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Addio a Carlo Riva: trasformò le sue barche in oggetti di lusso

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Si è spento a 95 anni Carlo Riva, ovunque definito una geniale amalgama di passione e creatività a disposizione della nautica. Trasformò l’azienda di famiglia in un brand di lusso e creò vere e proprie icone tra cui l’Aquarama, simbolo stesso della produzione dei cantieri di Sarnico.

Lutto nel mondo della nautica: è mancato l’ingegner Carlo Riva, esponente della dinastia di costruttori di imbarcazioni sportive e animatore della crescita del cantiere negli Anni 50 e 60 fino alla sua consacrazione tra i brand più importanti del settore e del made in Italy.

Carlo Riva, figlio di Serafino, nacque il 24 febbraio del 1922 a Sarnico, sulle rive del Lago d’Iseo, e già molto giovane iniziò a lavorare nell’azienda di famiglia seguendo le orme del padre, del nonno Ernesto Riva e del bisnonno Pietro Riva, fondatore del cantiere nel 1842.

CAMBIO DI ROTTA
I risultati del suo lungo apprendistato aziendale iniziarono a concretizzarsi negli Anni 50 con l’inaugurazione del nuovo cantiere (oggi sotto tutela architettonica). Il giovane Carlo Riva, in controtendenza rispetto alla precedente gestione del padre Serafino, diede alle imbarcazioni prodotte una personalità differente dalla normale percezione: non più strumenti di mero trasporto o barche da corsa. Le barche prodotte sulle rive del Lago d’Iseo divennero, progressivamente, oggetti di lusso come le automobili, destinati a una clientela appassionata, raffinata ed elitaria.

Le barche Riva divennero simbolo di una grande ricerca stilistica e di qualità costruttiva secondo le rigide regole di Carlo Riva, il quale, di fronte a uno scafo imperfetto, non esitava a distruggerlo. Con questa nuova filosofia iniziò il periodo più prospero per il marchio Riva, nel quale ogni nuovo modello si impose come status symbol, icona di sportività e lusso nell’universo della nautica.

Nacquero in questo periodo (grazie anche all’ingresso in azienda dell’architetto e designer Giorgio Barilani) il Sebino (primo modello a inaugurare la produzione in serie), il Riva Ariston (“disegnato con amore, nato forte e puro come un cavallo di razza”), il Tritone (primo Riva equipaggiato con due motori), il Florida e, nel 1962, il mito Aquarama.

Barche in legno dal design inconfondibile, realizzate con grande cura e attenzione al dettaglio. Tutti i principali protagonisti della Dolce Vita e del jet set internazionale dell’epoca si legarono a un Riva: Brigitte Bardot, Liz Taylor, Sophia Loren, Elton John, Peter Sellers, Anita Ekberg, Sean Connery, Jean Paul Belmondo, Richard Burton, Ingrid Bergman, Aristotele Onassis, Jackie Stewart…

IL RIVA AQUARAMA
La barca sportiva diventata simbolo stesso del marchio fu presentato al Salone della Nautica di Milano nel novembre 1962. Concepito sulla base del Riva Tritone, divenne subito un successo di vendita, apprezzato per il design e per la cura costruttiva.

Motorizzato con propulsori Chrysler (di questo brand era anche il volante) o General Motors, fu prodotto in quattro versioni (oltre all’Aquarama classico anche il Super, il Lungo e lo Special) fino al 1996. Ancora oggi, l’ultimo Aquarama prodotto, telaio 784, è conservato presso il cantiere di Sarnico.

1969: VETRORESINA
Nel 1968 Carlo Riva vendette l’azienda ma continuando, comunque, a dedicarvici tempo, passione e sforzo imprenditoriale. La sua gestione segnò un’altra tappa fondamentale nel 1969, anno di introduzione della vetroresina come materiale strutturale.

La nuova strategia di produzione fu inaugurata con due modelli inediti: il Bahia Mar 20′ e il cabinato Sport Fisherman 25′. Fu una scelta decisamente innovativa per un cantiere molto legato alla tradizione, ma che testimonia il talento imprenditoriale di Carlo e la sua attenzione alle esigenze e al mercato. In quest’ottica creò i Riva Boat Service, veri e propri concessionari ufficiali e officine di manutenzione per le imbarcazioni Riva nel mondo.

LE ALTRE ATTIVITA’ E GLI ANNI RECENTI
Lasciata l’azienda nel 1972 iniziò a collaborare con il Porto Turistico Internazionale di Rapallo che dal 25 luglio 1975 decise di portare il suo nome. Nel 2005 Alberto II di Monaco l’ha insignito del titolo di Personnalité de la Mer.

IL RICORDO DELL’A.D. DI FERRETTI GROUP
Alberto Galassi, Amministratore Delegato di Ferretti Group (il Gruppo ha acquisito Riva nel 2000) ricorda così Carlo Riva: “Ci ha lasciato il più grande di tutti. Il mondo perde un geniale creatore di barche, un maestro di stile, un gigante della storia industriale e imprenditoriale della nostra Italia. Io, personalmente, perdo un maestro, un esempio di genialità, d’impegno e di amore per il lavoro“.

Alvise-Marco Seno


“Il meglio del Cavallino”, tocca agli uomini…

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E’ in edicola il terzo volume della collana “Il meglio del Cavallino”, con la quale Ruoteclassiche vuole celebrare i settant’anni della Ferrari (a 9,90 euro; solo rivista, 5,50 euro). L’uscita è interamente dedicata a “Gli uomini” che hanno reso grande la Casa di Maranello nel mondo: la famiglia innanzitutto, ma anche i manager, i progettisti, gli stilisti, i piloti e per finire le figure meno note perché abituate a calcare il backstage, come meccanici, collaudatori e concessionari.

Ecco l’introduzione del volume (di 144 pagine)
Una settantina di personaggi. Uomini veri che hanno forgiato il Cavallino rampante in acciaio inossidabile. Ritratti un po’ fuori dai soliti schemi. Abbiamo cercato, nel dipingere questi brevi affreschi di vita, di fare emergere il lato umano degli uomini del Cavallino, più che i dati e i fatti. Sono questi i “capitani coraggiosi” che hanno colorato di Rosso Ferrari il mondo intero.

A partire, ovviamente, dal fondatore Enzo Anselmo Ferrari e i suoi figli Dino e Piero. A me Ferrari piace chiamarlo Commendatore, più che “Drake”, “Mago”, Ingegnere eccetera. Perché nel dialetto modenese Commendatore si dice “Comandatùr”, come a intendere “Colui che comanda”. Il “Capo”, insomma. In effetti questo è stato il suo ruolo: ha comandato. Sotto di lui, la truppa.

Dapprima un nugolo di uomini votati al successo. Poi sempre di più. A mano a mano che l’impresa si faceva grande e diventava la più incredibile epopea della storia dell’automobile: la Ferrari. Progettisti, stilisti, designer, dirigenti, direttori sportivi, venditori e, naturalmente, piloti. Tutti hanno aggiunto qualcosa di proprio a questa grande avventura. Tutti hanno messo la loro vita al servizio del “Comandatùr”, alcuni in senso figurato, altri, purtroppo, in senso letterale.

Nelle pagine troverete la nostra selezione. Non è stato facile scegliere, tanto è vasta la rappresentanza di personaggi di valore e caratura nei settant’anni della Ferrari. Sicuramente abbiamo tralasciato qualcuno d’importante. Ce ne scusiamo: non era nostra intenzione. Ferrari e gli Uomini di Ferrari. Durante e dopo di Lui. Questo è quindi il contenuto del terzo volume dei nostri “Speciali” dedicati ai settant’anni della Casa di Maranello.

Il prossimo appuntamento in edicola è a maggio con il quarto volume: “Il meglio del Cavallino – X-Ray”. Ovvero i disegni con gli spaccati delle Ferrari più importanti, da corsa e da strada, con i nostri commenti sui principali dettagli tecnici di rilievo.

Marco Di Pietro

Mini Remastered: classico e moderno insieme

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E meglio il suono “perfetto” di un CD o emoziona maggiormente il fruscio di una puntina che “striscia” sul vinile? E’ più comodo massaggiare la pelle con un modernissimo e preciso rasoio elettrico o è più suggestivo investire più tempo con un complesso set composto da schiuma, pennello e lama? E’ più soddisfacente la comoda versatilità di un’auto moderna o la scomoda e ancestrale emozione di guidare un’auto d’epoca? All’ultimo interrogativo David Brown Automotive di Coventry offre una soluzione intermedia, studiata per cercare di non allontanare la guida di un’automobile dai piaceri di un’automobile classica ma – nello stesso tempo – offrire molti servizi che solo una macchina di oggi può dare (affidabilità, comfort, funzionalità).

