzi che va da un minimo di 1900 euro a un massimo di 5700 euro, per un esemplare in buone condizioni.
Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate dell’ammiraglia Audi? Vi piace, oppure preferite una sua diretta concorrente? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it
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L’Asi ha depositato un ricorso straordinario al presidente della Repubblica per ottenere l’annullamento dei decreti e delle delibere di Regione e Giunta Regionale del Piemonte, Città Metropolitana e Comune di Torino che vietano la circolazione dei veicoli storici dal primo ottobre 2019 al 31 marzo 2020. Lo stesso ricorso verrà presentato contro le ordinanze simili del Comune di Bologna.
Il ricorso straordinario è solo l’ultima azione intrapresa da Asi, che da mesi cerca di sensibilizzare le amministrazioni pubbliche all’applicazione di deroghe specifiche per la circolazione dei veicoli storici. “Questi, infatti - spiega Asi - vanno salvaguardati e per farlo bisogna far sì che possano essere usati: se non circolano, i veicoli storici muoiono e con loro muore tutto il mondo ad essi collegato, causando enormi danni, culturali ed economici. Non si tratta di privilegi, ma di
tutele nei confronti di un patrimonio storico, culturale, tecnologico e artistico italiano che non ha pari al mondo che le istituzioni hanno il dovere di preservare, con misure che, anche a livello legislativo, diano chiari segnali di tutela e di valorizzazione sia nei confronti degli operatori, sia nei confronti degli appassionati”.La ricerca con l'ISS. L’iniziativa segue l’accordo siglato il 30 ottobre con l’Istituto Superiore di Sanità, finalizzato alla ricerca scientifica che stabilirà il reale impatto ambientale dei veicoli storici e che costituirà la premessa oggettiva per le riflessioni future in materia legislativa: un percorso corretto per arrivare alla giusta regolamentazione della circolazione dei veicoli storici. “Alla base di questa richiesta - oltre a motivazioni di carattere culturale, sociale ed economico - ci sono i numeri: i veicoli storici rappresentano una percentuale insignificante del parco veicolare circolante in Italia e percorrono annualmente poche centinaia di chilometri. Ecco perché ininfluenti in termini di impatto ambientale”, continua l’Asi in una nota.
Storiche? Sono meno dell'1%. “In Italia circolano 56 milioni di veicoli – sottolinea Alberto Scuro, presidente Asi - e, di questi, quelli vecchi (intesi come ultraventennali) sono 12 milioni. Sono i dati ufficiali forniti dalla Motorizzazione. I veicoli storici, invece, sono quelli ultraventennali in possesso di un Certificato di Rilevanza Storica (documento introdotto nel 2009) che ad oggi sono meno di 400.000 in tutta Italia: lo 0,8% del totale circolante. Solo questi hanno bisogno di tutela, perché rappresentano la storia del nostro Paese e un mondo di passione che promuove cultura e turismo, ed è un enorme volano di indotto nazionale, che nel 2018 è stato stimato in 2,2 miliardi di euro”.
Soluzione a lungo termine. Il ricorso afferisce alle realtà del Piemonte dove in effetti la giunta del governatore Cirio sta approntando una deroga al divieto: “L’Arpa deve eseguire la valutazione di impatto ambientale del parco auto circolante nella regione, ma si tratta di un’operazione lunga. Ci stanno lavorando e la previsione per ottenere un risultato è di circa due mesi, non prima” ha spiegato l’assessore all’Ambiente piemontese, Matteo Marnati. “Dato che alcune città piemontesi sono sotto infrazione da parte dell’Unione Europea per le emissioni, per far circolare anche se in maniera limitata le auto teoricamente inquinanti Bruxelles chiede di misurare quanto inquinerebbero sul piano ipotetico questi motori e quindi di prevedere delle compensazioni come piantare alberi o recuperare inquinanti da altre situazioni. Un lavoro che presuppone un elaborato tecnico non indifferente”. La giunta sta valutando anche l’adozione di un dispositivo come la scatola nera Move-in uso in Lombardia con diverse fasce chilometriche in deroga per i mezzi più inquinanti.
Nessun blocco "automatico" in Lombardia. Intanto in Lombardia in queste ore si è rivelata corretta la decisione di non attivare automaticamente le limitazioni temporanee di primo livello previste dopo cinque giorni di superamento dei livelli di Pm10, limitazioni che fermano le vetture con le emissioni più inquinanti. “La possibilità, introdotta lo scorso anno, di valutare le previsioni meteo per evitare di introdurre ulteriori blocchi e limitazioni che scatterebbero quando i valori sono già rientrati sotto soglia sta dunque rivelando la sua efficacia" ha detto l’assessore lombardo all’Ambiente, Raffaele Cattaneo. In Lombardia i dati sulla qualità dell'aria vengono esaminati quotidianamente e dopo il 4° giorno consecutivo di superamento del limite del PM10 di 50 microgrammi/m³ si decide se applicare le misure temporanee di primo livello valutando le previsioni meteo di Arpa Lombardia, in base a quanto previsto dalle gr n. 7095 del 18 settembre 2017 e n. 712 del 30 ottobre 2018.
Da Torino nessuna apertura. Anzi... Nel frattempo, dopo l’incontro con Greta Thunberg il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha dichiarato: “Sono ancora più convinta che le istanze di tutte e tutti vadano rispettate, ma l’esigenza prioritaria, per noi e per le prossime generazioni, è quella di consegnare a chi verrà in futuro una Città più pulita, più sostenibile, più sana e più sicura". Così il primo cittadino su Facebook ha commentato il suo incontro con Greta Thunberg. "Per questo motivo andremo avanti, con ancora maggiore forza sui temi della mobilità sostenibile, della riduzione delle emissioni, del contrasto allo smog, del rafforzamento del trasporto pubblico, della riduzione dei rifiuti, della raccolta differenziata, della pulizia dei nostri corsi d’acqua" aggiunge il sindaco, sottolineando quasi con un riferimento alla presa di posizione dell’Asi che "queste scelte possono non portare consenso, ma ciò non può essere in alcun modo un freno a un'azione politica che guardi realmente al futuro". Come già annunciato, conclude il sindaco, con una lettera ufficiale, la Città di Torino darà il suo supporto per la candidatura a ospitare il meeting internazionale dei “Fridays for Future International".
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