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Innocenti Mini Cooper MK2, una “piccola” di carattere

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La Mini Cooper Innocenti è la versione con caratteristiche più sportive e brillanti della Mini MK2, dalla quale differisce per alcune modifiche, meccaniche ed estetiche

Verso la fine degli anni sessanta, nel nostro Paese, la Mini Cooper vanta un’ampia clientela, accomunata da un unico denominatore comune: un temperamento sportivo e la passione per auto dalle dimensioni compatte ma di carattere. La Cooper MK2 è facilmente riconoscibile grazie a una serie di particolari, come il frontale caratterizzato da un’ampia griglia, dalle forme particolarmente pronunciate. La fiancata mette invece in luce un tetto dal colore diverso da quello del rimanente corpo vettura, affiancato a dei cerchioni dal disegno sportivo. Nella coda, le differenze rispetto alla versione normale, sono minimi: si limitano alla scritta Mini Cooper MK2 e alle luci posteriori dotate di faro per la retromarcia.Dettagli curati. Nel complesso si tratta di una vettura che a distanza di anni dalla presentazione (avvenuta nel 1959) ha ancora notevole validità stilistica e pratica. Non solo: la Mini Cooper italiana ha un grado di finiture e dotazioni più curate rispetto a quella inglese. Questo è in parte dovuto al fatto che il nostro mercato trovò criticabile il sapore spartano di alcune soluzioni, ammissibili forse in una vettura dal costo inferiore. La completa strumentazione comprende cinque indicatori: il termometro acqua, il livello di carburante, il manometro dell’olio, il contagiri e il tachimetro con contachilometri. Altre variazioni rispetto alla versione normale sono: il rivestimento della palpebra superiore della plancia, il disegno dell’imbottitura dei sedili, il montaggio di una maniglia di appiglio per il passeggero del sedile anteriore e il volante di tipo sportivo. Prendendo in considerazione l’aspetto tecnico, le differenze fondamentali rispetto alla precedente Mini Cooper sono riconducibili a pochi elementi: primo tra tutti il cambio, ora dotato di prima sincronizzata. Secondo, il lieve incremento di potenza del motore di 998 cc, passato da 56 cv a 60 cv (SAE). 

La prova di Quattroruote. Nell’agosto del 1969 la “nostra” rivista dedica una prova approfondita alla Innocenti Mini Cooper MK2. Il motore, sostanzialmente identico a quello precedente, grazie alla maggior potenza viene considerato più brillante, nonostante abbia perso leggermente in elasticità. Il cambio con la prima sincronizzata, a parte la manovrabilità tipica dei cambi Mini, cioè con innesti un po' duri, è ora finalmente giunto a un livello accettabile. Il collega tine a precisare che è stato utilizzato il termine “finalmente” proprio perché per le caratteristiche sportive di guida, e per lo spirito dell’auto, il cambio della precedente versione costituiva una mancanza. La frizione è un filo dura mentre la frenata, in alcuni casi, sembra ancora eccessiva al retrotreno, specie nella condizione di minimo carico. Per la tenuta di strada, confort di marcia e per tutte le altre voci non sono mutamenti da segnalare, in quanto l’architettura generale è rimasta invariata.

La quotazione attuale. La valutazione della Innocenti Mini Cooper MK2 (1968-1970), stando al nostro listino ufficiale, va da un minimo di 6000 euro a un massimo di 18000 euro.

Diteci la vostra. A questo punto la parola passa a voi, perché siamo curiosi di conoscere la vostra opinione in merito alla Innocenti Mini Cooper MK2. L’avete mai guidata o posseduta? Rientrava/rientra in una tipologia di vetture a voi cara? Fatecelo sapere nei commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo di posta redazione@ruoteclassiche.it. 

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Vendita record per una Lamborghini Miura P400 S

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Sensazionale vendita di una Miura P400 S all'asta di RM Sotheby's, avvenuta lo scorso 24 ottobre a Londra

Custodita per quarant'anni in un garage nella Foresta Nera e originale come mamma Lamborghini l'ha fatta. La Miura P400 S del 1969 che RM Sotheby's ha venduto il 24 ottobre all'asta di Kensington, Londra, per la cifra record di 1.248.125 sterline (oltre 1,4 milioni di euro) è considerato uno degli ultimi esemplari esistenti con un alto grado di autenticità. Come riportato dalla casa d'aste, in tanti anni di vita quel gioiello di colore Giallo Flay (telaio numero 4245) ha fatto pochissima strada, 30mila km scarsi.

Massima tracciabilità. Secondo l'ampia documentazione disponibile, la Miura è stata acquistata per la prima volta nel 1971 dal titolare di un'agenzia di pubblicità di Norimberga che l'ha tenuta soltanto tre anni e poi l'ha rivenduta al penultimo proprietario, il gentleman driver Hans-Peter Weber di Friburgo. Quando è mancato lui – nel 2015 – si ritiene che l'auto, con il suo V12 da 3.9 litri (370 CV, progettato da Giotto Bizzarrini) che non mostra alcun segno di restauro, fosse ancora marciante. Una belva realizzata come evoluzione della prima versione, ovvero la Miura P400 nata nel 1966 dalla matita di Marcello Gandini per Bertone, per cui al tempo del suo lancio la casa costruttrice dichiarava 280 km all'ora di velocità massima. Il tutto con freni a disco autoventilanti e sospensioni rinforzate.

Senza la minima sgualcitura. In base alle informazioni di RM Sotheby's, Weber ha sempre mantenuto la Miura in ottime condizioni e ne riservava l'impiego alle occasioni speciali. Dopo la sua scomparsa, la coupé è stata tenuta in custodia dal fratello Karl nel granaio dove è stata trovata e dove ha passato i suoi ultimi quattro anni di sonno. Anche l'interno è rimasto fermo a mezzo secolo fa, con il Skay Bleu dei sedili in pelle velato solo dalla patina del tempo: le uniche due variazioni sono l'aggiunta di alcuni strumenti di misurazione da competizione e di cinture di sicurezza quattro punti Schroth.

Foto: Peter Singhof/RM Sotheby's

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La 1000 Miglia è sbarcata in America con la Warm Up USA 2019

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Una gara di regolarità in vero spirito “1000 Miglia” ma su suolo americano, tra la Virginia e il Maryland, con arrivo a Washington D.C.

Si è svolta da mercoledì 23 a sabato 26 ottobre la 1000 Miglia Warm Up USA 2019. 22 le vetture tra storiche e moderne che si sono iscritte a questa gara di regolarità oltre oceano. A vincere l’edizione 2019, dopo tre giorni di gara e un percorso di oltre 500 miglia, è stato il team veteran composto da John e Julie Herlihy al volante di una Jaguar XK 120 OTS Roadster del 1953. Secondi classificati Eric Oberlander e Scott Laroque con una Ferrari GT Coupé Boano del 1956, del team novice, seguiti in terza posizione da Josh e David Simpson alla guida di una Jaguar XK 120 del 1956.Le suddivisioni. Le auto partecipanti alla 1000 Miglia Warm Up USA 2019 sono state suddivise in due classi, 1000 Miglia Era e Post 1000 Miglia Era, comprendenti rispettivamente le vetture che hanno partecipato alle edizioni di velocità della 1000 Miglia dal 1927 al 1957 – con l’eccezione di alcuni modelli di particolare interesse storico e sportivo selezionati dall’organizzazione – e quelle sportive e Gran Turismo prodotte dal 1958 a oggi. Suddivisi anche i concorrenti. Se almeno uno dei due componenti dell’equipaggio aveva già partecipato ad almeno due 1000 Miglia negli ultimi sette anni, infatti, poteva rientrare nella categoria “veteran”, diversamente riceveva la notifica di “novice”.

Obiettivo: farsi conoscere oltre oceano. Molto soddisfatto Alberto Piantoni, Amministratore Delegato 1000 Miglia Srl, per la sana competizione che ha contagiato tutti i partecipanti, per il percorso molto suggestivo e per il numero di spettatori americani che, proprio come in Italia, attendevano il passaggio della 1000 Miglia Warm Up USA 2019. Svoltasi tra le zone più iconiche della Virginia e del Maryland, la gara si è poi conclusa a Villa Firenze, residenza dell’ambasciatore italiano a Washington D.C.

Ottimismo per il futuro. Entusiasta anche Armando Varricchio, ambasciatore italiano negli Stati Uniti, che con la 1000 Miglia Warm Up USA 2019 sono riusciti a portare una vera “italian experience” su suolo americano. Positiva la risposta e l’accoglienza per la gara più bella del mondo, definita da Varricchio “un mix eccellente di bellezza, velocità, competizione, lavoro di squadra, tradizioni di lunga data e prospettive per il futuro".