Nella sconfinata offerta di auto moderne i costruttori propongono sempre di più auto storiche-moderne, costruite (o restaurate) secondo il progetto dell’epoca ma con l’utilizzo di materiali e processi attuali. Oppure c’è una soluzione intermedia: “ringiovanire” parzialmente un’auto storica e creare un ibrido di moderno ma antico, di classico ma con un tocco di modernismo.

Mini Remastered è il secondo progetto di David Brown Automotive, marchio britannico che ha deciso di unire in pari percentuali elementi classici e moderni all’interno di un’automobile. Il risultato è una Mini d’epoca, quasi fedele nello stile ma profondamente ringiovanita con un generale processo di aggiornamento, per il quale vengono investite oltre 1.000 ore di lavoro, e dotata di tutti i comfort capaci di essere ospitati nel suo piccolo abitacolo.

Dalla semplice utilitaria, quindi, la Mini Remastered entra nelle alte sfere dello sfizioso oggettino di lusso, ricco di amenità e perfetto per saziare l’appetito di esibizionismo.

MIGLIORATA FINO ALLA NUDA LAMIERA
Il punto di partenza è una Mini d’epoca, che viene smontata fino alla nuda lamiera (quando non si tratta di un esemplare in cattive condizioni che necessitasse di un restauro) per essere innanzitutto sottoposta un trattamento di rinforzo della scocca e di aumento del comfort acustico.

La carrozzeria viene aggiornata con parafanghi allargati, fari posteriori a led incorniciati da una struttura in alluminio e una complessa verniciatura (il processo dura un mese intero) eseguita interamente a mano.

MOTORE
Sotto il cofano anteriore pulsa ancora un 4 cilindri di 1,275 litri, con circa 80 cavalli di potenza. Ma ogni motore viene completamente smontato, revisionato e ricostruito con componentistica nuova e moderna, capace di offrire maggiore qualità in termini di affidabilità e resistenza all’uso. Il risultato è un guadagno di potenza superiore al 30% e una durata non paragonabile a quello di una Mini storica. La trasmissione si avvale di cambio a 5 marce, anch’esso completamente revisionato e adattato all’utilizzo moderno.

INTERNI
L’abitacolo essenziale e scarno della Mini si trasforma in un piccolo salottino, modificato e arricchito di accessori fino a conservare del vecchio cockpit solo gli ingombri. La versione Remastered, infatti, viene aggiornata con nuovi sedili (moderni e più confortevoli) rivestiti in pelle, nuovi pannelli porta, nuova plancia e tunnel centrale. La dotazione di serie, del resto, non rispecchia più la natura della minuta city car britannica: sistema infotainment con navigatore, impianto audio e Bluetooth, climatizzatore automatico,

PREZZI
l prezzo base di una Mini Remastered supera abbondantemente 60.000 Euro. David Brown Automotive propone due serie limitate: le special edition Inspired by Café Racers e Inspired by Monte Carlo sono limitate a 25 esemplari ciascuna e personalizzate negli esterni e in abitacolo. Per entrambe, inoltre, è riservata una versione speciale del motore con 98 cavalli di potenza.

Alvise-Marco Seno

Marchi scomparsi: Züst

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Nel 1917 gli stabilimenti e il marchio dell’azienda automobilistica Züst vengono ceduti alle Officine Meccaniche. Sono trascorsi 100 anni dalla chiusura di questa fabbrica, la cui storia, come quella di tante imprese, alterna momenti di gloria a periodi di difficoltà e si intreccia con un’altra Storia, quella del nostro Paese.

Tutto comincia quando nel 1878 l’ingegnere Roberto Züst entra a far parte della Güller & Croff. Si tratta di un’impresa di costruzioni meccaniche e di macchine di precisione fondata nel 1854 a Intra (frazione del comune di Verbania), azienda che Züst rileva quindici anni dopo.

Più tardi (siamo al 1903) i suoi figli Roberto, Arturo, Otto, Bruno e Silvio Züst fondano la “Züst ing. Roberto – Fabbrica Italiana di Automobili” con sede e stabilimento a Intra e con un capitale sociale di 1.500.000 lire. Tre anni dopo, nel 1906, si decide di fondare la Brixia-Züst a Brescia per la produzione di veicoli di serie più leggeri ed economici. Le Officine Züst sono le prime in Italia e tra le prime al mondo a funzionare, in parte, con l’energia elettrica.

I primi modelli sono la 28/45 Hp e la 40/50 Hp con motori a 4 cilindri di 7.432 cc e di 11.308 cc. Un’azienda sobria: poca pubblicità, alcune vittorie sportive e sempre bella figura in tutte le gare a cui partecipa.

Nel 1908 l’azienda corre nel rally New York- Parigi: lo fa con la 28/45 Hp guidata dal pilota Sirtori con il meccanico Haaga, di appena vent’anni. C’è anche il giornalista de Il Mattino di Napoli Antonio Scarfoglio. La gara è lunga, si deve attraversare il continente americano, lo stretto di Bering, la Siberia, ma la Züst si rivela un’auto sicura e arriva terza (e dopo la squalifica della classificata, seconda).

La produzione della Züst nel 1908 comprende 3 modelli: 15/25 hp, 35/50 hp, 50/60 hp. Al Salone di Torino di quell’anno l’auto viene apprezzata ed Enrico Maggioni, che si distingue nella guida, diventa il rappresentante generale sia dell’auto che della Brixia. Però già l’anno dopo il bilancio si chiude con una perdita di 80.000 lire. Per quei tempi, non sono spiccioli.

La Züst si concentra sulla fornitura di camion militari: questo indirizzo produttivo aumenta con l’inizio della prima guerra mondiale e l’impresa si specializza soprattutto nei motori d’aviazione. Ma la crisi è forte.

La denominazione sociale muta in Società Anonima Züst Fabbrica Automobili – Brescia – Milano, dopo l’assorbimento della Brixia-Züst, ancora in perdita secca, e la liquidazione della società Züst Motor Ltd di Londra, sull’orlo del fallimento.

L’ultimo modello di Züst è la 15/25 Hp S 365, con cilindrata di 2952 cm³, commercializzata nel 1916. Poi, cento anni fa, la cessione alle Officine Meccaniche. La Züst esce dal mondo automobilistico, lasciando il ricordo di un’azienda sobria, ma capace di grandi “accelerazioni” sia in pista che nel campo dell’innovazione.

Elisa Latella

Archivi fotografici: l’auto e la Grande Depressione

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L’Università di Yale ha messo online il proprio gigantesco archivio di fotografie scattate durante uno dei periodi più difficili attraversato dagli Stati Uniti, quello della Grande Depressione scaturita dal crollo di Wall Street del 1929. Si tratta di un immenso spaccato sociale nel quale anche l’automobile ha avuto un ruolo da protagonista. Soprattutto per quelle centinaia di migliaia di persone in fuga dalla siccità e dalle tempeste di polvere che hanno colpito le pianure dell’Oklahoma, costrette ad abbandonare la propria terra e le proprie fattorie attratte dal miraggio lavorativo in California.

Una migrazione di massa, interna agli Stati Uniti, che ha riguardato prevalentemente la popolazione bianca: braccianti impoveriti dalle espropriazioni bancarie, finiti nei campi di lavoro e sfruttati dai padroni dell’Ovest, per nulla sensibili al dramma che aveva colpito dei loro fratelli. Una condizione magistralmente raccontata da John Steinbeck nel suo capolavoro “Furore” che in queste immagini viene documentata visivamente attraverso scatti carichi di umanità e drammaticità.

Nella gallery che vi proponiamo abbiamo selezionato le fotografie nelle quali è l’automobile a svolgere un ruolo da protagonista. Auto degli anni ’20-’30 stracariche di persone e di masserizie diventate la casa viaggiante di questo esercito di poveri migranti e l’unico mezzo di trasporto utile per quel viaggio disperato alla ricerca di una nuova vita.

Immagini che l’Università di Yale ha da poco messo a disposizione di chiunque fosse interessato anche a questo aspetto della storia, tra le quali numerose sono quelle scattate da nomi famosi della fotografia, come Walker Evans, Dorothy Lange, John Vachon, Gordon Parks, Marion Post Wolcott e altri ancora.

