Il Duca di Edimburgo ha lasciato precise istruzioni per il suo funerale. Una di queste prevede che a trasportarlo alla tomba sia una Land Rover, compagna di viaggio di una vita ai più remoti angoli del Commonwealth.
Gli italiani hanno scoperto la passione dei reali inglesi per la Land Rover guardando The Crown. O il bel film The Queen di qualche anno fa, in cui Elisabetta lascia un semiasse attraversando il greto di un torrente scozzese.
Ma per i sudditi di sua Maestà, in patria e nel Commonwealth, le immagini della regina, del suo consorte e persino della licenziosa principessa Margaret in viaggio su una “Series” fanno parte dell’album di famiglia. Anzi sono uno dei capitoli forti della saga.
Anche Filippo di Edimburgo, che sarà sepolto a Windsor sabato prossimo, aveva vissuto momenti indimenticabili sulle fuoristrada nate nel ’48. Era stato anzi lui ad insistere affinché quel prodotto straordinario dell’industria britannica - che per un quarto di secolo ebbe il monopolio dei fuoristrada (America a parte) - diventasse una presenza fissa nelle occasioni di parata, ogni volta che il terreno o le circostanze sconsigliassero una Rolls-Royce. E questo legame affettivo per la vecchia "Landy" deve aver pesato nel cuore se, al momento di immaginare il proprio funerale, il duca ha lasciato scritto che preferirà viaggiare per l’ultima volta sulle rigide balestre di una Series, piuttosto che sull’affusto di un cannone.Il Duca di Edimburgo. A fine settimana, quindi, nei brevissimi otto minuti di processione che separano l’uscita del castello di Windsor dall’ingresso della St. George Chapel, Filippo salirà ancora una volta sulle traballanti balestre di una probabile 109. La 88 speciale da cerimonia, color amaranto e con i coprimozzi cromati, non sarebbe infatti lunga abbastanza per ospitarlo in posizione orizzontale. A meno di qualche accrocco dell’ultimo momento.
Ma, dettagli a parte (chissà cosa sta succedendo in queste ore nel garage reale o nella collezione di Gaydon), val la pena soffermarsi su questo ultimo desiderio a quattro ruote, espresso immaginando un bagno di folla oceanico, che la pandemia ha ridotto a poco più di una passeggiata tra amici.
Filippo aveva ben diritto al cannone, avendo combattuto (e con rischio) nella seconda Guerra Mondiale come ufficiale della Royal Navy. Fu, cosa non banale, addetto alle segnalazioni luminose nella battaglia di Capo Matapan, che grazie al buio, all’assenza del radar e agli errori dei comandanti italiani costò alla Regia Marina duemilatrecento morti, tre incrociatori e due torpediniere in un’ora scarsa di fuoco.
Conclusa la guerra, nipote di lord Mountbatten e favorito della Regina, il giovane duca avrebbe avuto una carriera spianata all’Ammiragliato. Fino forse a quella soglia di Capo di Stato Maggiore, che gli inglesi chiamano divinamente “First Sea Lord”. Ma i fatti, come noto, andarono diversamente: Divenuto “royal consort” Filippo dovette rinunciare alle sue ambizioni, iniziando quell’esistenza non facile di colui che cammina “sempre un passo dietro la regina”.
L'amata Land Rover. Dimenticando quindi l’affusto di cannone, cosa legava quest’uomo d’altri tempi, burbero e spiritoso al tempo stesso, partito (quasi) dal nulla e approdato all’empireo, alla vecchia Land Rover?
Tutto verrebbe da dire, perché proprio su una sferragliante Serie 1 il duca e la principessa “Lilibet” si trovavano in Kenya quando li raggiunse la notizia che Giorgio VI era morto nel sonno. E poi i viaggi intorno al mondo, negli ex-domini dove però il cuore ancora batteva allo sfilare di sua Maestà e del suo aitante marito. Dall’Australia al Sud Africa, dall’India (dove uccise una tigre lunga due metri e mezzo), al Canada. Tutti Paesi che Filippo conosceva profondamente e che in questi giorni hanno fatto sentire forte il loro cordoglio.
La principessa sull’Aermacchi. Ci fu un viaggio particolare in cui Filippo e Elisabetta furono sostituiti dalla principessa Margaret, che faticava a trovare un suo ruolo negli incarichi ufficiali e per consolarsi conduceva una vita un po’ movimentata. Fu la visita del 1956 in Tanganica e Zanzibar in cui la giovane Windsor, finalmente alla ribalta, incontrò folle oceaniche e tribù primitive, attraversò piantagioni e laghi tropicali, sempre, naturalmente, in Land Rover. Per concludere c’è un particolare di quel viaggio che tocca noi italiani e che mi fu raccontato da un grande progettista – non di auto ma di aeroplani . Era l’ingegner Ermanno Bazzocchi. Il papà degli Aermacchi 326, 339 e altri aerei usciti dalle officine di Varese. Bene, per trasportare Margaret d’Inghilterra nella foresta, a un certo punto, servì anche un aereo italiano. Un piccolo bimotore che la Macchi di Varese aveva in qualche modo venduto alla East African Airways. E il bell’aereo (Bazzocchi diceva che un aereo bello vola anche bene) fece lustro di sé dimostrando che gli ex-nemici sapevano ancora produrre un buon apparecchio.