Li rivedremo in Italia a maggio. Come da regolamento, il vincitore assoluto e altri 5 equipaggi si sono aggiudicati anche la partecipazione alla 1000 Miglia italiana che si svolgerà dal 13 al 16 maggio 2020. I partner di questa edizione americana sono stati Chopard, Alfa Romeo, Alitalia, Town of Middleburg, Fairmont Georgetown, Creighton Farms, Summit Point Raceway, Competizione & Sports Cars e l’Ambasciata d’Italia a Washington.

Warm Up USA 2019 - 1Ruoteclassiche
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Asta Finarte alla Fiera di Padova: buona la prima

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Il debutto della Casa milanese coronato da un discreto successo di vendita. Premiata la scelta di puntare sulla qualità

Organizzare un’asta di auto da collezione all’interno di una delle mostre scambio più “imbottite” di auto storiche in vendita come quella di Auto e Moto d’Epoca di Padova si è rivelato spesso un azzardo. Oltretutto in un paese, l’Italia, poco abituato ad acquistare auto con la formula dell’incanto. Non è un caso, infatti, se anche celebri nomi internazionali del settore come Coys e Bonhams hanno preferito passare la mano ad altri operatori. Proprio Finarte ha raccolto quest’anno il testimone da Bonhams e ha deciso di mettersi in gioco nonostante tutto.Come è andata? Dipende da come si osserva il bicchiere: se mezzo pieno o mezzo vuoto. Per Sandro Binelli, Capo Dipartimento Automotive di Finarte, "Anche in questa occasione abbiamo raggiunto i nostri obiettivi” ha sostenuto nel dopo asta, “Abbiamo presentato vetture come sempre speciali, con un ventaglio di proposte ampissimo: dalle vetture “ancêtre” e anteguerra, sempre più rare sul mercato, alle grandi classiche; dalle piccole sorprese, alle grandi sportive moderne”. Forse parlare di successo è eccessivo, ma vista la qualità del catalogo, la temerarietà di Finarte è sicuramente stata premiata. Come abbiamo già anticipato in un precedente articolo  ben ventisei lotti sui 55 in totale presenti in catalogo riguardavano vetture stimate oltre i 100.000 euro. Un record per un’asta italiana. In termini economici l'asta, realizzata in collaborazione con Automotive Masterpieces, ha totalizzato oltre due milioni e trecentomila euro di vendite totali, senza contare  le vendite del dopo asta che, comunque, non rientrano mai nelle classifiche finali, salvo casi eccezionali. Un risultato, quindi, in linea con quelli delle migliori vendite delle Case d’asta italiane.

Diciassette i lotti aggiudicati sui 55 presentati. Si tratta di una percentuale di vendita del 30%, non certo entusiasmante, ma pur sempre un buon risultato per un debutto. Regine della affollatissima asta tre delle vetture di punta del catalogo: l'Alfa Romeo 6C 2500 Sport Cabriolet carrozzata Pinin Farina del 1947, la  prima Gran Turismo italiana del dopoguerra, utilizzata in numerose gare, tra cui la Mille Miglia del 1949 e oggi fortemente eleggibile nelle rievocazioni storiche di questa gara, stimata 725.000 – 825.000 euro e aggiudicata a 639.060 euro; e la coppia di Porsche 911 gemelle del progetto ID|EM “Twin Works”: una d’epoca, perfettamente restaurata, e una moderna, allestita nella stessa livrea della prima, vendute anch’esse per 639.060 euro. Tra le altre vendite da segnalare l’aggiudicazione della Fiat-Abarth 750 Spyder Zagato, probabilmente l'esemplare presentato al Salone Internazionale dell'Automobile di Torino del 1958 (venduta a 81.529 euro) e le “piccole” Isetta (25.623 euro); l’italo-francese R4 Alfa-Romeo (7.570 euro); la Citroën 2CV eleggibile Mille Miglia (14.558 euro), le due Autobianchi Bianchina, Trasformabile e Convertibile (entrambe a 17.470 euro). Vendute anche la Lancia Appia Convertibile Vignale del 1962 (57.060 euro); la Porsche 356 A Cabriolet del 1958 (186.352 euro); l’Alfa Romeo Giulietta Sprint Speciale del 1962 (110.646 euro); la Citroën Traction Avant del 1956 (14.558 euro) e la Fiat Dino Spider Pinin Farina (99.000 euro). Altri lotti venduti: la Fiat 1100 S Berlinetta Pinin Farina del 1949 in condizioni di barn find (41.929 euro); la Mercedes-Benz 280 SE 3.5 del 1970 (186.352 euro) e una Alpine A110 Première Edition del 2017 (63.033 euro).

Le invendute. L'elenco delle vetture non vendute comprende modelli prestigiosi come la Cisitalia 202 Cabriolet Gran Sport Stabilimenti Farina del 1948 (stimata 550.000 - 650.000 euro);  l’Alfa Romeo 6C 1750 Turismo Cabriolet Pinin Farina del 1930 (350.000 - 400.000 euro); la Lancia Lambda Drop-head Coupé del 1928 (275.000 - 295.000 euro); le due Maserati 3500 GT Touring, tra cui la barn find del 1961 utilizzata da Manuel Fangio nei suoi soggiorni in Italia (475.000 - 575.000 euro); Mercedes-Benz SLR McLaren del 2006 (350.000 - 380.000 euro); e la Porsche 911 GT3 RS Weissach Package 2018 (240.000 - 280.000 euro). Tra le mancate vendite di prestigio anche la  Opel Ascona B 2000 S Rallye Gr.2 del 1979 (135.000 - 150.000 euro) con la quale Miki Biasion, presente in sala, ha vinto il suo primo titolo nel Campionato Italiano Rally Gruppo 2. I prossimi appuntamenti di Finarte per gli appassionati di auto saranno l’asta “Porsche & Friends” che si terrà a Reggio Emilia in primavera e, a maggio, la terza edizione di 1000 Finarte a Brescia.  

Asta Finarte (Fiera di Padova 2019) - 1Ruoteclassiche
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Renault 5 GTL, un’utilitaria parsimoniosa

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La 5 GTL non brilla in prestazioni, ma grazie a una messa a punto specifica del motore (1108 cc da 45 cv) riesce a ottenere dei consumi ridotti. Una qualità da non sottovalutare, specialmente se si vuole ottimizzare l’economia d’impiego nel quotidiano

Verso la fine degli anni settanta la popolarità della Renault 5, indubbiamente, è notevole. Prodotta in oltre due milioni e mezzo di unità dal debutto commerciale, del 1972, rappresenta ormai un modello cardine per il marchio e un punto di riferimento nella categoria di appartenenza. In altre parole, nonostante i sette anni di vita incomincino a farsi sentire, la R 5 continua ad essere un progetto decisamente valido. Per rimanere sulla breccia, nel 1979, vengono studiate una serie di novità. La nuova gamma ’80 della R 5, composta da otto differenti modelli, presenta infatti delle modifiche di prim’ordine, come la carrozzeria a cinque porte.Novità estetiche e meccaniche. Gl’interni delle nuove Renault si caratterizzano per una plancia rivisitata: un nuovo volante si abbina a un cruscotto che comprende, a seconda delle versioni, uno o due grandi strumenti circolari, oltre a una serie di spie luminose. Al centro svetta un’ampia console, sulla quale si trovano i comandi dell’impianto di climatizzazione, l’alloggiamento per la radio e (in alcuni modelli) gli strumenti supplementari. Nuovi anche i sedili. Inoltre, nella parte superiore destra della plancia è stato ricavato un vano portaoggetti. Prendendo in considerazione l’aspetto meccanico, la principale innovazione riguarda il motore utilizzato sulla declinazione GTL: un 1108 cc da 45 cv, con una messa a punto specifica per limitare il consumo di carburante. La vettura secondo la Casa può infatti percorrere 100 km (a 120 km/h) con 6,8 litri e, in città, consumare una media di 6,3 litri per 100 km.

La prova di Quattroruote. In seguito a un test approfondito, la valutazione della “nostra” rivista in merito alla vettura francese risulta, nel complesso, positiva. Con la sua potenza e brillantezza ridotte, la 5 GTL è una delle prime automobili che si adegua alla tendenza di privilegiare l’economia d’impiego. Le votazioni in merito alle prestazioni sono basse, ma questo non toglie nulla alle qualità notevoli e interessanti di questa riuscita utilitaria. Il suo motore non accontenta gli amanti delle vetture brillanti, però, risulta prezioso ai fini del risparmio. Pertanto se l’accelerazione è modesta e la ripresa lenta, soddisfa (cinque stelle) per i consumi fatti registrare. Indipendentemente dal percorso, si possono percorrere in media 13-14 chilometri con un solo litro. Andando alla velocità massima raggiungibile, ovvero 130 km/h, bastano invece poco più di nove litri per percorrere 100 chilometri. Convincono pure lo sterzo più leggero (quattro stelle) e l’elevato livelli di confort (cinque stelle). Migliorabile il comportamento del cambio (tre stelle), dalla manovrabilità scarsa e dai rapporti lunghi.