Il sito consente la navigazione per chiavi di ricerca, per nome dei fotografi oppure attraverso una gigantesca mappa interattiva che permette di visionare le immagini località per località. Le fotografie coprono un arco temporale che va dal 1935 al 1945: dalla crisi più nera a quello della rinascita del paese.

Gilberto Milano

 

Archivi fotografici: l’auto e la Grande Depressione

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Targa Florio, al via l’edizione 101

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Superata la boa delle 100 edizioni la classica siciliana torna a riproporsi come uno degli appuntamenti da non perdere nel panorama delle competizioni di regolarità per auto storichenitaliane. Questo week-end partirà da Palermo la 101ma edizione della Targa Florio Classica, riservata alle auto costruite prima del 1977.

Il programma prenderà il via domani 20 aprile dal centro di Palermo per poi snodarsi in tre tappe che porteranno la colonna dei partecipanti a Taormina, quindi nell’entroterra messinese per chiudere domenica 23 aprile con il ritorno a Palermo dopo aver attraversato alcuni luoghi celebri del Circuito delle Madonie.

In realtà la Grande Corsa siciliana non è solo riservata alla gara di regolarità ma prevede ben tre eventi in contemporanea: oltre alla Targa Florio Classica si terranno anche la Targa Florio Rally Internazionale di Sicilia, terza prova del Campionato Italiano Rally, e la Targa Florio Historic Rally, terza tappa del Campionato Rally Auto Storiche. Alle quali si aggiunge il Ferrari Tribute, riservato alle Ferrari di ogni epoca.

In totale sono 210 gli iscritti, distribuiti nelle tre manifestazioni. Di cui 100 alla targa Florio Classica, 69 al Targa Florio Historic Rally e 41 al Targa Florio Rally Internazionale di Sicilia. Numerosi i top driver presenti, soprattutto all’evento riservato alla competizione di regolarità. Tra loro, i siciliani Giovanni Moceri, della Scuderia Loro Piana Classic, su Fiat 508C del 1938; Antonino Margiotta, della Scuderia Volvo Club, su Amazon 121 del 1958 e Angelo Accardo su Fiat 1100 103 N del 1957.

A sfidare i contendenti locali un nome noto della specialità, il pluricampione bolognese Giuliano Canè, della Scuderia Loro Piana Classic, su Lancia Aprilia del 1938. Al via anche Roberto Giolito, responsabile del dipartimento Heritage di FCA – Fiat Chrysler Automobiles.

G.M.

Targa Florio, al via l’edizione 101

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Settant’anni di Polizia Stradale

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Era il 26 Novembre 1947 quando, con un decreto legislativo dell’allora Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola, fu decisa la riorganizzazione della Polizia Stradale per come la conosciamo oggi. Scopo della creazione del Corpo: “La prevenzione e l’accertamento dei reati lungo le pubbliche strade, l’osservanza della disciplina della circolazione ed il controllo sui mezzi circolanti, le segnalazioni relative alla sicurezza della viabilità, le operazioni per i soccorsi automobilistici e la vigilanza per la conservazione del demanio stradale…”. In pratica: garantire la libertà di circolazione a chiunque.

Con l’occasione oggi è stato presentato anche il logo del 70° anniversario, una stilizzazione del famoso centauro pronto a scoccare una freccia verso il futuro, accompagnato da una mostra dei mezzi storici, auto e moto, utilizzati negli anni dagli agenti della Polizia Stradale fino ai più moderni, rappresentati da una Lamborghini Huracan LP 610-4 e da una Alfa Romeo Giulia 2.0 Turbo Q4 Veloce.

Tra le moto, una bella sfilata di Moto Guzzi: dall’Airone 250 del 1952, al Falcone 500 del 1963 e del 1967, al Nuovo Falcone del 1970, al V7 Sidecar del 1971; per finire con le moderne Bmw R 1200 RT. Le quattro ruote erano invece rappresentate dall’Alfa Romeo 51 Matta del 1954, dalla Giulietta 1300 TI del 1960, dalla Lancia Flaminia del 1962, dalla Fiat 1500 del 1966 e dalla Alfa Romeo Giulia Super 1600 del 1971.

Settant’anni raccontati con molta intensità anche da un video di poco più di cinque minuti che ha il merito di riportare in estrema sintesi il rapporto molto stretto della Polizia Stradale con la vita quotidiana di ognuno di noi e con gli eventi più importanti della storia del nostro paese.

G.M.

Terre di Canossa 2017: partita la settima edizione

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Ha preso il via questa mattina la settima edizione della manifestazione di regolarità che si snoda tra l’Emilia, la Liguria e la Toscana attraversando città d’arte, borghi medioevali e paesaggi che appartengono all’Italia più bella. Il tutto condito con un percorso enogastronomico rispettoso della tradizione delle località attraversate, con soste e serate in location esclusive.

La pioggia di richieste pervenute all’organizzazione ha costretto la direzione di gara ad allargare la partecipazione a 111 equipaggi anziché i soliti 100. Saranno così 14 le nazioni rappresentate, 27 le case automobilistiche.  Trenta le scuderie presenti, la Bergamo Corse è la più numerosa, con 14 equipaggi al via, seguita dal team Loro Piana Classic (8 equipaggi) e dal team internazionale Amici Senza Frontiere (7 equipaggi). In totale, 45 auto italiane, 42 inglesi, 22 tedesche, una francese e una americana.  

Alle 111 auto storiche presenti si sono aggiunte anche sette Ferrari moderne in omaggio ai 70 anni del marchio di Maranello, tra le quali una “488 Spider 70esimo”, unico esemplare di una delle 70 livree speciali realizzate dalla Casa. L’auto più vecchia in gara è invece una Bentley del 1923.

La gara si svolge su un percorso di circa 650 km e prevede 89 prove a cronometro più una prova di media con rilevamenti segreti. Dopo il via da Parma e le prove a cronometro all’Autodromo di Varano de’ Melegari, e dopo aver toccato Borgotaro, “capitale” del fungo porcino e, attraversato il Passo di Cento Croci, dopo essere giunti al Golfo della Spezia, toccato Portovenere, costeggiato il Golfo dei Poeti, il Castello di Lerici, le prove a Montemarcello e Punta Bianca, in serata la colonna dei partecipanti arriverà a Bocca di Magra.

Il percorso del sabato sarà dedicato invece alla Toscana. Prima il passaggio nel centro di Pisa, quindi la sfilata sulle antiche mura di Lucca, il pranzo nello storico chiostro del Real Collegio, l’arrivo di tappa al Duomo di Pietrasanta, si chiuderà la giornata a Forte dei Marmi, con il Beach Party con musica dal vivo sulla spiaggia del Bambaissa.

Domenica 23 il ritorno in Emilia, attraverso le strade delle Alpi Apuane, i tornanti del Passo di Pradarena, per giungere al Castello di Carpineti, una delle principali roccaforti dei territori della Gran Contessa Matilde di Canossa. Quindi ripartenza verso Reggio Emilia dove, sui Ponti di Calatrava, i partecipanti si sfideranno per il Trofeo Tricolore. L’arrivo è previsto a partire dalle 15.00 in Piazza della Vittoria a Reggio Emilia.


Peugeot 305: 40 anni fa design e sicurezza à la page

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Il primo modello Peugeot chiamato a utilizzare le cifre “05” nella denominazione era il frutto di un attento studio sulla sicurezza passiva, una variabile ancora non considerata fondamentale nella progettazione di un’automobile. Il prototipo VSS (Véhicule Synthése Sécurité), presentato nel 1974, aveva svolto l’efficace ruolo di muletto sperimentale per lo studio delle soluzioni implementate sulla nuova berlina di classe media.

La novità tecnica di maggiore rilievo era la presenza di frontale e posteriore a struttura “collassabile”. Grazie alla elevata capacità di deformazione di queste due zone, infatti, la vettura realizzava un vero e proprio “assorbimento” dell’urto in caso di impatto. Non solo: erano presenti anche protezioni per le fiancate e per il serbatoio del carburante.

MOTORI
Il powertrain della 305 seguiva uno scheda assolutamente classico: propulsore anteriore-trasversale, trazione anteriore, sospensioni indipendenti (McPherson anteriore, bracci obliqui al posteriore come sulla Peugeot 304). Al lancio Peugeot propose due motorizzazioni 4 cilindri a benzina: 1.290 cc per 65 Cv (in allestimento GL o GR) o 1.472 cc da 74 Cv (più ricco allestimento SR). Entrambi erano collegati a un cambio a 4 marce.

EVOLUZIONI SUCCESSIVE
Il primo importante ampliamento arrivò con il motore Diesel. La 305 GRD, presentata nel ’79, montava un 4 cilindri 1.5 con 49 cavalli, invero piuttosto sotto tono. Nel 1980 apparve invece la versione Station Wagon, denominata 305 Break. Tra le sue caratteristiche qualificanti figurava il retrotreno con molle orizzontali, schema utilizzato per aumentare lo spazio di carico. La gamma fu quindi ulteriormente ampliata da una versione entry level, dalla 305 S con motore 1.5 portato a 89 cavalli e dall’introduzione di nuovi accessori.

Con il (profondo) restyling del 1982 la Peugeot 305 introdusse una serie di novità stilistiche (frontale e coda aggiornati), di equipaggiamento, motoristiche ma, soprattutto, strutturali. La nuova scocca, modificata nella parte anteriore, accoglieva una nuova sospensione e nuove motorizzazioni: via il 1.5 Diesel per lasciare posto a un 1.9 Diesel a 65 Cv, nuova versione “GT” – in sostituzione della S – con motore 1.6 da 94 Cv.

A partire dal tardo ’83 furono aggiunte la 305 GTX con motore 1.9 benzina da 105 Cv e la versione 1.6 Automatic con trasmissione automatica a 4 rapporti, seguite l’anno successivo, dalla 305 S5 e dall’eliminazione del motore da 1,5 litri in favore del propulsore 1.6 della 305 GT (che beneficiò del 1.9 della 305 GTX) ma depotenziato.

Il 1986 vide il pensionamento della 305 Base e della 305 GT con conseguente sparizione dei motori 1.3 e 1.6 e il 1987 fu, infine, l’ultimo anno di piena produzione: Peugeot presentò la nuova 405, il modello destinato a raccogliere l’eredità della 305, quest’ultima oggetto di una prima strategia di “ritirata”. Peugeot stabilì una unica versione con carrozzeria berlina disponibile a listino, la 305 GLS, motorizzata con il 1.5 da 80 Cv o il 1.9 da 65, e la 305 Break con 1.5 o 1.6 a benzina e 1.9 a gasolio.

La 305 berlina fu tolta definitivamente di produzione nel 1988 e la 305 Break l’anno successivo. Il volume totale di produzione è stato di 1.649.177 esemplari.

Alvise-Marco Seno

Targa Florio Classica 2017: il tris di Moceri

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Si è conclusa domenica pomeriggio 23 aprile con la premiazione in Piazza Verdi a Palermo la Targa Florio Classica, gara di regolarità per auto storiche organizzata da AC Palermo e andata in scena accanto alla 101esima edizione della “cursa” riservata alle auto da rally moderne e funestata, purtroppo, da un brutto incidente. Per ragioni ancora da chiarire hanno perso la vita un commissario di percorso e il pilota di una vettura in gara ed è rimasta ferita in maniera seria anche la navigatrice. Manifestazione  immediatamente sospesa.

Diverso e più disteso epilogo invece per la “Classica” che, dopo aver fatto trotterellare per quattro giorni sulle strade sicule una sessantina di auto storiche costruite fino al 1977  (“mai fatta tanta autostrada in una gara di regolarità!” borbotteranno molti) ha visto il top driver beniamino locale Giovanni Moceri del Loro Piana Classic Team, navigato dalla moglie Daniela Dicembre e su Fiat 508C del 1938, conquistare un meritatissimo podio dopo aver condotto la gara sin dalle prime battute. 

Alle loro spalle Angelo Accardo e Linda Messina su Fiat 1100 del 1957 della Scuderia Amaranto Montebello e l’inossidabile Giuliano Canè con la moglie Lucia Galliani sempre con i colori della Loro Piana Classic Team e autore di una incredibile rimonta dopo aver dovuto risolvere per una notte intera guai tecnici alla sua Lancia Aprilia del 1938. Ancora una volta un boccone amaro questa gara per l’altro campione di Trinacria Nino Margiotta ritirato per un guasto ai freni e comunque ottima prestazione di tutto il Team Volvo che ha lottato con il coltello tra i denti per l’intera Targa perdendo il podio solo all’ultimo.

Gara vissuta sul campo anche per il team di Ruoteclassiche con l’equipaggio Giudici-Minerbi che ha preso parte alla manifestazione dall’abitacolo in allestimento “sperimentale” del prototipo di una Alfa Romeo 1750 del 1962 di proprietà del collezionista Corrado Lopresto, ritirata sulle battute finali per noie meccaniche. 

Massiccia anche la presenza di Alfa Romeo della squadra ufficiale di FCA Heritage, main sponsor della corsa, che ha visto schierati Curci-Sivocci su Alfa Romeo Giulia GTA e Giolito-Buonamassa su Giulietta SZ, oltre a una ampia schiera di vetture della Scuderia del Portello insieme al suo presidente Marco Cajani e alla presenza di pezzi di grandissimo pregio come la 6C 1750 GS Brianza del collezionista svizzero Axel  Marx. 

Il calore unico del popolo di Sicilia ha regalato grande soddisfazione a tutti i partecipanti provati dalla lunga gara che ha avuto un disegno del percorso forse troppo sbilanciato per far divertire i 30 equipaggi del Tributo Ferrari to Targa Florio. Ecco, c’è da sperare che si pensi più alle storiche che alle moderne nelle prossime edizioni. Altrimenti succederà che le auto anteguerra o protagoniste della vera Targa Florio come la Tatra TF, qui in gara nel 1925, dei cechi Zabran-Pollak (“una volta e mai più!”) non ritornino. Per non impoverire lo spettacolo per il meraviglioso pubblico siciliano, vale certamente la pena organizzare percorsi diversi per i due gruppi. 

David Giudici
foto di Nicolò Minerbi

Villa d’Este Style 2017: piccolo è bello

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Il più piccolo raduno automobilistico al mondo ha fatto il pieno di pubblico. È bastata infatti la presenza di sette vetture d’epoca speciali per attirare una folla di curiosi e appassionati. È accaduto sabato 22 aprile a Cernobbio, sul Lago di Como, nella piazza dell’imbarcadero, a due passi da Villa d’Este dove le auto di quello che può considerarsi a ragion veduta il raduno di auto più esclusivo che ci sia, si sono mostrate al pubblico per la prima volta.

Parliamo del Villa d’Este Style, il meeting annuale (arrivato alla sua sesta edizione) che ogni anno riunisce nella splendida cornice dell’albergo di Cernobbio le uniche auto che hanno nel proprio nome quello appunto di Villa d’Este: le Alfa Romeo 6C 2500 SS costruite dalla Carrozzeria Touring tra il 1947 e il 1949.

Non auto qualsiasi quindi, ma alcune delle più rare Alfa Romeo della storia. Quattro delle trentadue 6C 2500 SS Villa d’Este costruite (ma delle quali solo di 17 si conosce l’esistenza) più tre invitate speciali, altrettanto rare ed esclusive: la monoposto Alfa Romeo GP Tipo 158 “Alfetta”, vincitrice del primo Campionato Mondiale di Formula 1 del 1950 con al volante Nino Farina; una RLSS del 1925, e una 6C 2500SS cabriolet carrozzata Pinin Farina.  G.M.

Villa d’Este Style 2017: piccolo è bello

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A Garlenda i 60 anni della Fiat 500

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Un intero paese mobilitato per un evento che si preannuncia storico: il 60° compleanno della utilitaria più amata dagli italiani (è nata nel 1957). Succede a Garlenda, nell’entroterra di  Alassio, Savona, dal 1984 capitale mondiale di questo modello, dove tutto e tutti parlano di Fiat 500: dal sindaco al farmacista, dal ristoratore al falegname, dall’albergatore all’estetista, dalla massaia alla maestra d’asilo, dal salumiere ai medici del 118, ai Garlendini tutti.

Grazie alla sede del Fiat 500 Club Italia (che con i suoi oltre 21 mila iscritti è il sodalizio più grande del mondo), al museo, ai negozi di ricambi e ad altre attività legate a questo modello Garlenda è diventata famosa nel mondo. Un caso più unico che raro nel panorama del collezionismo storico.