La quotazione attuale. Il nostro listino riporta come valori indicativi, riferiti a tutte le versioni “convenzionali” della 5 (1972-1984), un range compreso tra i mille e i tremila euro, per un esemplare in ottime condizioni o completamente restaurato.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Renault 5 GTL? Siamo curiosi di sapere se in quel periodo avreste optato per lei oppure per una sua diretta concorrente? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete dei ricordi particolari sul suo conto, potete scriveteci una e-mail con la vostra storia all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it.

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Delma Shell Star

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Il nuovo Shell Star è in grado di unire le qualità di un orologio da immersione professionale al fascino della cassa in bronzo

Nei suoi 95 anni di storia Delma ha sempre avuto un’attenzione particolare per i diver. Negli Anni 60 il Periscope, primo modello da immersione, lanciò il marchio alla conquista dei fondali. Nel 1975 ha presentato lo Shell Star, orologio studiato per le profondità e con caratteristiche professionali (secondo lo standard internazionale ISO 6425 un orologio si definisce tale se è in grado di resistere a una pressione corrispondente ad almeno 100 metri sotto acqua. Il che significa, secondo gli standard in termini pratici, che l’orologio deve essere portato a una profondità pari ad almeno il 125% di quanto dichiarato). La collezione Blue Shark del 2011 ha fornito ulteriore conferma di questa skill. Oggi, quasi quarantacinque anni dopo, l’azienda, orgogliosamente legata al suo status di Casa indipendente di orologeria, reiventa un modello così importante per la sua storia e ripropone lo Shell Star in una affascinante versione con cassa in bronzo.

Un metallo vivente. Questo materiale, il risultato dell’unione di rame e stagno, è considerato un “metallo vivente” per via delle modifiche che subisce in conseguenza del contatto con l’aria, l’acqua o la luce del sole. Incontrandosi con questi elementi si ossida e si ricopre con la sua caratteristica patina. Il nuovo Shell Star con “corpo” realizzato in questo materiale intraprende un cammino trasversale nel segmento dei diver ed esplora nuovi percorsi.

Generoso, ineccepibile. La cassa ha un diametro di 44 mm e uno spessore di 13,8. La sua impermeabilità è garantita fino a una profondità di cinquecento metri. Sulla parte esterna la lunetta coghiera girevole unidirezionale. La corona a vite con hacking possiede grandi rigonfiamenti per proteggerla e consentire una gestione più efficace, magari con un paio di guanti indossati sotto acqua. Sull’altro lato lo Shell Star è fornito di valvola a pulsante per lo scarico di elio che si accumula all’interno dell’orologio durante un’immersione. È equipaggiato con movimento meccanico, calibro ETA 2824, a carica automatica. Oscilla a 28.800 alternanze l’ora e fornisce 38 ore di riserva di carica.

Verde, marrone o blu. Sul quadrante con texture in finitura sabbiata (sono disponibili il marrone, il verde o il blu) il Delma Shell Star riporta ore, minuti (visualizzati attraverso una classica minuteria chemin de fer), secondi continui (con grande lancetta dotata di freccia) e datario attraverso la finestrella alle ore 3. Indici e lancette sono ricoperti con Superluminova C3 per offrire una capacità di lettura dell’ora sempre ottimale.

Questo modello è corredato di cinturino in pelle invecchiata e fibbia in bronzo (sono a disposizione dal catalogo Delma i cinturini per utilizzo professionale. È proposto in serie limitata di cinquecento pezzi al prezzo di 1.490 euro.

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Raymond Weil Freelancer chronograph Jimi Hendrix Limited Edition

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Celebra Jimi Hendrix e la sua arte nel 50esimo del Festival rock di Woodstock. È un cronografo ricco di richiami a quella storica esibizione

Nei giorni di Ferragosto del ’69 si tenne il festival rock di Woodstock. Per tre giorni quasi un milione di persone assistettero al più importante evento di sempre per la cultura hippie. Fu un evento fondamentale nell’ambito della controcultura, tre giorni di musica, pace e amore come mai ce ne furono e con i migliori artisti sul palco. Non mancò quello che oggi è considerato il più grande chitarrista rock di tutti i tempi. Jimi Hendrix, con la sua Fender Stratocaster bianca, si esibì il lunedì, l’ultimo giorno. Infiammò il pubblico (gran parte aveva già intrapreso la via del ritorno e si stima fossero presenti “solo” 250.000 persone) per oltre due ore e produsse la sua personale e anticonformista interpretazione dell’inno americano. A quella esibizione e alla sua figura è dedicata una versione speciale del cronografo Freelancer di Raymond Weil.

Cinquanta anni dopo il ricordo è ancora vivo. Tutto quello che può essere ricondotto all’artista ha fornito l’ispirazione per questo cronografo dai toni e dalla personalità molto evocativa. La cassa tonda con finitura in PVD grigio ha un diametro di 42 mm e spessore di 13,9. La lunetta è liscia per aggiungere un tocco di eleganza senza sconfinare nello stile già forte e audace di una chitarra elettrica. Anche il quadrante (chiuso da vetro in zaffiro e parzialmente aperto sul lato fondello avvitato per osservare il movimento) è ricco di richiami: i nove indici che lo circondano richiamano i battipenna mentre i sei anelli circolari sono un riferimento alle sei corde della chitarra. Sulla parte più esterna l’orologio riporta la scala tachimetrica e una frase a lui attribuita: “music is my religion”. La texture della parte centrale è decorata in rilievo con i decori aztechi della tracolla della sua Stratocaster mentre suonava sul palco. Al suo interno il Freelancer è animato dal calibro RW5200, meccanico a carica automatica e con riserva di carica di 48 ore.

Azzurro “Jimi Hendrix”. La funzione cronografica è assicurata da tre piccoli contatori secondari: minuti crono alle 12, ore crono alle 6, secondi continui alle 9 e secondi crono al centro. Questi ultimi sono indicati da una lancetta di un particolare colore azzurro, lo stesso dei pantaloni che indossava mentre la sua musica avvolgeva il pubblico. Presenta a un’estremità una piccola paletta orientata a sinistra (Jimi Hendrix era mancino). Alle ore 3 riporta l’utile informazione del datario e giorno della settimana con due indicazioni affiancate. È corredato da cinturino in pelle marrone con fibbia in acciaio. Il Raymond Weil Freelancer Chronograph in edizione speciale dedicato a Jimi Hendrix è prodotto in edizione limitata di 500 unità. Ognuna riporta sul fondello il numero progressivo (XXX/500) ed è accompagnata da un certificato di autenticità firmato da Janie Hendrix, sorella dell’indimenticato chitarrista.

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Oris Art Blakey Limited Edition

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Esprime il legame con il Jazz attraverso un’architettura “solo” tempo, cassa di ridotte dimensioni e quadrante ispirato alla batteria del grande musicista. Solo 1.000 pezzi

La collezione di modelli di Oris dedicati alla musica jazz si arricchisce di un nuovo pezzo creato per omaggiare una delle figure più importanti di questo universo. Oris ha inaugurato nel 1996, in occasione di una partnership con il London Jazz Festival, questa nuova corrente iniziando dal sassofonista Andy Sheppard. Dopo il Jazz Andy Sheppard Limited Edition sono arrivate altre serie speciali, via-via dedicate a colossi del calibro di Louis Armstrong, Miles Davis, Duke Ellington e Charlie Parker. L’ultima creazione celebra Arthur “Art” Blakey uno dei più grandi batteristi e bandleader nella storia del Jazz americano.

Caratteristiche. L’Art Blakey Limited Edition è costruito su una cassa composita in acciaio da 38 mm di diametro. Al suo interno è equipaggiato con il calibro Oris 733 (base Sellita SW 200-1) meccanico a carica automatica. È dotato di rotore di carica bidirezionale di colore rosso, frequenza di oscillazione di 28.800 alternanze l’ora e ha un’autonomia di marcia di 38 ore. Sul quadrante riporta solo ore, minuti e secondi centrali mantenendo, così, pulizia stilistica e acquisendo, anzi, una spiccata eleganza. Il suo tocco di originalità e il richiamo al jazz è nei ganci posti sulla parte esterna del quadrante. Questi richiamano la grancassa della batteria di Art Blakey.

Molti riferimenti al batterista. L’ulteriore riferimento al famoso batterista di Pittsburgh è nel fondello serrato a vite, decorato con un motivo ispirato ai piatti di rame. L’Oris Art Blakey è inoltre equipaggiato con vetro in cristallo di zaffiro e corona in acciaio con meccanismo di arresto dei secondi. È corredato da cinturino in pelle marrone con fibbia deployante in acciaio ed è proposto in una confezione speciale. La produzione è limitata a 1.000 pezzi, già disponibili presso i concessionari Oris, al prezzo di 1.900 euro.

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Code41 X41

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Un orologio nato dalla Community del sito web ufficiale del brand, progettato, sviluppato e assemblato in Svizzera. Consegne dei primi trecento pezzi il prossimo dicembre. In partenza gli ordini della terza serie

Dopo l’Anomaly 1 e l’Anomaly 2 l’X41 è l’ultimo modello creato dal giovane brand svizzero Code41. È un orologio sportivo con design ultra moderno e movimento svizzero prodotto al 90% entro i confini nazionali. 41 è il codice Paese della Confederazione Elvetica, X è un carattere normalmente attribuito a un progetto con forte personalità ma anche eccezionalità, distanza dalle regole. Tutti i componenti del movimento sono lavorati da Timeless Manufacture di Ginevra in esclusiva per Code41.

Voluto dalla Community. Il varo del progetto X41 è passato attraverso alcune fasi intermedie in cui la Community del brand (formatasi sul sito web ufficiale di Code41) ha scelto i caratteri principali (design della cassa, massa oscillante periferica, movimento, grande data…). Quindi è cominciato il processo di produzione. Tutto lo sviluppo è stato fatto in casa ma a dispetto della provenienza dei 297 componenti, Code41 non ambisce al possesso dell’onorificenza “Swiss made” del movimento dell’X41 ed anzi la considera un’attribuzione “ingannevole”. Lo standard qualitativo dell’X41 si basa sul marchio TTO (“Transparency on Origin) che significa una completa trasparenza alla base. Code41 dichiara che il costo di produzione di un X41 è pari a 1.637€ tasse escluse. La strategia è l’utilizzo di qualità e competenze per arrivare a proporre un prezzo di vendita altamente competitivo.

Massa oscillante periferica. La cassa dell’X41 è in titanio grado 2 (oltre il 40% più leggero dell’acciaio) con 42 mm di diametro e 11,7 di spessore. Il design ultra moderno e l’aspetto squelette con ponti, platina ed elementi strutturali a vista (in titanio grezzo o azzurrato) esaltano il suo significato dell’X41: molto "meccanico, con un carattere distintivo e senza tempo. Il movimento, meccanico a carica automatica, presenta l’innovativa massa oscillante periferica. Per ottenere l’efficienza ottimale di funzionamento sono stati risolti alcuni problemi importanti tra cui rumorosità eccessiva ed elevati costi di produzione dei componenti. Il calibro ha una frequenza di oscillazione di 28.800 alternanze l’ora e fornisce un’autonomia di marcia di 45 ore. Sul quadrante l’X41 visualizza ore, minuti, secondi centrali (la lancetta ha la punta arrossata) e grande datario. Questo è visualizzato attraverso due dischi in vetro zaffiro che si ricongiungono alle ore 12 fornendo l’indicazione del giorno mensile. I partner di X41 stanno ultimando l’assemblaggio della prima serie di trecento pezzi (consegne in dicembre. In questi giorni stanno partendo i pre-ordini della terza serie di trecento prezzi, proposti al prezzo di circa 5.400 euro. Al pre-acquisto di un X41 è possibile scegliere la tipologia di cinturino in pelle o un bracciale in titanio.

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Mercedes-Benz 500 E, “Stella” fuori dal coro

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Sviluppata in partnership con la Porsche, la 500 E coniuga sapientemente linee classiche a un vigoroso motore a otto cilindri

La storia odierna è ambientata nei primi anni novanta, periodo in cui la Mercedes si dedica alla realizzazione di un’inedita versione sportiva della Classe E. Questa volta, però, la Casa non si affida alla AMG, bensì instaura una partnership mirata con la Porsche. In altre parole, la Mercedes detta le linee guida del progetto, mentre la Porsche concretizza gran parte del lavoro specifico per tale modello. Il risultato finale è una vettura capace di farsi notare, fin da subito, nel settore delle berline equipaggiate con motori performanti.Motore vigoroso. Prendendo in considerazione l’aspetto estetico, la 500 E non presenta particolari esuberanze stilistiche volte a evidenziare l’animo sportiveggiante. Tutt’altro: la carrozzeria mantiene, nell’insieme, linee funzionali e classiche. I principali tratti distintivi, sotto questo punto di vista, sono rappresentati dall’impiego di passaruota allargati e fari supplementari, inseriti nello scudo-paraurti. Le peculiarità più interessanti, però, riguardano la parte tecnica, a partire dal motore. Seppur modificato ad hoc, si tratta del propulsore già impiegato sulla SL: un 8 cilindri a V di 5 litri, con 32 valvole, in grado di erogare una potenza di 326 cv e una coppia massima di 480 Nm a 3900 giri/min. Al suo fianco, la trazione posteriore e un cambio automatico con convertitore a quattro rapporti. Decisamente interessante anche lo schema raffinato delle sospensioni posteriori, a bracci multipli (cinque per ogni ruota).

La prova di Quattroruote. Il primo contatto con la vettura tedesca si rivela decisamente positivo. Il nostro collega, nel descrivere il comportamento del modello, parte da un’osservazione incentrata sul cambio: non ritenendo determinante il fatto che, nella guida sportiva, i rapporti di trasmissione possono variare in maniera automatica, con sequenze meno soddisfacenti o comunque differenti da quelle che un pilota sceglierebbe con cambio manuale, ogni altra sensazione viene giudicata come pienamente appagante. Le prestazioni sono esuberanti rispetto alle possibilità offerte dalla situazione del traffico perfino in Germania, dove in molti tratti autostradali la velocità è libera. Prestazioni corredate da un comportamento adeguato, caratterizzato da sportività e sicurezza. La velocità massima limitata a 250 km/h si raggiunge rapidamente, con gradevole progressività. Lo sterzo è diretto, pronto e preciso, mentre la notevole stabilità deriva dalla raffinata rielaborazione delle sospensioni posteriori. In conclusione, tenendo conto della caratterizzazione sportiva della Mercedes 500 E, anche il confort viene definito di alto livello.

La quotazione attuale. Se siete interessati a mettervi in garage una 500 E dovete essere pronti a sborsare una cifra compresa tra i 16500 e i 49500 euro, per un modello in perfette condizioni.

Diteci la vostra. A questo punto la parola passa a voi, perché siamo curiosi di sapere cosa ne pensare della 500 E. Andando indietro nel tempo e avendo la possibilità, l’avreste comprata oppure vi sareste orientati su un’altra vettura? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante sul suo conto, potete scriverci una mail all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it.

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Milano AutoClassica: l’edizione 2019 è alle porte

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Fervono i preparativi per la nona edizione di Milano AutoClassica, in programma dal 22 al 24 novembre. Ricca di novità la kermesse sarà facilmente raggiungile, grazie anche alla possibilità di usufruire di fermate speciali di alcuni treni, che arriveranno direttamente in Fiera

L’attesa è (quasi) finita: ancora pochi giorni e poi andrà in scena Milano AutoClassica 2019. Il tradizionale appuntamento meneghino con il mondo dell’heritage si appresta a entusiasmare i propri spettatori, attraverso un’originale esposizione di vetture esclusive: dalle grandi icone del passato alle Youngtimer, affiancate pure da alcuni modelli pronti a scrivere la storia del domani. In altre parole, si tratta di un’interessante contaminazione tra passato, presente e futuro, capace di catturare l’attenzione di appassionati di tutte le età.Facile da raggiungere. Raggiungere Milano AutoClassica 2019 sarà più semplice che mai: Italo ha infatti programmato fermate speciali di alcuni treni, che nei giorni della fiera arriveranno direttamente nella stazione di Rho Fiera Milano. I treni di Trenitalia, invece, arriveranno alle stazioni di Milano Centrale, Porta Garibaldi e Lambrate, da cui sarà poi possibile prendere le linee metropolitane dirette alla Fiera (fermata Rho-Fiera Milano). In alternativa si potrà tranquillamente raggiungere la manifestazione con la propria auto in quanto, in loco, saranno disponibili ampi parcheggi.

Auto di tutti i gusti e per tutte le tasche. Una volta in Fiera i visitatori potranno osservare da vicino auto dei più disparati generi. Vi basti sapere che i marchi pronti ad esporre i loro modelli su una superficie (complessiva) di 50mila metri quadri sono davvero molti. Il folto elenco comprende, tra l’altro, Alpine, Bentley, BMW Club Italia, Jaguar, Land Rover, Lotus, McLaren, Musei Ferrari, Pagani e Porsche Classic. Il tutto in abbinamento a un numero crescente di privati che proporranno modelli di ogni genere, in un esclusivo spazio dedicato. Non mancherà neppure un’area dedicata all’esposizione di ricambi, con circa 200 aziende selezionate. Presso il padiglione 22 si potranno infatti trovare ricambi e accessori d’epoca, modellini di auto, manualistica, pubblicazioni ed editoria specializzata.