Garlenda ospita ogni anno anche un affollatissimo meeting internazionale dedicato alla Fiat 500, al quale partecipano collezionisti provenienti  dai cinque continenti. E quello di quest’anno rischia di battere tutti i record. Anche del record del 2007, quando, per il 50° compleanno, si riunirono a Garlenda 1.438 Fiat 500.

L’appuntamento è per il 7- 8 -9 luglio prossimi, con un programma piuttosto ricco di iniziative che vede l’intero paese coinvolto nei preparativi in modo da accogliere con il minor disagio possibile le migliaia di appassionati attesi in quei giorni. Qui, in dettaglio, tutte le iniziative previste. G.M.

 

Uno sguardo a Ruoteclassiche di maggio

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Maggio è il mese della Mille Miglia. E quest’anno la mitica Freccia Rossa festeggia un duplice anniversario tondo: i suoi novant’anni e i sessanta dall’ultima, drammatica edizione storica, funestata dall’incidente di Alfonso De Portago. Ovvio quindi che all’argomento venga riservato uno spazio “Speciale” (di ben 18 pagine), nel quale guidiamo i lettori in una cavalcata fatta di aneddoti, curiosità, numeri, memorie, ricordando i piloti e le macchine che l’hanno vinta, ma anche chi ha contribuito a farne rinascere il mito con le edizioni rievocative (Costantino Franchi). Con un occhio ovviamente agli ultimi aggiornamenti su quella che sta per partire.

aperturaAU Mille Miglia Storia 2Altrettanto tondo – mezzo secolo – l’anniversario della Citroën Dyane, che celebriamo dedicandole la copertina del numero, un’”Impressione di guida” dal titolo “Simpatia contagiosa” e una serie di “pillole” e curiosità che ruotano attorno alla comunicazione che ne accompagnò il lancio sul mercato. La “Regina” è la Ferrari 212/225 Le Mans Touring del 1951, alla quale abbiamo aggiunto anche una “coda” su strada.

Tra le vetture, spazio anche alla Fiat 1100/103 TV (1956), alla Volkswagen 1100 De Luxe (1952) e al “Test a test” che vede protagoniste le Lancia Beta Spider 1600 (1978) e Beta Montecarlo Spider (1975).

La nuova “Copertina d’autore”, per i trent’anni di Ruoteclassiche, è affidata alle sapienti mani di Marcello Gandini, padre delle Lamborghini Miura e Countach (quattro pagine d’intervista, alle quali seguirà presto quella video).

aperturaAU FERRARI 212 ETutti da gustare i pezzi sui campioni che si sono cimentati con successo sia con le due sia con le quattro ruote (Nuvolari, Varzi Hailwood, Ascari, Surtees, Agistini, Cecotto, per arrivare a Valentino Rossi) e quello sul Panda Raid, che ha coinvolto oltre 300 esemplari di questo modello nel deserto del Marocco.

Ricche, come sempre, le sezioni attualità  e “Gareclassiche” con un reportage da Techno Classica di Essen e le principali gare di regolarità d’inizio stagione: Franciacorta Historic, Valli e Nebbie, Sanremo Rally Storico e Trofeo Foresti. La “Tecnica” si sofferma sul motore a 3 cilindri in linea, mentre per le “Vendite all’asta” abbiamo puntato l’obiettivo sull’incanto organizzato da Bonhams nel contesto del Goodwood Member’s Meeting.

aperturaFT TECHNOCLASSICA ESSENIn concomitanza con l’uscita di Ruoteclassiche di maggio, ricordiamo che in edicola – a 9,90 euro con la rivista – troverete anche il quarto volume de “Il meglio del Cavallino”, dedicato alle Rosse viste ai “raggi X”.

Buona lettura!

 

Uno sguardo a Ruoteclassiche di maggio

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Marchi scomparsi: FIAM, Fabbrica Italiana Automobili e Motori

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Sono trascorsi 90 anni. Era il 1927, l’anno in cui chiudeva la Fiam, Fabbrica Italiana Automobili e Motori, che aveva aperto i battenti solo sei anni prima, nel 1921.

Tutto comincia quando Amedeo Peano, ingegnere torinese, proprio nel 1921, rileva la fabbrica bresciana Marzoli & Magri fondando la Fiam. L’idea è di realizzare una piccola auto equipaggiata con motore di brevetto Sorelli.

Viene  sviluppato il motore e viene realizzato il prototipo del telaio. Due anni dopo, nel  1923, l’azienda viene trasferita a Torino, nello stabilimento situato in  via Sant’Ambrogio 33. Inizia la produzione di auto, mentre il noto artigiano del settore, Marcello Alessio, realizza la carrozzeria.

Le prime piccole auto hanno un propulsore in grado di spingere il veicolo alla velocità massima di 80 km/h. Come da volantino pubblicitario d’epoca, consumano 1 latta di benzina e 500 grammi d’olio ogni 250 chilometri. Alla fiera di Milano il modello viene apprezzato, arrivano gli ordinativi.

Già nel 1925 iniziano gli studi per la seconda serie, che riscuote altrettanto successo.  Il secondo modello, grazie ad una modifica del telaio, prevede le versioni “Torpedo 3 posti”, “Sport Spider”, “Berlina” e “Furgone”. Il guidatore può avviare il veicolo senza scendere dalla vettura,  tramite una  leva posta alla destra del posto guida. Le richieste crescono, ma il momento è decisamente quello sbagliato.

La produzione aumenta nel 1927, ma la crisi economica  colpisce duramente il settore automobilistico. Inoltre, nella piazza di Torino c’è un concorrente non da poco: la Fiat è entrata nel settore delle utilitarie in grande serie e basso costo.

La Fiam fa appena in tempo a concludere le prime consegne, poi chiude e viene liquidata. Lo stesso anno la licenza di costruzione delle auto Fiam viene ceduta alla casa automobilistica ungherese Manfred Weiss.

Nella foto, Amedeo Peano con una delle FIAM che parteciparono alla Coppa del Cusio, il 24 maggio 1925 (archivio Peano)

Elisa Latella

Nuove tendenze, il vino da collezione batte le auto classiche

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Puntuale come ogni anno arriva il Knight Frank Luxury Index a misurare andamento e tendenze dei grandi patrimoni degli individui con una ricchezza superiore ai 30 milioni di dollari. Stiamo parlando di 193.490 persone con grande potere di acquisto e di 2024 con un patrimonio di oltre 1 miliardo di dollari, numero raddoppiato negli ultimi 10 anni.

Come sempre, il lungo report che raccoglie numeri, sondaggi e pareri di esperti lungo le 68 pagine fitte di dati, fotografa l’andamento dei beni di lusso da collezione non solo degli ultimi 12 mesi ma pure degli ultimi 10 anni. Andando sui freddi numeri quest’anno la notizia è doppia: tra beni come francobolli, monete antiche, arte, diamanti, mobili antichi e molti altri quest’anno il gradino più alto del podio spetta ai vini da collezione che crescono su base annua di un robusto +24%, trascinati dall’exploit di Bordeaux francesi e soprattutto californiani.

Una crescita molto forte per le bottiglie d’autore rispetto al 2015 (quando si erano fermate al 5%) che porta, su base decennale, la rivalutazione al 267%, al secondo posto dietro le auto. Per la prima volta da molti anni, quindi, le auto classiche cedono il comando della classifica annuale. Ma occorre dire che negli ultimi anni c’erano stati i primi segnali di “stanchezza” e nel 2016 la crescita si è fermata alla singola cifra, pari al 9%.

Inoltre non mancano interrogativi e interessanti considerazioni scorrendo le pagine del report. Come sempre infatti, quando si guardano classifiche e dati, occorre saperli interpretare e alzi la mano chi ha il coraggio di dire che una crescita comunque vicina al 10% su base annua, e che calcolata sui dieci anni fa segnare un entusiasmante +457%, siano numeri deludenti. Certo è che passare dal 28% del 2014 al 9% evidenzia una certa stanchezza del mercato e una crescita che potrebbe stabilizzarsi su ritmi da buona economia in forte sviluppo piuttosto che da tigre asiatica.

Rimanendo sul tema più caro agli appassionati di auto d’epoca, tra i vari grafici del report si trova uno spaccato interessante della classifica dei beni di lusso non solo sulla base della categoria di appartenenza ma anche per tipologia. In questo modo si scopre che le Porsche sono le auto che più si sono avvicinate al vino, seguite dalle Ferrari. Mentre le Mercedes devono pagare dazio non solo alle rivali di Stoccarda e Maranello ma anche alle perle, all’arte contemporanea e allo Champagne.