Tante novità in programma. Una delle principali novità di Milano AutoClassica 2019 riguarda l’asta organizzata dalla Wannenes, in programma per sabato 23 novembre, alle ore 15.00. La varietà di modelli coinvolti, per un totale di circa 40 lotti, ricopre oltre un secolo di storia: si va da una Ceirano junior, del 1903, fino ai tempi moderni. In mezzo tante vetture dal notevole appeal come un’Abarth A112 5° Serie, un’Abarth 695 Innesti Frontali, un’Alfa Romeo duetto spider, un’Alfa Romeo SZ Zagato e una BMW M3 E30. Altrettanto degne di nota, una Ferrari 308 GTS Carburatori Carter Secco, una Jaguar XK120 OTS, una Maserati Grand Sport e una Porsche 993 Turbo. L’Automotoclub Storico Italiano (ASI), invece, interverrà a Milano AutoClassica con uno stand espositivo più grande rispetto allo scorso anno e un ulteriore spazio esterno, adibito a specifiche gare di regolarità. Last but not least, tra i migliori interpreti internazionali del "ruolo" saranno proprio gli organizzatori del salone di Stoccarda (Retroclassic) a presenziare alla fiera milanese, con un ampio stand.

Prezzi e orari. Milano AutoClassica 2019 si terrà da venerdì 22 a domenica 24 novembre, dalle 9.30 alle 19.00. A questo link è possibile acquistare la prevendita online alla tariffa di 20 euro, mentre acquistando il ticket alle casse l'ingresso costerà 25 euro.

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Alfa Romeo Giulietta 1.8, una berlina di livello

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A due anni dal debutto in società la Giulietta amplia la propria gamma con la versione 1.8: esteticamente è pressoché identica ai modelli già in commercio ma dentro al cofano c’è un 1.8 litri da 122 cv, che la rende una delle berline più potenti nella sua classe

Verso la fine degli anni settanta, nel 1979, l’Alfa Romeo Giulietta rappresenta un modello molto importante per il marchio. A due anni dal debutto in società si conferma una vettura “azzeccata” e particolarmente gradita dal pubblico. Nata come un modello dalla cilindrata media (1.3 litri, per l’esattezza) la Giulietta prosegue un cammino di ampliamento della gamma verso motorizzazioni dalla cilindrata maggiore, confortata dalle richieste del mercato italiano: il 70% della clientela preferisce la variante spinta dall’unità di 1.6 litri.Un motore più grande. In questo contesto vede la luce la Giulietta 1.8. L’aspetto estetico non presenta sostanziali differenze rispetto alle “sorelle” già in commercio. Pertanto, ci si trova di fronte a un’originale berlina a tre volumi, con linea a cuneo e coda alta e tozza. Lo spazio interno è abbondante e può ospitare, al limite, cinque persone. In quattro si viaggia logicamente meglio, perché sia il bracciolo estraibile sia l’ampio tunnel di trasmissione disturbano leggermente l’eventuale terzo passeggero. La plancia è rimasta inalterata: ha un buon disegno, è ben rivestita e curata nella costruzione. I comandi principali seguono lo schema classico, con le ormai consuete leve al piantone. Ottima la dotazione: ci sono tutti gli strumenti indispensabili, integrati da nove spie luminose. Al centro della plancia, in una piccola console, i comandi per la climatizzazione. L’impostazione tecnica, invece, non differisce da quelle conosciuta con le Giulietta precedenti e Alfetta. La sua principale peculiarità, quindi, è la trasmissione transaxle, con motore all’avantreno e cambio al retrotreno. Il propulsore, nel dettaglio, è il 1779 cc già montato sulle Alfetta e dalla potenza leggermente incrementata (a 122 cv). Al suo fianco, la trazione posteriore e un cambio manuale a cinque rapporti. 

La prova di Quattroruote. Il motore ha una notevole potenza, apprezzabile particolarmente a partire 3500 giri/min. Consente di marciare bene anche alle basse velocità, a patto che non si tenti di riprendere al di sotto dei 2000 giri/min. In tal caso il bialbero Alfa manifesta incertezze nella carburazione, specie in città. La silenziosità, specie a velocità sostenuta, non è delle più contenute: rimane il caratteristico (e a volte piacevole) brontolio del bialbero Alfa Romeo. Molto positive anche la brillante accelerazione (cinque stelle) e la ripresa (quattro stelle). Lo sterzo è leggero e preciso mentre i freni sono sicuri e resistenti, con una resistenza alla fatica notevole. L’unico appunto in merito alla meccanica riguarda il cambio, dalla manovrabilità ancora criticabile.

La quotazione attuale. La valutazione odierna di una Giulietta 1.8 può variare da un minimo di 2000 a un massimo di 6000 euro, per un modello in perfette condizioni.

Diteci la vostra. E voi, cosa ne pensate della Giulietta 1.8? Preferita questa versione oppure la 1.3 o 1.6? Nel caso in cui questo modello non vi entusiasmi in generale, su quale auto/marchio vi orientereste? Fatecelo sapere attraverso i commenti qui sotto. Inoltre, se avete una storia interessante legata alla berlina italiana, potete inviarci una mail all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it.

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Arezzo Classic Motors, si avvicina l’edizione 2020

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L’ormai consueto appuntamento annuale con Arezzo Classic Motors, a inizio gennaio, apre ufficialmente la stagione delle mostre scambio dedicate ai veicoli d'epoca. Ecco le prime anticipazioni della prossima edizione

Il primo appuntamento del prossimo anno, dedicato al mondo dell’heritage, è fissato per il fine settimane dell’11 e 12 gennaio. In quel weekend, infatti, l’Arezzo Classic Motors inaugurerà ufficialmente la stagione 2020 delle mostre scambio, con la storica manifestazione, considerata come uno dei più importanti eventi fieristici del Centro Italia nel settore delle auto e delle moto classiche. Non solo: nell’apia superficie della Fiera di Arezzo ci sarà spazio per tutte le sfumature della passione, compresa quella per il modellismo declinato in tutte le sue forme, dalle auto all’oggettistica.Prime anticipazioni. Ogni anno l’organizzazione propone, assieme ai club toscani, registri storici e scuderie presenti, tematiche nuove, per incuriosire e dilettare il pubblico. A tal proposito è stata ufficializzata la tematica della ventiduesima edizione: 110 anni di Alfa Romeo, tra sport e stile. Altre due anticipazioni arrivano dal Club Saracino, la cui attenzione si focalizzerà sulle  “Instant Classic”, e dalla Bimota Classic Parts. Quest’ultima presenterà una mostra relativa all’azienda, che da sempre ha puntato ad affiancare a motori di serie di affermati produttori (europei e giapponesi) una ciclistica sofisticata, con l'impiego di materiali particolarmente hi-tech.

Orari e prezzi. Arezzo Fiere e Congressi, dove si svolgerà la mostra-scambio, si trova al numero 23 di via Lazzaro Spallanzani, ad Arezzo. Gli orari di apertura saranno dalle 8.30 alle 19.00 nella giornata di sabato 11, e dalle 8.30 alle 18.00 nella giornata di domenica 12. Confermato anche il prezzo d’ingresso dello scorso anno: 12 euro per gli adulti, gratuito per i ragazzi sotto i 12 anni d’età.

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Al Mauto una mostra dedicata a Scaglietti

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Il Museo Nazionale dell'Automobile di Torino (Mauto) celebra l’opera di Sergio Scaglietti, con una interessante mostra dal 31 ottobre al 19 gennaio 2020, ed una conferenza il 18 gennaio prossimo, alle ore 15

Nelle sale in riva al Po sono tornate, in questi giorni, alcune delle vetture simbolo della produzione del “maestro” dei carrozzieri che oggi avrebbe cento anni, uomo di fiducia di Enzo Ferrari, artigiano, industriale, prima indipendente e poi dentro il mondo di Maranello. Accanto ad alcune delle Rosse più preziose (250 SWB e GTB Lusso, 275 GTB, 750 Monza), vetture quasi dimenticate come la monoposto BJC del 1960, mascheroni e “fili di ferro” per intenditori, rari documenti filmati, un'intervista a Piero Ferrari, tanti ricordi.Un personaggio unico. Sergio Scaglietti, del resto, non era un carrozziere come gli altri. Partito dal nulla e restato umile tutta la vita, per talento innato ed esperienza aveva raggiunto una conoscenza totale del suo mestiere. Che fossero creature sue o nate alla Pininfarina, venivano costruite letteralmente a mano, „col martello e con la forza“ – come ricorda lui stesso in una intervista proiettata al Mauto. Portiere e parafanghi avevano le sezioni auree, come i templi greci, da deformare leggermente anche sul posto, per ottenere quel risultato che sulla carta non sempre viene. Insieme all’idea iniziale, al pari del disegno dei progettisti, più del calcolo degli ingegneri, erano le mani di Scaglietti a sentire la forma e la consistenza della materia. Facendo scorrere le dita lungo le bombature e le tese, capiva se l’alluminio aveva già dato il meglio, o se si poteva osare ancora un poco. E questo, data la sua preparazione di telaista, valeva anche per lo scheletro della macchina, l’acciaio che tutto reggeva.

I dialoghi con Ferrari. Quando parlava con Enzo Ferrari (suo più importante committente, ma non l’unico) di una nuova macchina, i due sembravano completarsi a vicenda. “Ma io ne avevo paura” ammette ancora Sergio in un filmato d’epoca. “Non si poteva dirgli di no. Tuttalpiù potevo azzardare un mah...un forse...” Ferrari portò Scaglietti in azienda nel ‘53, quando quest’ultimo era ancora un piccolo artigiano. 250 GTO, Testa Rossa, 250 LM, SWB e tante delle rosse oggi più quotate, le ha forgiate lui. Diventò una delle poche persone di cui Enzo si fidava. “Il sabato era un rito – ricorda il festeggiato da uno degli schermi della mostra torinese – Enzo cominciava” se poi, Scaglietti, non vai via... io sono in ufficio. Che era come dire: se stai qui anche domenica... è meglio!

Ricordi emozionanti. Ricordano i fortunati che vissero quella epopea, che andare a trovare Scaglietti a Modena era una festa. Ancor fuori dalla fabbrica si iniziava a percepire il ticchettio costante dei martelli, che entrando diventava musica, con il basso ostinato delle presse in sottofondo. E proprio questa "colonna sonora" la mostra di Torino ha ricreato, con una partitura originale di Marco Robino (autore tra l’altro, delle musiche dei film di Peter Greenaway) che accompagnerà il visitatore in tutte le sale. Poi c’era l’altra musica, quella del dialetto modenese strettissimo, il codice con cui Scaglietti e Ferrari si passavano le loro verità. In fabbrica, in pista, nelle interminabili colazioni e cene nelle trattorie perse tra Modena e Maranello. Sergio Scaglietti è scomparso nel 2011, dopo aver intensamente vissuto novantuno anni. Molto, anzi abbastanza, perché la rivoluzione informatica, la simulazione digitale e il nostro mediocre gusto globalizzato cancellassero quella cultura sopraffina e una manualità invidiabile.

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London to Brighton 2019, una manifestazione di successo

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Domenica 3 novembre oltre 400 temerari hanno preso il via ancora una volta da Londra verso il lungomare di Brighton con veicoli costruiti entro il 1904, nella 123esima London to Brighton Veteran Car Run

Si è aperta sotto una pioggia torrenziale la sequenza di eventi clou della London Motor Week 2019, la settimana di manifestazioni e attività dedicate a tutto quello che interessa il mondo dell'automobilismo, organizzata ogni anno dal Royal Automobile Club. Le ultime due giornate, sabato e domenica, sono sempre dedicate alla storia più remota della motorizzazione, con il Regent Street Motor Show, nel centro di Londra, e la London to Brighton Veteran Car Run, la celebre galoppata da Hyde Park fino al mare che rievoca la prima edizione della corsa 1896.

Oldies protagoniste. Sabato mattina nel cuore dello shopping londinese di Regent Street sono state esposti molti dei veicoli Veteran – costruiti cioè entro il 1904 – che il giorno dopo hanno preso parte alla manifestazione in un grande museo gratuito all'aperto, come sempre con importanti rarità in arrivo da tutto il mondo. L'evento, organizzato insieme al Veteran Car Club of Great Britain, presenta una varietà incredibile di veicoli antichi dell'era delle sperimentazioni, compresi alcuni mezzi strabilianti a vapore e persino elettrici, come la Pope Waverley del 1901 dei celebri magazzini Harrods. Le marche rappresentate sono state ben 120, molte delle quali scomparse anche da più di un secolo.

Coccarde ai vincitori. Fino alle 11 si è temuto il peggio con un acquazzone iniziato un paio d'ore prima e che non sembrava voler dare scampo. Poi, per fortuna, i teli di protezione si sono potuti togliere e la mostra ha preso vita. L'afflusso di visitatori, che già era abbastanza folto sotto la pioggia, ha avuto a quel punto un'impennata che non ha accennato minimamente a diminuire fino alla chiusura, alle 16. La sontuosa via storica che si estende tra le piazze di Piccadilly Circus e Oxford Circus è di consueto anche lo scenario del concorso d'eleganza dedicato alle Veteran, vinto stavolta da una Mercedes Tourer del 1904 proveniente dal Portogallo.

Baciati dal sole. Dopo tanto maltempo, che ha continuato sabato per tutto il giorno a minacciare l'esposizione di Regent Street – per fortuna poi solo con qualche lieve precipitazione a tratti –, domenica l'intera giornata è stata splendida. Da Londra a Madeira Drive bisognava stare attenti a non scottarsi il naso sotto il basco, o magari il cilindro, mentre si procedeva lenti e avventurosi fino al traguardo. Obiettivo, toccare la finish line entro le 16,30, il tempo massimo concesso per percorrere i 97 km previsti. E, stando al comunicato dell'organizzazione, stavolta è arrivato in tempo il 90 per cento dei partecipanti.

Appuntamento all'arrivo. Come l'anno scorso, il tragitto è stato diviso in due all'uscita dalla capitale, in modo da non congestionare il traffico nella periferia, con un successivo ricongiungimento a Croydon dei due flussi di equipaggi: in totale sono state oltre 400 le auto partecipanti e come sempre il pubblico ai lati delle strade è stato enorme e molto caloroso. Poi la sosta con generi di conforto a Crawley, a metà strada, e le famose colline della London to Brighton, lungo la campagna che precede l'arrivo nella città balneare, dove in tanti devono darsi da fare a spingere per superare le salite.

Incidente mortale. Intorno alle otto di domenica sera, il presidente del Royal Automobile Club ha interrotto l'immancabile cena di gala annuale del VCC al Grand Hotel Brighton per dare la triste notizia di una “collisione tra un'auto che stava prendendo parte alla Run e un veicolo moderno, con il conseguente decesso del conducente della Veteran”. Al momento non si conoscevano ancora i dettagli della tragedia, appresi dai giornali il mattino dopo: una Knox Runabout del 1903 ha imboccato per sbaglio l'autostrada M23 all'altezza di Hooley ed è stata travolta da un Tir. Il driver, 80enne, è morto sul colpo; la moglie è stata trasportata in ospedale con un trauma cranico e, stando agli ultimi aggiornamenti, potrà essere dimessa nei prossimi giorni.

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Cent’anni fa scompariva il marchio De Vecchi

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In seguito a una serie di difficoltà, esattamente 100 anni fa, nel 1919,  il marchio automobilistico De Vecchi usciva di scena in maniera definitiva

Sono trascorsi 100 anni dalla scomparsa definitiva del marchio automobilistico De Vecchi. Un’avventura imprenditoriale risalente agli albori dell’industria automobilistica, prima della Grande Guerra, prima delle grandi corse, quando quelli che sarebbero diventati grandi piloti ancora erano alle prime esperienze. Un racconto questo, due volte doppio, perché due furono le aziende legate al marchio De Vecchi, e due le persone che fecero questo marchio grande: Giuseppe De Vecchi ed Ettore Strada.Gli albori dell’industria automobilistica. Era il 1905, il periodo in Italia in cui le carrozze a cavalli stavano per essere sostituite gradualmente dalle carrozze semoventi, che poi sarebbero diventate vere e proprie automobili. Le immagini d’epoca infatti ci restituiscono visioni di veicoli ibridi, simili alle carrozze ottocentesche, a cui mancano però i cavalli, perché si muovono da sole. In Via Bertani 16 a Milano c’è  una bottega al piano terra di un’abitazione. Giuseppe ed Ettore lì gestiscono un'attività di "rappresentanza ed officina di riparazione motociclette ed automobili". Giuseppe in particolare  è un appassionato di velocipedi a motore, ha fatto pratica alla Prinetti & Stucchi di Milano assieme ad Ettore Bugatti.

Nasce la De Vecchi Strada. Il 25 novembre 1905 De Vecchi e Strada fondano la De Vecchi-Strada & C., raccogliendo  fondi tra persone accomunate dalla passione per l'automobile. Ci si trasferisce prima in Via Melzi (vicino Corso  Sempione) e poi in una nuova officina sempre a Milano, in Via Peschiera, 2.

Il primo modello. Inizia la produzione di propulsori, di automobili, e di un  motociclo leggero. Il primo modello di auto,  10/12 Hp, con propulsore a quattro cilindri a doppia accensione, è previsto in due versioni: in autotelaio e completo di carrozzeria.

Le cose non vanno bene. Il 1907 è l’annus terribilis dei problemi economici, la crisi che prelude alla rinascita. Entrano nuovi soci e nel 1908  la ragione sociale muta in "De Vecchi & C. - Accomandita per Automobili".