Ma non solo: nel report si riportano dati e pareri di Hagi, Kidston e Hagerty che in buona sostanza dipingono un mercato sempre più selettivo, con i numeri in termine di valore assoluto e percentuale di vendita delle aste in leggero calo. Dovendo fare la sintesi si potrebbe vedere ancora il bicchiere mezzo pieno, come ha dichiarato Brian Rabold di Hagerty: il mercato non è più in mano ai venditori ma che ora vede il pallino del comando in mano di chi compra.

E non è detto che ciò sia un male per i veri appassionati e collezionisti: crescite più basse potrebbero allontanare gli speculatori del mordi e fuggi. Diverso capire se invece tale rallentamento creerà difficoltà ai professionisti del settore legati a strutture finanziarie più sofisticate come i fondi, ecc.

Tra gli altri trend registrati a livello auto da collezione, anche qui non è una novità, il sempre maggiore interesse per le youngtimer e le auto costruite dopo il 2000, ma non solo. Il 2016 ha fatto registrare picchi e interessanti tendenze seppure a macchia di leopardo: nuovo record per le auto americane battute all’asta con la Shelby Cobra del 1962 di RM Auction, aggiudicata per 13 milioni di dollari. E nuovo record di valore anche per le auto inglesi con la Jaguar D type battuta a 22 milioni di dollari e nuovo primato, dipinto di tricolore, per le auto anteguerra con l’Alfa Romeo 8C Lungo Spider del 1939 che ha quasi raggiunto la soglia dei 20 milioni di dollari. Come dire che per chi sa scegliere, valorizzare e vendere nel modo giusto ci sono ancora molte possibilità di fare plusvalenze.

Fin qui le auto, considerando aste e rivalutazioni. Ma non è tutto, il Knight Frank Luxury Index registra molti altri interessanti trend finanziari e di crescita e distribuzione della ricchezza che non vanno trascurati: in futuro possono riguardare più o meno direttamente il mercato auto sia nuove che d’epoca e incidere significativamente sui valori. I “superricchi” continueranno a crescere e se per numero assoluto saranno sempre negli Stati Uniti, le crescite più importanti avranno matrice asiatica ma non solo.

Tra le varie tabelle e analisi si scopre che guardando le percentuali di collezionisti di beni, auto comprese, suddivisi per area geografica i primi tre mercati dei beni da collezione sono quello latino americano, seguito dagli Stati Uniti e poi dall’Europa. E curiosamente l’Africa sopravanza sia il Middle East che l’Asia.

Infine, occorre fare attenzione a un’altra tendenza che, come per le auto nuove e l’acquisto di immobili e altri beni, rischia di cambiare gli scenari: l’economia dell’esperienza. Anche le persone abbienti con patrimonio superiore ai trenta milioni dollari ne sono attratti. Dato destinato a crescere soprattutto considerando che iniziano a iscriversi alla categoria anche i millenial, ovvero i ragazzi nati a cavallo del nuovo secolo.

Tratto comune è la preferenza a “vivere le cose” piuttosto che possederle. Come, per esempio, correre a cavallo o in un rally storico, condividendo la passione con persone diverse per professione, lavoro o residenza. Tutto questo renderà sempre di più le passioni per i beni da collezione una grande piattaforma relazionale ma anche di soddisfazione personale. E se prendiamo per buoni i dati del report secondo il quale il motivo primario per cui si collezionano beni rimane il divertimento e il piacere personale, seguito da altri temi come la rivalutazione e la diversificazione del proprio portafoglio, le auto classiche hanno ancora un grande futuro, indipendentemente da qualche punto percentuale in più o in meno. Più passione e meno finanza, forse è una buona notizia.

Luca Pezzoni


Terre di Canossa, nuovo successo di Vesco-Guerini

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La celebre 3 giorni di regolarità ha visto i 106 equipaggi al via di venerdì 21 aprile percorrere 634 km lungo le regioni di Emilia, Liguria e Toscana e affrontare 89 prove cronometrate e una di media. I top driver Vesco-Guerini hanno accumulato solo 204 penalità, mettendo a punto una media di 2,40 a bordo della loto Fiat 508 S Balilla Sport del 1934. Quinto successo in fila per loro al Gran Premio Terre di Canossa, anche se non lo hanno mai dato per scontato. Anzi, i tanti trasferimenti hanno reso questa gara molto impegnativa, perché la concentrazione andava trovata solo in alcuni tratti. Ma una volta trovata, per Andrea Vesco e Andrea Guerini, le prove si sono scandite praticamente da sole. Se poi si aggiunge la loro consolidata intesa ed esperienza, il successo è “quasi” sempre assicurato. Secondi, invece, con 262 punti, Passanante-Pisciotta su Fiat 508 C del 1937, in vantaggio di ben 78 scarti sul team olandese Houtkamp-Houtkamp, terzi alla guida di una Aston Martin 2 Litre Speed Model del 1937.

Hanno poi riconfermato la loro tenacia e bravura, dopo il recente successo alla Winter Race, Montalbano-Vagliani su Fiat 1100-103 del 1955, prime assolute nella tanto ambita Coppa delle Dame, con sole 380 penalità raccolte e una media già da top driver. Un risultato notevole se si pensa che questa ragazzina di soli 22 anni è al suo terzo evento. Con una famiglia di regolaristi alle spalle, tra il padre navigatore e il fratello pilota, ha deciso di percorrere la stessa strada poco dopo la patente, finendo per innamorarsi di questa disciplina. Una passione che è agli inizi, quindi non darà del filo da torcere solo alle altre dame del parterre, ma quasi certamente anche ai migliori “top” del nostro panorama nazionale.

I 135 anni di Cuervo Y Sobrinos

Sponsor principale del Gran Premio Terre di Canossa e novità di questa edizione, la casa orologiaia svizzera Cuervo Y Sobrinos, che per l’occasione è stata rappresentata dal suo presidente Marzio Villa, alla guida di una Ford Thunderbird del 1956, insieme a Maria Cristina Abello. Noto a tutti per la sua vivacità e il suo entusiasmo, Marzio ha scelto proprio questo grande evento per festeggiare un altro importante traguardo: i 135 anni della sua azienda. Un anniversario importante, che lo ha portato a coinvolgere una sessantina dei suoi maggiori clienti provenienti da tutto il mondo, per mostrare loro dal vivo come la sua passione per questo settore, che indubbiamente fa sognare i più, sia strettamente correlata all’altra passione della sua vita, gli orologi appunto.

Location esclusive

Come da tradizione, il Gran Premio Terre di Canossa ha avuto inizio con la cena “stellata”, quest’anno svoltasi all’interno delle sale di Palazzo Ducale a Parma, oggi sede del Comando Provinciale dell’Arma dei Carabinieri, dove a mettere la firma è stato lo chef stellato Michelin, Massimo Spigaroli. Sempre da Parco Ducale sono poi partiti tutti i partecipanti, alla volta della Liguria. Dopo un primo gruppo di prove nella pista di Varano de’ Melegari, le storiche sono risalite lungo la Val di Taro toccando il Castello di Bardi e Borgo Val di Taro. Attraverso il panoramico Passo delle Cento Croci, sono giunte a La Spezia e nel suggestivo Golfo dei Poeti, con l’incantevole borgo marinaro di Portovenere ad accoglierle per la sosta pranzo. Prima di pernottare a Forte dei Marmi, i concorrenti si sono concessi un gelato a Lerici, una delle più belle “cartoline” del nostro Paese, e poi via verso l’ultimo gruppo di prove della giornata, sulla strada di Monte Marcello fino a Punta Bianca, per poi proseguire verso il borgo di Ameglia e Bocca di Magra, per la cena.

Percorsi per veri amatori della guida

La giornata di sabato, invece, ha premiato le strade, davvero meravigliose, percorse per toccare alcune delle più belle città d’arte della Toscana: Pisa e Lucca in primis, separate da un gruppo di prove concatenate sul Monte Serra. Dopo il passaggio sulle antiche mura di Lucca, Patrimonio Unesco, e il pranzo all’interno del Real Collegio, la carovana si è rimessa in moto alla volta della Versilia, prima affrontando altre prove tra i monti della Garfagnana e poi arrivando nella piazza del Duomo di Pietrasanta, la città degli artisti pronta ad accogliere le auto della carovana. Il rientro a Forte dei Marmi e il “beach party” al Bambaissa sono stati un’altra irrinunciabile firma della manifestazione.