Si riparte. Si produce ancora, si vende all’estero, anche in Russia.  Sono i modelli De Vecchi & C.: Tipo A (16-20 Hp), Tipo B (20-30 Hp), Tipo D (15-20 Hp),Tipo E (20-25 Hp) e Tipo F (25-35 Hp). Con la vittoria alla Padova - Bovolenta su De Vecchi Strada & C. Tipo10/12 Hp, guidata da Fumagalli, l’auto viene notata per essere la prima in Italia ad arrivare a cento all’ora. Poi è Antonio Ascari a partecipare con la Tipo A 16-20 Hp al Criterium di Modena.

Ettore Strada lascia nel 1912. Intanto sulle De Vecchi si continua a correre, nelle competizioni sportive. Contattiamo il nipote di Ugo Sivocci, Giorgio, che ci racconta di quando il nonno corse sulla De Vecchi e ci fornisce una foto d’epoca della Targa Florio del 1913. A novembre è stato organizzato un seminario dalla  Fondazione De Vecchi a Sesto San Giovanni per ripercorrere anche l’esperienza di Giuseppe De Vecchi e di altri lungimiranti imprenditori protagonisti della storia dell’auto dei primi anni del Novecento. Sivocci ottiene il secondo posto di categoria alla prima edizione della Parma - Poggio di Berceto. Nel 1914 secondo posto  assoluto alla Targa Florio per una De Vecchi 25/35 Hp 5.7, guidata da  Alberto Marani. Poi la Grande Guerra orienta l’azienda verso veicoli veicoli da trasporto, motori per aerei e imbarcazioni. I soci mollano tutti, tranne  De Vecchi, che riparte con degli investitori emiliani. Ancora una volta il nome cambia: si passa alle Officine Meccaniche De Vecchi S.A. , che producono principalmente motori e pezzi singoli, non autoveicoli completi.

Il 1919 è l’ultimo anno di vita del marchio De Vecchi. Con l’uscita di scena del suo fondatore, l’azienda sarà rilevata da altri e si chiamerà Cmn, Costruzioni Meccaniche Nazionali. Ma questa è un’altra storia. Una ne finisce, una ne inizia. Cento anni fa, il coraggio non mancava.

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Un secolo di Ansaldo

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Cent’anni fa iniziava un’interessante avventura imprenditoriale e automobilistica, italiana, chiamata S.A. Ansaldo

Era il 1919, e questa realtà non nasce come impresa autonoma, ma come sezione di un’azienda meccanica italiana, l’Ansaldo, alla luce della necessità di tornare alla produzione civile dopo la fine del primo conflitto mondiale. Non erano mancate sperimentazioni in tal senso già nei primissimi anni del Novecento: lo ricordano alcuni esemplari della vetturetta PF-1VA su autotelaio Peugeot Bébé.L’innovazione. L’attività di questa azienda merita di essere ricordata soprattutto per le innovazioni di prodotto e per quelle di processo. Le prime furono date da schemi di verniciatura bicolore (agli inizi del Novecento diffusi soprattutto negli Stati Uniti), le seconde dall’utilizzo di una forma di pubblicità che anticipò le strategie delle altre case automobilistiche di una generazione.  L’Ansaldo fu la prima impresa del settore in Italia ad utilizzare i redazionali (articoli pubblicitari redatti in stile giornalistico), e addirittura un inserto intitolato “Gazzetta Ansaldo”, pubblicato sul giornale “Auto Italiana”. Siamo negli anni Venti, non c’è internet, chi si informa lo fa leggendo i giornali. Chi legge i giornali è una persona benestante, che, si presume, può anche desiderare di avere un’automobile. E’ quello il target di riferimento.

Una strada in salita. Appena due anni dopo l’inizio dell’avventura, nel 1921, fallisce il socio principale, la Banca italiana di sconto. Il nome cambia in S.A. Automobili Ansaldo e una combinazione costituita dalla crisi economica mondiale e da alcuni errori gestionali porteranno l'impresa ad essere liquidata.  Infatti la crisi del 1929, nel settore automobilistico italiano, è legata sia ad un minor credito e a un minor fatturato che ad una crisi di trasformazione dei procedimenti produttivi, connessa al mutamento del ruolo dell’automobile nella società. Il 1929 è l’anno della Tipo 22, ad otto cilindri, e della Tipo 18, a sei: eleganti e costose. Non sono il prodotto ideale da piazzare sul mercato quando la crisi travolge tutto. Non si progetta più, salvo che per l’utilitaria Tipo 10, che tuttavia non regge la concorrenza della Fiat 509 e della Fiat 503.

Cambio al vertice. Tredici anni dopo la fondazione, l’azienda viene acquisita dalla O.M, ma questi cambiamenti non bastano. Attrezzature e impianti vengono ceduti alle Officine Viberti. Nel 1932 nasce la Ceva (Costruzioni e Vendite Automobili Ansaldo) per rilevare i circa 400 telai Ansaldo ultimati o in corso di lavorazione. Ma è una post-fazione, la storia è già finita.

Una meteora? I pochi anni di vita dell’Ansaldo non devono portare a sottovalutare questa esperienza imprenditoriale, né ciò che significò, nel panorama italiano e internazionale dell’epoca, questo marchio. Fu una delle diciotto aziende italiane che già alla data del salone dell’automobile di Parigi del 1919 avevano ripreso la produzione di veicoli civili. E’ stata subito proiettata verso il futuro.

Lo sport. Negli anni Venti, le gare automobilistiche sono per i nobili. Piloti che, anche in circuito, scelgono di correre su Ansaldo 4 cilindri. Merita di essere ricordato il record mondiale dei sei giorni o dei diecimila chilometri a Miramas, – circuito inaugurato nel 1924 vicino questa città, a sud della Francia – ottenuto con una vettura modello Ansaldo 4C. L’evento si svolse dal 31 agosto al 6 settembre 1925: 144 ore alla velocità media complessiva di Km 72 e 461 m. Allora, voleva dire correre. La Ansaldo 4 C batte tutti i record esistenti al mondo di durata e di distanza, grazie alla guida di due piloti italiani e di due francesi. Le raffinate vetture prodotte dalla Ansaldo (4A, 4B, 4C, 4CS, versione sportiva pilotata da Tazio Nuvolari, 6A e 6B e Tipo 10, un’utilitaria con un buon motore, Tipo 14 e Tipo 15 GS, Tipo 22 e Tipo 18) non si vedono in giro da generazioni, ma fanno tutte parte di questa storia.

 

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Le moto classiche nell’EICMA che guarda al futuro

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Vintage, classic, retrò? Chiamatele come volete, ma le moto con un passato significativo e lo stile immune al tempo non mancano mai all’EICMA

Non fa eccezione la 77esima edizione dell’Esposizione Internazionale Ciclo e Motociclo, che resterà aperta al pubblico per tutto il weekend alla Fiera Milano di Rho. Un’edizione più che mai votata al futuro: lo slogan del 2019 è «Moto Rivoluzionario». Eppure nei sei padiglioni di eicma c’è sempre un buon motivo per esporre una classica: far toccare con mano ai motociclisti più giovani un passato vissuto solo attraverso Youtube o i racconti di papà, valorizzare una linea di abbigliamento ispirata dalla tradizione, raccontare da dove arriva il «nuovo» modello appena presentato. O, semplicemente, per fare colpo su un pubblico che ogni tanto vuole assaporare il gusto dolceamaro della nostalgia.Dalle sabbie del passato.   Come già l’anno scorso per la riedizione della Katana, nel 2019 Suzuki ripercorre l’epopea dei Rally africani per spiegare il «becco» della nuova maxienduro stradale V-Strom. E lo fa ripescando due gloriose DR Big, le massicce enduro monocilindriche anni Ottanta. Ecco la DR Z da 820 cc con le grafiche Marlboro di Gaston Rahier, che al Rally dei Faraoni vinse nel 1984, 85 e 88. Accanto, la DR 750 Big guidata dall’italiano Beppe Gualini alla Paris-Dakar del 1990. Entrambe appartengono alla collezione di Paolo Sacchi.

Chiedi alla polvere.   Dalle due africane alla Regolarità, come veniva chiamato in Italia l’Enduro fino agli anni Settanta: nello stand del marchio di abbigliamento RaceRed brilla il rosso di una splendida Moto Morini Corsaro 125 del 1961. Non è stata sporcata per darle più autenticità: il suo proprietario, il romano Paolo Bartocci, la utilizza regolarmente nelle rievocazioni di offroad d’epoca. Più californiane le suggestioni della special su base Triumph 500 nello stand Hevik, altro marchio italiano che veste i motociclisti. Il bicilindrico verticale e gli scarichi alti stile scrambler rievocano le famose desert sled, le Triumph utilizzate per i rally nei deserti americni negli anni Sessanta. In questo caso, più che dalla sabbia e dalla polvere la Triumph è stata investita da una tempesta di cromo.