Gran finale

Domenica 23 aprile, dal pontile di Forte dei Marmi, aperto per l’occasione, è partita la tappa finale, prima verso le Alpi Apuane e poi sul Passo di Pradarena, il più alto valico carrozzabile dell’Appennino Tosco-Emiliano. Il pranzo a Carpineti ha reso degnamente omaggio alla protagonista di questa gara evento che, non dimentichiamolo, è Matilde di Canossa. Figuranti in costume medioevale, infatti, hanno ricreato il clima e le emozioni dei tempi della Gran Contessa, con la tipica accoglienza emiliana. Prima dell’arrivo in Piazza della Vittoria, a Reggio Emilia, non sono mancate le tradizionali prove finali sul Ponte di Calatrava. Degno finale di  un’altra edizione ben riuscita, merito della macchina organizzativa diretta dalla Scuderia Tricolore di Reggio Emilia e dal suo presidente Luigi Orlandini.

Testo di Himara Bottini, foto di René Photo ed Ezio Giovannelli

Modena si mette in mostra

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Due ex-direttori di Quattroruote a moderare un dibattito non è cosa da tutti i giorni: succederà sabato 6 maggio a Modena, alle ore 10.00 nella Sala Conferenze del Museo Enzo Ferrari dove Mauro Tedeschini e Carlo Cavicchi intervisteranno tre storici ingegneri che hanno lavorato a vario titolo con e per la Ferrari.  Si tratta di Leonardo Fioravanti, Mauro Forghieri e Lorenzo Ramaciotti, che racconteranno, nell’ambito del convegno “Ingegneri che gente…”, l’automobile della loro vita. L’ingresso è gratuito ma i posti sono solo 180 e i ritardatari rischieranno di non riuscire ad entrare.

Nel caso, nessun problema: nel week-end del 6-7 maggio a Modena si terrà l’evento “Modena Terra di Motori” che vedrà coinvolta tutta la città in una serie di iniziative che si svolgeranno tra il centro storico, il Parco Novi Sad e la Zona Tempio. Qui, nella giornata di sabato, dalle 9.00 alle 18.00 saranno allestite varie esposizioni di automobili e motocicli storici, dalla esposizione di vetture Ferrari, Maserati, Pagani, De Tomaso, Lancia, Alfa Romeo, alla esposizione di Vespa, Fiat Topolino, Go Kart, auto anteguerra, Moto Maserati, fino al raduno Ferrari al Parco Novi Sad.

Domenica 7 maggio, invece, dalle ore 11.30 si svolgerà la rievocazione del Circuito di Modena, con una sfilata di auto storiche lungo i viali, con passaggio al Museo Enzo Ferrari.

Per ulteriori informazioni: www.modenaterradimotori.mo.it

Il fascino di un’epoca nel défilé di auto e moto anteguerra

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Dai Giardini Estensi di Varese fino a Piazza San Fedele a Milano per mostrare a chi non c’era il fascino di un’epoca. Una cinquantina tra auto e moto storiche, esclusivamente anteguerra (costruite da inizio secolo fino al 1940) saranno le protagoniste della seconda edizione di questo speciale défilé che si terrà tra le due città lombarde domenica 7 maggio.

Un viaggio nel tempo all’insegna dei motori che consentirà al pubblico di ammirare gioielli di un’epoca motoristica poco conosciuta, soprattutto dai giovani, che non mancherà di sorprendere per i contenuti tecnici e stilistici di mezzi ricchi di grande qualità e personalità che con le loro innovazioni hanno contribuito allo sviluppo delle due e quattro ruote.

Tra i modelli presenti: la Fiat Torpedo 2800 del 1939 del Re d’Italia Vittorio Emanuele III, la Fiat 509 A Delfino del 1925 con la coda come quella di un pesce, la Lancia Alpha del 1908 e la Moto Guzzi Sport 13 del 1926.

Si parte alle 10.00 dalla sede del Comune di Varese per sfilare nel centro storico cittadino e poi prendere per Gazzada Schianno, Morazzone, Caronno Corbellaro, Gornate Olona, Castiglione Olona, Venegono Superiore, Piambosco, Appiano Gentile, Guanzate, Lomazzo. Quindi, lungo la A9 in direzione di Milano. I veicoli raggiungeranno Piazza della Scala tra le 12.00 e le 12.30, dove le caratteristiche di ogni mezzo saranno illustrate al pubblico. Quindi si dirigeranno nella vicina Piazza San Fedele dove auto e moto si potranno ammirare per tutto il pomeriggio. Alle 18.00 il ritorno in Piazza della Scala per le premiazioni.

Il Défilé Auto e Moto Anteguerra – “il fascino di un’epoca” è organizzato dal Cmae, Club Milanese Automotoveicoli d’Epoca, in collaborazione con il VAMS, Club Varese Automoto storiche, e con la partecipazione dei Club Gams di Gallarate e VCC Como. Per chi non lo sapesse, il CMAE, nato nel 1959, è il Club di auto e moto d’epoca più antico d’Italia.

Il fascino di un’epoca nel défilé di auto e moto anteguerra

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Guida autonoma, un sogno partito quasi cent’anni fa

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Un veicolo che deve accelerare, frenare, sterzare, badare ai pedoni, ad altri veicoli e salvaguardare la sicurezza dei propri passeggeri in modo continuo durante la marcia necessita di una tecnologia molto sofisticata, finanche di una vera e propria intelligenza artificiale (scenario concretizzato alla perfezione, nell’universo della fiction, in almeno due situazioni: KITT della serie Supercar con David Hasseloff “Michael Knight” e la Batmobile del film Batman del 1989 con Michael Keaton).

Nel suo libro Magic Motorways del 1940 l’architetto, design e scenografo Norman Bel Geddes predisse la creazione della rete autostradale americana (“non ha senso, per un automobilista che stia attraversando una città, rallentare quando sopra di lui passa un aereo a tutta velocità!“) e formulò una serie di postulati assolutamente visionari, tra cui la stessa necessità che gli esseri umani fossero affrancati dalla guida di un veicolo.

In realtà, alla guida autonoma l’uomo pensava già un secolo fa. Come ha detto lo stesso Aldo Brovarone, oggi non si crea nulla di nuovo, inventiamo solo cose di cui ci siamo dimenticati. I veicoli elettrici, del resto, a cavallo tra ‘800 e ‘900 erano considerati il futuro della mobilità e i motori azionati da combustibili fossili erano visti in declino e si riteneva fossero destinati a sparire dalla faccia della terra entro pochi anni. Anche la guida autonoma, oggi cavallo di battaglia dei principali marchi costruttori premium mondiali, in realtà non è niente di nuovo rispetto a quanto non fosse già stato quantomeno teorizzato. Le smisurate possibilità offerte dalla tecnologia d’oggi, insomma, hanno solo reso realizzabile e non più fantascientifico quanto era già stato pensato molti decenni addietro.

PREISTORIA
Si ha notizia di un primissimo tentativo di dare concretezza al concetto della guida autonoma a metà degli anni 20 a New York: a bordo di una Chandler del 1926 la Houdina Radio Control installò una piccola rete di motori elettrici, tutti afferenti una grande antenna montata sul tetto. Da una seconda macchina, una strumentazione inviava impulsi elettrici all’antenna e da qui ai dispositivi, che erano in grado di muovere il veicolo senza bisogno di intervento umano. La Linrrican Wonder fu protagonista di una dimostrazione pubblica tra Broadway e la 5th Avenue a Manhattan.

Non si ebbero più notizie rilevanti su questo affascinante tema fino alla metà degli anni 30 quando iniziarono a moltiplicarsi gli studi sulla possibilità di creare automobili e taxi senza pilota allo scopo di liberare le città americane dal traffico sempre più opprimente e dalla scarsità dilagante di parcheggi.

FUTURAMA
Poi, nel 1939, alla Fiera Mondiale svoltasi a New York una prima grande visione del futuro: il padiglione della General Motors, opera di Norman Bel Geddes e denominato Futurama, creava sensazione: in esso una costruzione di tanti possibili scenari sul futuro dell’architettura e della mobilità. La costruzione anticipava il futuro architettonico delle città americane di almeno 20 anni disegnando un ambiente popolato da automobili radio controllate mosse da campi magnetici.

Secondo Geddes il modello di funzionamento delle autostrade prendeva spunto da quanto già esisteva in Italia e Germania ma migliorato con l’introduzione dei principi di funzionamento propri delle ferrovie, dotate di sistemi per la velocità controllata e l‘analisi della posizione dei treni per evitare collisioni. L’idea era semplice: si guidava tranquillamente l’automobile fino all’ingresso di un autostrada, si inseriva il pilota automatico e la vettura sarebbe rimasta nella propria corsia fino all’uscita (utilizzando bande magnetiche, rotaie su cui scorrevano ruote metalliche accoppiate ai pneumatici ecc.).

IL DOPODGUERRA
Il secondo conflitto mondiale interruppe ogni progetto, costringendo all’oblio ogni idea e sperimentazione sulla guida autonoma per le automobili. Nuovi risultati furono raggiunti nei primi anni 50: General Motors e la RCA (Radio Corporation of America), colosso americano dell’elettronica e della produzione musicale, crearono un piccolo prototipo di automobile guidato e controllato attraverso cavi annegati nel pavimento. L’invenzione scatenò la curiosità di Leland M. Hancock (ingegnere del Nebraska Department of Roads) e del suo capo L. N. Ress, che iniziarono una serie di studi a partire dall’infrastruttura autostradale dell’epoca. Ci vollero cinque anni ma, finalmente, nel 1958 (anno in cui la Chrysler Imperial fu la prima automobile a proporre il Cruise Control), i due ingegneri e la RCA Labs presentarono i risultati: lungo un tratto di strada pubblica nella città di Lincoln, 400 piedi (121 metri) erano letteralmente farciti di una rete di sensori capaci di controllare la posizione di un veicolo e di rilevare la presenza di ostacoli. L’automobile, dotata della tecnologia in grado di dialogare con la sensoristica, era capace di accelerare, frenare o sterzare da sola.

Il risultato fu molto promettente, al punto che, secondo la maggior parte dei costruttori automobilistici dell’epoca, la guida autonoma sarebbe diventata una tecnologia perfettamente funzionante e fruibile a partire dal 1975.

LE FIREBIRD DI GENERAL MOTORS
Il Gruppo americano, sulla scia di quel risultato ottenuto a Lincoln, continuò con grande impegno sulla strada della sperimentazione in vista di una commercializzazione al minuto di automobili a guida autonoma. I prototipi Firebird prodotti dal 1956 al 1964 e disegnati nel periodo dell’inizio della conquista dello spazio da parte dell’uomo, sono espressione di una complessa ricerca su tema.

FIREBIRD II. Presentata al salone Motorama del 1956, era caratterizzata dalla carrozzeria in titanio, motore a turbina e freni a disco. In più era equipaggiata con un sistema di guida autonoma previsto per le “autostrade del futuro”. Esso sfruttava un cavo elettrico annegato nell’asfalto capace di inviare segnali e di impartire istruzioni al veicolo al fine di evitare incidenti.

FIREBIRD III. Considerata la massima espressione del genio creativo del designer Harley Earl, fu costruita nel 1958. Tra le sue caratteristiche peculiari (oltre al motore a turbina da 225 CV e una ampia dotazione di accessori e servomeccanismi idraulicamente gestiti da un piccolo motorino bicilindrico da 10 CV montato a parte) un sistema di controllo della guida con unico joystick, intrastruttura di sensoristica per la guida autonoma e un cruise control “intelligente”.

FIREBIRD IV. Presentata alla Fiera Mondiale di New York del 1964, oltre al design futurista, molto differente rispetto ai prototipi precedenti, si caratterizzava per l’abitacolo completamente diverso rispetto a una normale automobile: 4 sedili singoli, avvolgenti e con “servizi” individuali, due cloche sul sedile del pilota per gestire acceleratore e sterzo. Davanti a lui un pannello dove avrebbe potuto essere visualizzata la mappa del percorso (GPS ante litteram) un computer di bordo per impartire istruzioni all’auto pilota e, naturalmente, televisione e frigorifero per trasformare l’abitacolo in un salottino durante gli spostamenti con il pilota automatico attivo. Dopo la conclusione dell’evento, nel 1965, la Firebird IV sparì dalla circolazione per riapparire all’edizione del ’69 leggermente aggiornata e rinominata Buick Century Cruiser. Ancora una volta l’enfasi fu sulle sue caratteristiche tecnologiche avanzate.

LA CITROËN DS19 A GUIDA AUTONOMA
Studi sul tema della guida autonoma furono condotti un po’ ovunque. In Inghilterra se ne interessò anche il Governo e negli anni 60 il Transport and Road Research Laboratory realizzò una serie di prototipi dotati di tecnologia in grado di captare sensori posti nell’asfalto e assumere comportamenti attivi in conseguenza. L’idea era partita già prima che fosse inaugurata la M1, la prima autostrada del Regno Unito. Ma poiché già si disegnavano scenari a tinte fosche sul futuro del traffico sulle strade inglesi, il Governo varò un programma di ricerca per studiare soluzioni concrete e percorribili. Il risultato fu innanzitutto una DS19 dotata di un sistema “preistorico” ma efficace: la vettura, interagendo con cavi magnetici inseriti nell’asfalto, era in grado di procedere da sola e raggiungere anche velocità molto elevate (fu testata fino a 130 km/h), frenare e sterzare. L’obbiettivo era di arrivare a conoscere, in tempo reale, posizione e direzione dei veicoli sulle strade. Controllando sterzo, distanza tra essi e velocità, un computer centrale avrebbe potuto calcolare la condizione di traffico migliore che evitasse congestioni e… automobilisti nervosi! Ulteriori test furono eseguiti con una Standard Vanguard e con una Austin Mini.

Gli studi, che proseguirono anche negli anni 70, tennero conto, naturalmente, dei costi per la realizzazione di tutte le infrastrutture. Fu calcolato che per fine secolo lo Stato si sarebbe rifatto di tutte le spese per dotare la rete autostradale di tutto il sistema di sensori necessario. Ma a metà della decade il progetto fu chiuso.

Ulteriori risultati furono prodotti sul finire degli anni 70 dalla Bendix Corporation e dall’Università di Stanford.

EUREKA PROMETHEUS PROJECT: VaMP
Nel 1987 è stato lanciato l’Eureka Prometheus Project (PROgraMme for a European Traffic of Highest Efficiency and Unprecedented Safety, 1987-1995) un programma di finanziamento lanciato dai membri dell’EUureka (organizzazione europea per la ricerca tecnologica applicata allo sviluppo produttivo) e che ha stanziato 749 milioni di euro per progetti nel campo della guida autonoma.

Grazie a questi fondi, nel 1994 sono state presentate a Parigi la VaMP e la sua gemella, Vita-2. La VaMP, costruita sulla base di una Mercedes 500 SEL dal team dello scienziato Ernst Dickmanns, dall’Università di Monaco di Baviera e da Mercedes Benz, è guidata completamente da un computer, capace di agire su sterzo, acceleratore e freni grazie alla capacità di analisi in tempo reale dell’ambiente circostante. La visione computerizzata di VaMP riesce a riconoscere strade e veicoli. Nel 1995 ha percorso 2000 chilometri da Monaco a Copenaghen e ritorno, anche a velocità di 180 orari, richiedendo in pochissime occasioni l’intervento umano.

Alvise-Marco Seno

Addio a Timo Mäkinen

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Si è spento alla soglia degli 80 anni una delle leggende del Rally mondiale. Timo Mäkinen, finlandese di Helsinki, classe 1938, è venuto a mancare giovedì sera a seguito di circostanze che non sono state ancora rese note.

Soprannominato “il finlandese volante”, è stato uno dei primi piloti di scuola finlandese a raggiungere una fama internazionale. La sua carriera di rallista inizia a fine anni ’50 quando ancora non esisteva il Campionato del Mondo Piloti (venne istituito nel 1970 come Campionato Internazionale Costruttori, divenuto Campionato del Mondo rally nel 1973). Quattro le vittorie nel Mondiale rally, due nel 1973, una nel 1974 e una nel 1975. Tutte su Ford Escort RS 1600.

Mäkinen ha corso anche con le Austin-Healey, con le Mini e anche con una Fiat Abarth Alitalia (nel 1977, al Rally del Canada). Famosa la sua vittoria con la Mini nel 1000 Laghi del 1967 (aveva già vinto anche le edizioni 1965 e 1966) quando riuscì a terminare una prova speciale con il cofano della vettura aperto che gli ostruiva la visuale (guarda il video della prova qui sotto). G.M.

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