Cowboy and indians.   A proposito di deserti americani e di West, attenti alla Indian! A EICMA 2019 ha presentato la nuova Challenger, una bagger carenata spinta dal nuovo motore PowerPlus da 1.769 cc. Una moto in grado di divorare miglia senza scomporsi più di tanto e che rappresenta il futuro prossimo del marchio del gruppo Polaris. In confronto, la prima Scout 750 a valvole laterali è un reperto archeologico. Il bollo di circolazione data 1928, il suo anno di costruzione. Ai suoi tempi la Scout era molto popolare fra i piloti che correvano su strada e in hillclimbing. Grazie all’estetica e alle doti di sportività e maneggevolezza è stata definita «la Indian più bella mai costruita».

60 anni di corsa.   A proposito di racing, in quella immensa portaerei che è l’area Honda è stata riservata una pedana ai 60 anni della HRC, la Honda Racing Corporation fondata nel 1959. Le vittorie e le imprese leggendarie nei Gran premi sono innumerevoli. Intanto ha fatto piacere rivedere una racer meno famosa di altre: la VFR750R RC30 con la quale l’americano Fred Merkel si aggiudicò la prima edizione della World SBK, nel 1988, con l’italianissimo Team Rumi di Bergamo. Altra superbike di razza la Bimota Tesi 1D, che nel 1990 fece furore. A EICMA è la quinta di lusso per la nuova H2, ciclistica italiana e motore sovralimentato della supernaked Kawasaki Z-H2. A proposito del marchio di Akashi, da segnalare la Kawasaki 400 Mach II nel corner della Vintage Series di TCX Boots. Una jap purosangue che raramente è stata avvistata sulle strade italiane.

Scootermania!   Accanto alla nuova Lambretta G-Special 325, che rappresenta un nuovo capitolo del Made in Italy passato in mani straniere (austriache, per la precisione), non si poteva non notare una superba TV 175 seconda serie, personalizzata nel più spettacolare stile mod dal Rimini Lambretta Centre. Verniciatura viola/oro metallizzata, scarichi aperti, cromature e accessori speciali… sicuri che il nuovo sia meglio del vecchio? Ispira performance anche la Vespa Special nello stand di Carbone, azienda italiana specializzata in ammortizzatori sportivi per Vespa classiche e moderne. Del tutto estemporanea invece la presenza nello stand MV di un motocarro MV 98 Turismo rosso fiammante, con il cassone pieno di mele ai quali tutti possono attingere liberamente. Si sa, EICMA fa venire fame – non solo di due ruote…

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Citroën Dyanissima, il bello dell’essenzialità

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Semplice ed essenziale, la Dyanissima nasce con il chiaro intento di replicare il successo fatto registrare dalla 2 CV

Nel dopoguerra, esattamente nel 1948, la Citroen presenta la 2 CV, una vettura capace di affermarsi, fin da subito, come un modello cardine del brand. In quel periodo, infatti, era praticamente impossibile parlare di automobilismo francese senza citarla. Il tempo, però, non si arresta per nessuno: sebbene continui a piacere a molte persone, verso la metà degli anni sessanta anche la 2 CV incomincia ad accusare l’avanzare dell’età. Pertanto, il marchio inizia a pensare di supportarla con l’affiancamento di un nuovo modello, dalle caratteristiche più moderne. Così, nel 1967 viene presenta la Dyane, legata nei concetti costruttivi e nell’impostazione generale alla “sorella”. A un anno dal lancio commerciale, nel 1968, la vettura francese viene prodotta in due declinazioni: Dyane 4, equipaggiata con lo stesso motore di 425 cc della 2 CV, e Dyane 6 (conosciuta in Italia come Dyanissima), spinta dal propulsore di 602 cc della AMI 6.Consistenti legami famigliari. Le sue linee, indubbiamente, sono personali e caratteristiche. La Citroën,, durante le fasi di progettazione, ha certamente tenuto in seria considerazione le esigenze e i gusti del pubblico della 2 CV. Una tesi avvalorata, per esempio, dalla parte anteriore della vettura, che ha mantenuto, pur con una linea un leggermente rivisitata, i parafanghi esterni del noto modello. Le portiere sono invece percorse da costolature ideate per ridurre visivamente l’effetto di eccessiva altezza da terra della vettura, mentre nella coda è rimasto il caratteristico motivo dei parafanghi posteriori. Nel complesso, lo stile della Dyanissima si può associare a una scrupolosa ricerca volta a inserire in un gioco di forme degli elementi moderni, in grado di offrire al costruttore parti utili per uno stampaggio semplice e il più economico possibile delle varie parti. Gl’interni, comodi e sufficientemente spaziosi per quattro persone, si caratterizzano per buone finiture e una strumentazione fin troppo essenziale e minimalista. Prendendo in considerazione l’aspetto meccanico, la Dyanissima deriva dalla AMI 6 perché, a sua volta, l’AMI 6 è derivata dalla famosa 2 CV. Si tratta di una vettura a trazione anteriore, con motore bicilindrico raffreddato ad aria, di 602 cc e 28 cv sae. La leva del cambio a quattro velocità, con comando a leva centrale, è alloggiata nella caratteristica posizione sul cruscotto.

La prova di Quattroruote. Una dettagliata prova su strada, effettuata dalla “nostra” rivista, evidenzia sia i punti forti che i punti deboli del modello. Il motore, considerato come robusto e parco nei consumi, non mette in luce particolari segni di affaticamento, anche dopo lunghe tirate. Ed è proprio l’aspetto dei consumi una delle qualità più apprezzabili della vettura, la quale, anche grazie al basso regime di rotazione del motore, permette al conducente di ottenere risultati soddisfacenti anche mantenendo velocità sostenute. Gli unici appunti, in merito al propulsore, riguardano la poca potenza a disposizione e la rumorosità. La tenuta di strada della Dyanissima viene giudicata come buona, in linea con le sue caratteristiche tecniche. La frizione robusta è dotata di innesti secchi e non molto progressivi, mentre lo sterzo è preciso ma ha l’inconveniente di essere duro a bassa velocità e nelle manovre. Infine, i freni si mantengono efficienti anche dopo un uso intenso, senza presentare particolari sintoni di affaticamento.

La quotazione attuale. L’acquisto di una Dyanissima (1968-1984) risulta decisamente abbordabile, in quanto la sua valutazione odierna ha un range di prezzi compreso tra i duemila e i seimila euro, per un esemplare in perfette condizioni.

Diteci la vostra. E voi, che ne pensate della Dyanissima? Siamo curiosi di sapere se in quel periodo avreste optato per lei oppure per una sua diretta rivale. Fatecelo sapere attraverso i commenti. Inoltre, se avete dei ricordi particolari sul suo conto, potete scriverci una e-mail con la vostra storia all’indirizzo redazione@ruoteclassiche.it.

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A Padova, ritrovate auto d’epoca abbandonate: (probabilmente) verranno demolite

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Durante i lavori di demolizione dell’ex-complesso Serenissima di Padova, all’interno di garage interrati, sono state ritrovate quattro auto d’epoca. La loro triste sorte, la rottamazione, non è ancora così certa…

Conclusasi da poco Auto e Moto d’Epoca 2019, Padova torna a catalizzare l’attenzione degli appassionati del mondo heritage per una curiosa vicenda. Dopo oltre dieci anni dall’ultimo sgombero, datato luglio 2008, l’amministrazione comunale è riuscita ad avviare la fase di demolizione dell’ex complesso Serenissima, considerato come il “Bronx” della città. Una volta liberati tutti gli appartamenti, quindi, l’operazione volta a riqualificare il territorio si è concentrata sull’abbattimento dei garage interrati. Ed è proprio lì che, nelle scorse ore, come prontamente riportato dal magazine locale, c’è stata una scoperta inaspettata: nei garage, infatti, sono state ritrovate quattro auto d’antan, abbandonate a sé stesse.  

Destino crudele. Nel dettaglio, si tratta di una Lancia Fulvia bianca, una Fiat 1100 nera, una 600 azzurrina e una Seat Ibiza blu elettrico. Tutte riportate alla luce, dopo anni al “buio”. Una storia a lieto fine, verrebbe da dire. In realtà, il loro destino è ancora in bilico: in linea teorica, seguendo la burocrazia, dovrebbero andare al macero, ma la rivolta del popolo padovano a questa notizia ha rimescolato le carte in tavola. “Teoricamente tutto quello che viene ritrovato in quest’area è destinato alla discarica” ha commentato l’assessore ai lavori pubblici, Andrea Micalizzi. “Però non abbiamo ancora preso una decisione definitiva in merito alle auto, in quanto dobbiamo valutare anche cosa dicono le norme sui lavori pubblici”. 

Mai dire mai. Come recita un celebre adagio, la speranza è l’ultima a morire, anche perché due vetture, essendo dotate ancora di targa, sono state segnalate alla polizia locale, che sta effettuando delle verifiche per risalire ai proprietari. E se anche non le volessero, siamo certi che in molti sarebbero disposti ad “adottarle” per restaurarle e riportarle al vecchio splendore. Come andrà a finire? Non resta che attendere…   

 

Immagine: Il mattino di Padova

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